Abbiamo visto, domenica scorsa, come Gesù si preoccupava della formazione dei suoi Apostoli (Marco 6, 30-34). Li aveva mandati in Missione. Ma che cosa avevano insegnato? Perché avevano avuto un successo impressionante nella loro predicazione? Per questo li ha portati in un luogo solitario e cercava di correggere il loro vangelo. Infatti il Vangelo di Gesù riguarda il Regno di Dio, come aveva manifestato fin dall’inizio del suo annuncio. “Il tempo è compiuto aveva esclamato appena messo piede in Galilea, – e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo” (Marco 1, 15). Per Gesù il Regno di Dio non è un’avventura politica. Per lui si tratta di una società alternativa, che ha come costituzione (o magna charta) le Beatitudini (Matteo 5, 1-12). Per questo il Cristo, avendo visto la moltitudine “ingannata” dalla predicazione dei suoi Apostoli, si mise a insegnare alla folla il suo vero Vangelo (Marco 6, 34). Ma eravamo in un luogo deserto, lontano da luoghi abitati, secondo il Vangelo di oggi, preso da san Giovanni. Tutto ciò richiamava l’esperienza di Israele nel Sinai, l’esperienza dell’Esodo. C’è il mare (qui il lago di Galilea), c’è la montagna sulla quale Gesù sale, come nuovo Mosè. E’ il tempo della primavera, vicino alla festa di Pasqua, e si parla di cibo. Nel deserto il popolo di Israele ha chiesto di essere nutrito (Esodo 16, 1-16). Qui Gesù, che è Figlio di Dio, quindi superiore a Mosè, anticipa il desiderio della folla e chiede a Filippo dove si potrebbe trovare il pane per tutti. “Duecento denari – risponde l’Apostolo – non sarebbero sufficienti perché ognuno possa riceverne un pezzo” (Giovanni 6, 7). Un denaro era la paga giornaliera di un operaio. Ma Andrea aggiunge: “C’è qui un ragazzo che ha cinque pani e due pesci”, per dire che il pasto di un bambino non è niente. Ma Gesù fa sedere per terra; meglio invita la gente a coricarsi sull’erba, come si faceva nelle case dei ricchi, dove ci si sdraiava su divani per il pasto e i servi passavano per il servizio. Ecco una bella lezione, che riguarda l’Eucaristia, perché qui si tratta di questo. L’Eucaristia ci tratta tutti come dei signori, cioè come delle persone libere. In quel luogo c’era molta erba. Si fa così riferimento al salmo 72 che parla dei tempi messianici e di un’epoca di pace e di abbondanza. “In quel luogo” (Giovanni 6, 10): si fa riferimento con questa espressione al tempio di Gerusalemme. Là il popolo faceva offerte a Dio. Qui invece è Dio (Gesù ne è il Figlio) che si offre all’umanità. Erano cinquemila uomini. Cinque pani – cinquemila uomini: un pane per mille persone indica un’abbondanza straordinaria. E poi i pani erano di orzo, il pane dei poveri. Si fa riferimento così anche alla prima lettura. Il profeta Eliseo ha moltiplicato venti pani di orzo per cento persone e tutti furono saziati (2 Re 4, 42-44).

Filippo fa i conti con ciò che si può comprare al di fuori con duecento denari. Andrea invece fa i conti con ciò che è disponibile dentro la folla, nella bisaccia di un ragazzo. Ed è proprio, per volontà del Signore, quello che basta per una sola persona (un ragazzo!) che, donato, sazierà tutti.

Gesù prese i pani (Giovanni 6, 11). Il pane è la vita. Si può prendere come Adamo che rapì il frutto per essere come Dio (Genesi 3, 5). Gesù prende in modo diverso, perché è Figlio e riceve tutto come dono dell’amore del Padre. Come Figlio distribuisce il pane, cioè la vita, la vita del Padre, come dono. “Tutti mangiarono a sazietà” (Giovanni 6, 42). Si fa riferimento alla manna, che era limitata alla sola giornata (Esodo16, 4). Qui invece si sperimenta l’abbondanza, tanto che vengono raccolte dodici ceste di pezzi avanzati. Dodici come le dodici tribù di Israele e cioè tutta la comunità. E anche tutta l’umanità. Quando c’è partecipazione e condivisione si vive nell’abbondanza.

Non è il caso della situazione degli abitanti del Mondo oggi. Due terzi vive nella povertà e un terzo si accaparra la maggior parte delle risorse del pianeta. Ancora oggi 783 milioni di persone vivono attanagliate dalla fame, mentre lo spreco di cibo arriva a quantità astronomiche. Nel 2022 un miliardo di tonnellate di viveri sono stati gettati nelle immondizie; pari al 19% del totale. Questo è inaccettabile, soprattutto per chi si dichiara discepolo di Gesù.

Gli spettatori del segno compiuto da Gesù non ne capiscono il vero significato. Vogliono proclamarlo Re, per vivere a sbafo, dimenticando forse il comando espresso da Dio ad Adamo, agli inizi dell’umanità e dopo il  peccato originale: “Con il sudore del tuo volto mangerai il pane!” (Genesi 3, 19).

Se ogni domenica ci avviciniamo alla tavola eucaristica è perché vogliamo anticipare la speranza escatologica, sperimentare la realizzazione del mistero pasquale di Gesù e progredire nella conoscenza del Cristo “vero pane disceso dal Cielo” (Giovanni 6, 14). Il pane è la vita. Ascoltiamo Gesù che ha detto: “Io sono il pane della vita” (Giovanni 6, 35). E tutto questo perché “chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna” (Giovanni 6, 40). Allora ascoltiamo ancora Gesù e viviamo come Lui ci propone: “In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita” (Giovanni 6, 53). Tutto ciò si vive e si sperimenta nel mistero eucaristico, nel sacramento dell’Eucaristia, nella Santa Messa.

San Daniele Comboni (1831-1881)era fermamente convinto che l’Eucaristia era la fonte e il sostentamento della vita del Missionario. Per questo i suoi Missionari dovevano partecipare ogni giorno alla Messa, sacerdoti e laici, prima di impegnarsi nei vari lavori della giornata. Così scriveva al Cardinal Alessandro Franchi, prefetto di Propaganda Fide, il 29 giugno del 1876.

 

Tonino Falaguasta Nyabenda

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