Durante le ultime Olimpiadi un atleta si è trovato a subire delle decisioni arbitrali ingiuste. Mentre molti suoi sostenitori si lamentavano scandalizzati di quello che non aveva funzionato nella gara, l’atleta in questione ha avuto una reazione singolare e inattesa. Benché deluso, diceva di rispettare la decisione arbitrale e aggiungeva: “Non mi lamento perché mi ritengo una persona fortunata, soprattutto per quello che ho ricevuto dalla mia famiglia e dalla mia ragazza che mi ama.” Evidentemente questo atleta sapeva distinguere cosa dona più o meno vita. Il contrasto di reazioni davanti allo stesso evento rimanda alle provocazioni che vengono dalla parola di Dio di questa domenica. Perché tanti nella vita sono così facilmente disposti alla lamentela e alla mormorazione, come gli israeliti nel deserto? e perché pochi invece arrivano a scoprire quale sia questo pane che sazia e questa acqua che disseta per sempre, al di là di ogni lamentela, che Gesù promette alla fine del Vangelo? In effetti non esistono più di due alternative. Se non arriviamo ad acquistare uno sguardo grato verso la vita, inevitabilmente cominciamo a lamentarci e a mormorare. Ma la gratitudine non nasce spontaneamente nel cuore dell’uomo. Gli Israeliti avevano ricevuto tanto da Dio ed erano stati posti su un cammino di liberazione, ma il loro pensieri e i loro affetti erano rimasti fermi attorno alle pentole della carne dell’Egitto. In altre parole, benché incamminati verso un destino di libertà e di gloria, sicuramente al di sopra delle loro limitate possibilità, essi di fatto si lasciano dominare dal desiderio di soddisfazioni più facili ed immediate, nell’illusione che basti soddisfare i desideri più superficiali per essere felici e vivere con pienezza. Anche le folle del Vangelo che cercavano con ansia Gesù sembravano ben disposte nei confronti di Lui e della sua parola. Gesù fa notare loro, tuttavia, che la loro ricerca è ancora superficiale perché non motivata dalla fede. In effetti essi stanno cercando sé stessi e la loro immediata soddisfazione e non hanno ancora aperto gli occhi su ciò che veramente egli vorrebbe donare loro e che potrebbe soddisfare il loro cuore. Il problema non è nelle circostanze della vita ma nel cuore che resiste a credere che possa esservi una vita che viene dal cielo e non dalle sole cose materiali, una vita che risponde al desiderio di diventare quella creatura nuova di cui parla San Paolo, creata secondo Dio nella verità e nella santità. La vita in pienezza viene dal Padre. Essa è vita che scende dal cielo ed è la promessa di un compimento che supera talmente ogni nostra aspettativa e immaginazione da suscitare inevitabilmente lo stupore, come per gli israeliti che di fronte alla manna scesa dal cielo si interrogano: che cos’è? Anche le folle che seguono Gesù sono stupite del suo modo di muoversi e di parlare. Dio non accontenta stupisce. Dio non soddisfa le nostre attese le espande. Ma per fare questo deve metterci su un cammino di conversione che quotidianamente ci impegna a guardare alla vita non come qualcosa di dovuto oppure qualcosa da possedere e godere a proprio piacere ma come qualcosa da accogliere gratuitamente e da valorizzare responsabilmente. La manna veniva nella forma di una razione quotidiana misurata proprio perché gli Israeliti non si appropriassero del dono, accontentandosi di soddisfare la loro fame materiale, e continuassero invece a cercare la vita da Dio piuttosto che da sé stessi. Quando Gesù dice alle folle che l’opera di Dio e credere nel Figlio che da la vita del cielo egli sta dicendo che il perseguimento della pienezza di vita, la felicita duratura, la sazietà del cuore non dipendono dalle nostre opere o dai nostri sforzi. Essi dipendono dal credere che la vita stessa di Cristo può passare nella mia e quindi che la sua vita risorta può farmi passare indenne attraverso qualsiasi morte e che per Lui la stessa vita del Padre penetra nella mia in vista di una nuova nascita. L’uomo è chiamato fondamentalmente ad una decisione di fede. O accoglie la promessa di Cristo di una vita del cielo e cresce nella direzione della vita divina oppure si accontenta delle cose materiali e degenera inevitabilmente nella direzione della vita animale. Il cammino nella direzione della vita divina e’ un processo di conversione, dice San Paolo che implica tre passaggi: un momento di purificazione che consiste nel deporre l’uomo vecchio che si accontenta di soddisfazioni superficiali e spesso ingannevoli. Un momento di illuminazione che consiste nel rinnovarsi nello spirito del Vangelo e quindi nello scoprire che la Parola del Vangelo è davvero nuova e diversa rispetto alla parola del mondo ed alla sua mentalità. Finalmente vi e’ un momento di assimilazione per il quale rivestiamo l’uomo nuovo creato secondo Dio che consiste nel vivere secondo verità e secondo carità. Allora ci scopriamo sazi di vita e pienamente felici.