“Chiamò a sé i Dodici” (Marco 6, 7) così fece Gesù con i suoi primi collaboratori. Si tratta di vocazione. Jacques Guillet, biblista francese, ci aiuta a capire che cosa significa vocazione nella Bibbia. Addirittura il popolo di Israele ha una vocazione. “Ascolta, Israele” (Deuteronomio 6, 4) è una chiamata, è un impegno per tutto il popolo a vivere una esistenza separata, ad appoggiarsi solamente  sul Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e di mettere in pratica la sua parola.

E per Gesù c’è stata una vocazione? Il Nuovo Testamento non ne parla. Anche se Gesù è il perfetto servo di Dio, colui che ascolta sempre la voce del Padre e accetta il suo piano, come si è espresso nel Getsemani: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà!” (Luca 22, 42). Nella vita di Gesù non si parla di vocazione, ma sempre di missione che sempre Egli realizza pienamente. Vocazione implica un mutamento di esistenza. Questo non è avvenuto per il Cristo. Nel battesimo la voce del Padre esclama: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento” (Marco 1, 11). Non si tratta quindi di vocazione. Il suo battesimo è una scena di investimento regale.

Invece per i suoi collaboratori, gli Apostoli, c’è una vera chiamata. Anzi questa chiamata avviene per tappe, per indicare che la sequela di Gesù è una trasformazione della vita. Già il profeta Amos (nella prima lettura) scopre di essere chiamato a cambiare vita: “Il Signore mi prese – ha scritto, – mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: ‘ Va’, profetizza al mio popolo Israele’!” (Amos 7, 15).

Gesù chiamò i suoi Apostoli lungo le rive del lago di Galilea, mentre stavano pescando. “Venite dietro a me – disse, – vi farò diventare pescatori di uomini” (Marco 1, 17). Sono sulle sponde del lago: questo richiama il Mare Rosso e quindi anche l’esodo di Israele. Che vuol dire Gesù con questa chiamata in quel luogo preciso? I pescatori diventeranno salvatori dell’umanità, accompagnandola a scoprire un altro Dio; non un Dio che esiga osservanza di leggi, ma un Dio che offre l’amore gratuito; non un Dio dominatore, ma un Dio che ama come un padre. Inoltre sono chiamati a coppie: Simone e Andrea, Giovanni e Giacomo. In questo modo, nella sequela di Gesù, si farà l’esperienza di una nuova fraternità, non più basata sui legami del sangue, ma solo sull’esperienza dell’amore di Dio che si riversa nell’amore a tutti i fratelli e sorelle.

Questa chiamata è davvero un cambiamento di vita. “Pescatori di uomini” disse Gesù. I pesci stanno bene nell’acqua, gli uomini vi affogano. “Pescatori di uomini” significa quindi: salvatori. Sempre seguendo Gesù e predicando la sua Pasqua.

Ma la sequela del Cristo comporta delle tappe per un approfondimento e per una comprensione profonda della sua realtà. Nel Vangelo di Marco la seconda tappa della vocazione degli Apostoli avviene sul monte, come si descrive in Marco 3, 13-19. Si tratta di stare con il Signore, per conoscerlo meglio e per essere definiti Apostoli. “Ne costituì Dodici” (Marco 6, 14). Dodici come i figli di Giacobbe, dodici come le dodici tribù di Israele. Ma per Gesù si tratta del nuovo Israele, quello che sperimenterà la Nuova e definitiva Alleanza.

La terza tappa della vocazione degli Apostoli la troviamo descritta nel Vangelo di oggi.  “Gesù percorreva i villaggi, insegnando. Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due” (Marco 6, 6-7). E’ la Missione. Gesù sapeva bene che dopo la Pasqua, dopo la Croce, la morte e la risurrezione, la sua opera di salvezza doveva continuare. Leggiamo nella finale aggiunta del Vangelo di Marco: “Andate in tutto il Mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato” (Marco 16, 15-16). Grazie agli Apostoli, chiamati e costituiti da Gesù, mandati nel Mondo intero, è sorta la Chiesa. Nel credo domenicale noi professiamo la nostra fede dicendo: “Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica”.

Abbiamo ora l’esperienza concreta di Gesù e della salvezza, grazie all’opera degli Apostoli. Questi Apostoli furono chiamati ciascuno singolarmente a seguirlo. Poi furono comunitariamente costituiti per essere con il Cristo. Infine inviati ai fratelli e sorelle del Mondo a due a due. La vocazione, secondo il Vangelo di Marco, è sempre unica, ma ha uno sviluppo, un approfondimento: è sempre un passaggio dalla dispersione alla sequela, dalla sequela alla comunione con il Cristo, dalla comunione con lui alla Missione verso tutti gli abitanti del Mondo. Questo vale per ognuno di noi. La strada indicata dagli Apostoli è anche la nostra strada: chiamati nel battesimo per vivere la comunione con Gesù per essere inviati in Missione.

San Daniele Comboni (1831-1881) era profondamente convinto di tutto questo. A 17 anni, avendo letto la storia dei martiri giapponesi scritta da sant’Alfonso Maria dei Liguori (1696-1797), decise di dedicarsi alla Missione. Dopo aver incontrato padre Angelo Vinco, di ritorno dall’Africa, scelse di dedicarsi al continente nero. Per non avere dubbi su questa sua vocazione, andò a consigliarsi con il suo direttore spirituale, padre Marani. Così ha scritto a don Pietro Grana, il 13 agosto 1857: “Padre Marani, fattosi un quadro della mia vita,… mi assicurò che la mia vocazione alle Missioni dell’Africa è delle più chiare”.

E così anche per i suoi figli spirituali, i Comboniani, oggi: Padri, Suore, Secolari e Laici che formano la grande Famiglia Comboniana. Non solo in Africa, ma nel Mondo intero.

 

Tonino Falaguasta Nyabenda

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