E il discorso di Gesù a Cafarnao (riportato nel Vangelo di Giovanni al capitolo sesto), approfondisce tutto questo. Durante la 17° Domenica abbiamo letto il fatto materiale del miracolo della moltiplicazione dei pani (Giovanni 6, 1-15). La folla, assetata di prodigi, non ha saputo cogliere il significato di questo segno. La Domenica seguente abbiamo letto il testo che ci invitava a cogliere le coordinate di questo segno (Giovanni 6 , 24-35). Cioè di passare dal pane materiale al pane che dura per la vita eterna. Bisogna scoprire allora l’identità di Gesù che proclama: “Io sono il pane della vita!”. Non dobbiamo soffermarci alla superficialità manifestata dalla folla presente durante il miracolo del pane e che voleva proclamare Re il Signore, per sfruttare i suoi poteri taumaturgici e poter vivere e mangiare a sbafo, senza fatica, senza lavorare. Gesù non è solo il profeta che sfama, come Eliseo (2 Re 4, 42-44). Egli è il pane stesso che sfama per sempre. Perché egli dice: “Io-sono”, cioè egli è il volto visibile di Dio, la rivelazione di YHWH (= Dio, nel suo nome impronunciabile). Ma allora che cosa penso io? Chi è Gesù per me? Che risposta diamo a questo interrogativo? Dalla risposta a questa domanda dipende il nostro Esodo, cioè la nostra vita, che stiamo vivendo, a volte con fatica o brancolando nelle tenebre. Se abbiamo fede, proclamiamo Gesù come “Mio Signore e mio Dio”, sull’esempio dell’apostolo Tommaso (Giovanni 20, 28). Se abbiamo fede, assistiti dal pane eucaristico, ben superiore alle focacce del profeta Elia, il pane della vita, Gesù stesso che diventa per noi alimento per la vita eterna, il nostro cammino (= esodo e cioè la nostra vita) diventa corretto. “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo – ha detto Gesù. – Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Giovanni 6, 51). Il discorso di Gesù è molto alto, molto difficile. “Questa parola è dura” dissero alcuni discepoli (Giovanni 6, 60). Ma il Signore non si ritratta. Con questo segno dei pani moltiplicati, il Cristo ha scontentato la folla, che chiedeva di continuare in questa distribuzione gratuita di cibo. Ha scontentato anche “i Giudei”. Ma non siamo a Cafarnao, in Galilea? Con il termine “Giudei” l’evangelista vuole indicare le autorità. Di Gesù sapevano tutto: padre, madre, fratelli, sorelle, mestiere, ecc. Ma non potevano accettare che Gesù dicesse: “Io-sono”, che è il nome di Dio. E’ per questo che il Signore è stato condannato a morte (Giovanni 19, 7). L’istituzione religiosa (i Giudei ne sono i capi, i responsabili) non può rinnegare la sua esistenza. Essa esiste perché organizza la mediazione tra Dio e gli uomini, attraverso la religione tradizionale. Ma Gesù pretende di avere la condizione divina. Allora i capi dicono: “E’ inammissibile, è una bestemmia!” come lo hanno dichiarato dinanzi a Ponzio Pilato. Che cosa risponde Gesù? “Non mormorate tra voi – puntualizza. – Nessuno può venire a me , se non lo attira il Padre che mi ha mandato” (Giovanni 6, 44). Che cos’è questa attrazione? E’ l’amore con il quale il Padre attira, cioè ama i suoi figli. Questo amore non ha limiti, supera anche la morte. “I vostri padri – ha detto Gesù – hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti” (Giovanni 6, 49). Ma come? Gesù avrebbe dovuto dire: “I nostri padri”. Anche lui è figlio di Abramo, figlio di Davide. No! Gesù non segue le orme di quei padri. Lui segue le orme del Padre. Anche noi dobbiamo fare come Gesù, seguire le sue orme, essere suoi discepoli. Per questo dobbiamo mangiare il vero cibo, quello che discende dal Cielo. “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo – ha detto il Signore. – Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Giovanni 6, 51). In questo modo il Cristo parla in maniera velata, ma comprensibile, della sua Passione e del frutto che ne deriva. Gesù infatti, come ha detto Giovanni il Battista, è l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (Giovanni 1, 29). Il sacrificio pasquale di Gesù diventa allora sorgente di vita e di benedizione per tutti. Ed è quello che sperimentiamo nell’Eucaristia.
San Daniele Comboni (1831-1881) ha risposto anche lui alla domanda che noi pure dobbiamo farci: Chi è Gesù per me? E alla risposta è rimasto fedele tutta la vita. Così scriveva a p. Giuseppe Sembianti, superiore del suo Istituto Missionario a Verona, da El-Obeid (Sudan), il 9 luglio 1881: “Io sono qui esposto alla morte per servire il mio Gesù… e per essere fedele alla mia vocazione ardua e santa!”.
Tonino Falaguasta Nyabenda
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