Le letture di oggi mettono in luce una verità così nuova e straordinaria da provocare, in chi l’accetta, un cambio radicale. Il libro dei proverbi parla del cambio dalla follia alla saggezza; Gesù nel Vangelo parla addirittura di un passaggio dalla morte alla vita. La verità da credere è semplicemente questa: la vita di Dio si è fatta presente nella nostra carne in Gesù e chi crede in Lui vive di Lui. Non vive più, cioè, solo la propria vita marcata dalla mortalità ma partecipa della sua vita risorta e quindi di quella vitalità propria di Dio che chiamiamo vita eterna.
Questa vita eterna annunciata da Gesù, dunque, non è qualcosa di astratto, di vago e di futuro ma qualcosa da accogliere fin da ora nella propria carne, come una sorta di energia vitale da assimilare come si assimila il cibo. Io sono il pane vivente disceso dal cielo. Chi mangia non muore ed io lo risusciterò. Non solo nel senso che Gesù ci farà partecipi un giorno della resurrezione dei morti ma nel senso che tutto quello che era nella sua vita nella carne e che e’ risuscitato passa adesso nella nostra vita di carne attraverso l’eucaristia e i sacramenti, i sette pilastri di cui parlano i proverbi. Perché apparentemente non ci accorgiamo di nulla di straordinario? Perché il Signore risorto non ci cambia magicamente ma “costruisce” la sua casa, opere cioè sinergicamente con la nostra volontà di realizzare il bene: cercate la volontà di Dio dirà San Paolo.
I giudei che ascoltavano Gesù non potevano non ricordare le parole della scrittura messe in bocca alla Sapienza: venite e mangiate e bevete. Lasciate la vostra stoltezza e incamminatevi sulla via della conoscenza. Essi avrebbero certo potuto astrarre dal discorso di Gesù e interpretarlo in maniera non conflittuale. Invece si mettono a discutere animatamente tra di loro proprio perché il modo di parlare di Gesù è esasperatamente concreto e non lascia spazio ad alcuna astrazione. Egli non si limita a dire che occorre mangiare di lui, ma specifica che occorre masticare la sua carne e, cosa ancora più sconvolgente per un ebreo, occorre bere il suo sangue.
Questa concretezza e’ paradossale. Come può la carne di un uomo storicamente individuabile come era Gesù farsi la vita del cosmo, sostenere l’intero universo? Come può un qualsiasi pane, che è una realtà materiale, racchiudere in esso una vita più viva di quella del cosmo? Eppure, è proprio questa la sfida della fede: anche se tu non ci accorgiamo di nulla, anche se apparentemente non ci sembra di cambiare in nulla, la nostra vita mortale può accogliere in sé la vita di Dio: rimanete in me ed io in voi. È ovvio che le parole di Gesù non possono essere accolte e credute finché gli occhi del nostro cuore non si aprono su un fatto fondamentale: il fatto cioè che, finché viviamo semplicemente per noi stessi non siamo abbastanza vivi. Anzi, la vita del mondo come noi la conosciamo è una vita morta.
Puoi fare mille cose per sentirti vivo, per goderti la vita, per colmare una fame e una sete che sono nel tuo cuore. Nessuna di queste cose può sfamare e dissetare il cuore semplicemente perché nessuna di esse nutre la vita. Il peccato dell’uomo, cioè la sua morte, la sua incapacità di trovare la vita non consiste solo nel fare il male. Il peccato dell’uomo è anche quella “stoltezza” che lo porta ad inseguire falsi beni che non possono soddisfarlo perché non hanno in sé la vita. La stoltezza del peccato è quella ostinazione a cercare la vita in cose temporali che non possono dartela. Esse deludono e ti lasciano nella tua stoltezza perché invece di spingerti a cercare la vita altrove ti spingono ad inseguire una seconda possibilità, a correre dietro ad un’alternativa analoga a quella che ti ha deluso finché non ti stanchi. Non ci si accorge facilmente di questa stoltezza. Per questo che Paolo insiste: valutate con attenzione il vostro modo di camminare, il vostro modo di decidere e di avanzare nella vita. Non siate come quelli che non hanno sapienza e quindi non riescono a distinguere ciò che nutre da ciò che non nutre. Sono stolti e diventano sempre più insensibili. Scommettono su cose che si perdono e non danno peso a quelle che rimangono. Cercate di riscattare il tempo, continua San Paolo, perché i giorni sono cattivi. L’annuncio della vita eterna introduce nel cuore di chi crede la disposizione a vivere tutte le cose in vista di un amore che resiste al tempo e rimane per sempre. L’annuncio della vita eterna non banalizza l’istante presente ma lo riscatta. Lo valorizza. Spinge a cercare, continua Paolo, la volontà di Dio, la verità, la gratuità dell’amore, la santità per scoprire che queste cose saziano. Saziano perché costruiscono. Costruiscono poco alla volta, ma costruiscono “un castello”, una dimora gloriosa, come quella della sapienza con i suoi sette pilastri.