Nella prima lettura (Ezechiele 2, 2-5) ascoltiamo Ezechiele dire di essere inviato a proclamare che in Israele esiste un profeta: “Ascoltino o non ascoltino…Sapranno almeno che un profeta esiste in mezzo a loro”. Anche per Gesù viene posta la stessa domanda. Gli abitanti del suo paese credevano di sapere tutto di Lui. In realtà era sfuggito loro l’essenziale.

Paul Beauchamp, biblista francese, afferma che il profetismo ha un posto preciso nella comunità di Israele. Nessuno dovrebbe meravigliarsi che esistano dei profeti, che abbiano una missione e che per questa missione specifica siano inviati a parlare e anche a soffrire la persecuzione. E’ successo pure a Gesù. Il suo annuncio del Regno di Dio è stato mal compreso. Addirittura il suo insegnamento, percepito come contrario alla tradizione, è stato pubblicamente condannato. I posti dove il Signore trova maggiori ostacoli alla sua dottrina sono le sinagoghe, luoghi dedicati precipuamente all’ascolto e allo studio della Parola di Dio. Nel Vangelo di Marco si dice che Gesù è entrato tre volte in una sinagoga (= tre volte significa completezza). E ogni volta ha incontrato opposizione: una prima volta  lo hanno interrotto mentre parlava; un’altra volta lo hanno minacciato di morte; e ora Gesù è preso in giro e calunniato.

Il Rabbi di Nazareth si reca nel suo paese. Ma non si cita il nome del posto, per indicare che il fatto riguarda tutto Israele. Si è messo a insegnare nella sinagoga in giorno di sabato. Ma quello che diceva non era conforme a ciò che si insegnava abitualmente in quel luogo. Molti ne furono stupiti. “Da dove gli vengono queste cose?” dicevano. Erano convinti poi che quello che sentivano era il contrario di quello che insegnavano i loro scribi (= specialisti della Bibbia). “E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?” (Marco 6, 2) aggiunsero, come se Gesù fosse un fattucchiere o uno stregone. Invece le mani del Signore indicano la nostra situazione di persone sottoposte alla dura legge del lavoro per vivere. “Con il sudore del tuo volto mangerai il pane” (Genesi 3,19) disse Dio ad Adamo, dopo il peccato originale. “Non è costui il falegname?” aggiunsero. Gesù infatti imparò il mestiere  da suo padre secondo la Legge, san Giuseppe. E’ bello pensare a quelle mani che compirono la stessa opera di Dio, nella creazione del Mondo, e che ora faticano, come per  ognuno di noi, fino a quando lo sosterranno, inchiodate, sul legno della Croce. E’ sempre lo stesso scandalo di un Dio fatto carne (Giovanni 1, 14), sottoposto alla legge della fatica umana, del lavoro, della veglia, del sonno, della vita e della morte. La sua carne è il centro della fede cristiana. “Caro salutis cardo” diceva Tertulliano (terzo secolo), padre della Chiesa, per indicare che è sempre la carne umana del Cristo ad essere la base, il fondamento, il sacramento della nostra salvezza. “E’ in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Colossesi 2, 9) ha esclamato l’apostolo Paolo.

Oggi molti di noi sono tentati di dire: “Se vedessi Gesù con i miei occhi, se lo toccassi… gli crederei”. Nulla di più falso. I suoi compaesani lo hanno rifiutato proprio perché lo vedevano tutti i giorni come un ragazzo qualsiasi. E, morto san Giuseppe, lo vedevano lavorare per mantenere sua Madre Maria.

“Figlio di Maria!” (Marco 6, 3) è un insulto, un sospetto sulla sua nascita… senza un padre vero. Nella tradizione giudaica il figlio è sempre identificato con il nome del padre, anche se poi il padre non c’è più, perché muore. Come il re Davide era sempre il figlio di Jesse (1 Samuele 16, 12).

Gli abitanti di Nazareth nella sinagoga  lo identificano come il figlio di una ragazza madre. Un insulto e una calunnia. La Legge Mosaica puniva con la lapidazione le ragazze madri (Deuteronomio 22, 20-22). I Vangeli di Matteo e di Luca ci spiegano come Maria, la più santa di tutte le donne, ha avuto Gesù per intervento dello Spirito Santo. Dio ha compiuto in lei un miracolo che solo il Signore poteva fare (Luca 1, 35).

“Un profeta non è disprezzato – ha detto Gesù – se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua” (Marco 6, 4). Perché il profeta è disprezzato? Perché egli è sempre in sintonia con Dio e non fa che manifestare la sua parola e la sua volontà. Ma l’ambiente religioso tradizionale fa sempre difficoltà ad accettare le novità di Dio. Si dice infatti: “Abbiamo sempre fatto così! Perché cambiare?”. Il Vangelo ci invita (ed è questa la grande novità cristiana) ad accettare che Gesù è Dio. Ma a proclamare addirittura che Dio è questo uomo Gesù.

Questo vale per gli abitanti di Nazareth, ma anche per noi oggi. Lo scandalo della fede è costituito dal fatto che la sapienza e la potenza di Dio parli e operi nella follia e nell’impotenza di un amore fatto carne, in Gesù, figlio di Maria di Nazareth (2 Corinzi 13, 4).

San Daniele Comboni (1831-1881), definito dallo scrittore suo biografo Domenico Agasso (1921-2020) “Il profeta dell’Africa”, ha lavorato tutta la vita perché gli abitanti del suo Vicariato  fossero considerati “figli di Dio”, come ci insegna il Vangelo. Ha visto con i suoi occhi la tratta degli schiavi, questa piaga dell’umanità, contro la quale ha lottato con tutte le sue energie.  Così scriveva alla Società di Colonia nel 1868: “Solamente Colui che con il suo sacrificio sul Golgota volle che fosse estirpata per sempre dalla Terra la schiavitù…., solamente Lui potrà liberare l’Africa da questa orrenda piaga!”.

In questo il Comboni fu profeta e un vero apostolo di Cristo.

 

Tonino Falaguasta Nyabenda

missionario comboniano
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