Nella parola di Dio di questa domenica si incrociano due affermazioni apparentemente inconciliabili. Da un lato Gesù dice che è lo spirito all’origine della vita e che in questa prospettiva la carne non serve a nulla. Dall’altro lato Paolo richiama gli efesini al fatto che proprio l’unione della carne dell’uomo e della donna, proprio quell’unione è il segno di un mistero Grande. Il mistero dell’unione di Cristo e della Chiesa e quindi il mistero dell’incarnazione e dell’unione sponsale di Dio che è spirito con la nostra umanità che è carnale. Questo significa che, se prendiamo seriamente il mistero dell’incarnazione allora dobbiamo prendere seriamente il fatto che proprio questa carne che non serve a nulla da sé stessa è oggetto di un’attenzione speciale da parte di Dio. Significa che Dio assume ciò che non serve a nulla per trarne qualcosa di preziosissimo. I giudei si scandalizzavano di quello che diceva Gesù e Gesù per nulla intimidito insiste: e se vedeste il figlio dell’uomo salire fino al cielo? In Gesù, infatti, Dio si è unito così profondamente alla nostra umanità carnale da creare il presupposto perché questa sia innalzata alla condizione divina. Non è pensabile, infatti, che Dio abbassandosi fino a noi si lasci ridurre o limitare dalla nostra umanità. È vero piuttosto il contrario. Unendosi alla sua creatura il creatore la innalza. Cosa devo fare perché si compia in me tale mistero? Devo dare un consenso vero, interiore, personale. Gesù sapeva chi lo amava e chi lo tradiva, dice Giovanni. Non guardava, cioè, alle capacità, alle qualità, alle circostanze della vita delle persone ma guardava al loro cuore, alla loro disponibilità a dargli fiducia. Non si tratta di essere capaci di qualcosa. Nessuno può venire a me, dice Gesù, se il Padre non lo attira. Ed anche Giosuè ricorda al popolo che essi non possono, non sono capaci di essere fedeli a Dio. Eppure, chiede loro di decidersi per quel Dio dandogli fiducia. Decidete oggi chi volete servire, a chi volete dare fiducia nella vostra povertà, nella vostra debolezza. Questo è il senso profondo del “sottomettersi” all’altro nell’amore. Fidarmi di lui più che di me stesso. Dunque, è proprio questo il grande mistero dell’amore divino, che Paolo vorrebbe trasparisse nell’amore tra gli sposi quando dice: siate sottomessi gli uni agli altri. Date fiducia all’altro più che a voi stessi. Apparentemente la cosa può sembrare come per gli ascoltatori di Gesù una “parola dura”. Eppure, questa parola dura, per Pietro e per coloro che si sono fidati di Gesù e’ diventata una parola di vita eterna. Cristo, continua San Paolo, non ha amato la Chiesa perché era bella ma per renderla bella. Egli, cioè, l’ha amata non per gratificare sé stesso ma piuttosto per trasmetterle una vita che la santifica, la rende pura e senza macchia, regalandole cioè la bellezza e la giovinezza, la vita eterna, la vita che non muore, la vita di Dio appunto. Tutto il discorso di Gesù a cafarnao circa il pane di vita che deve essere mangiato, masticato e assimilato per avere la vita del cielo si comprende pienamente solo a partire dalla logica di questo amore sponsale di Dio che si sottomette liberamente alla nostra umanità, si adegua a noi, si dona ma invece di morire in noi ci fa rivivere in Lui. Il pane dell’eucarestia, dunque, che e’ la vita di Cristo nella sua divino-umanità offerta per la vita del mondo, diventa un pane che annullandosi apparentemente in chi lo assume in realtà lo trasforma. Gesù non si dona a noi perché siamo degni ma per trasformarci in lui e renderci tali. L’unico ostacolo o scandalo è la nostra mormorazione, la nostra diffidenza, la nostra resistenza a credere che dando fiducia e priorità all’amore troviamo la nostra identità più vera e la nostra felicita. Ecco. Invece, che siamo tentati di cercare la salvezza non più nell’amore che si dona, che sopporta, che perdona, che dà fiducia ma nelle mille altre nostre strategie per sopravvivere: la competizione, l’affermazione di sé, l’interesse proprio. Tutto ciò che è appunto carnale ma morto perché non vuole sottomettersi allo Spirito di amore. È questa pretesa che Giosuè mette in luce quando sfida Israele a decidersi prima di entrare nella terra promessa. Decidete oggi se volete servire i vostri dei, vale a dire perseguire i vostri interessi e i desideri della carne, oppure se volete servire un Dio che vi chiama libertà, che vi sfida a mettervi su un cammino esigente che coinvolge la tua libertà, la tua responsabilità, la tua disponibilità a consentire ogni giorno all’opera di Dio. Questa è la sfida che ogni giorno Gesù pone al nostro cuore: Volete andarvene anche voi dice Gesù? Gesù non trattiene, non convince, non illude, non lusinga. Ci ama con un amore gratuito e umile che si sottomette alla nostra fragilità, alla nostra debolezza e la interpella. Amami come sei, dammi fiducia come sei, rimani come me come sei. E quasi senza accorgertene diventi poco alla volta come lui. Capace di amare.