Allora come fare per incontrare Dio? Nel libretto che ho scritto dal titolo: “Bibbia: una parola per noi”, a pagina 11, ci sono delle indicazioni al riguardo. Per incontrare Dio non c’è che una strada, quella di attraversare tutto il cammino dell’uomo Gesù, che arrivò perfino a svuotarsi, come dice san Paolo: “Egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Filippesi 2, 6-7).
Nel Mondo attuale va di moda il panreligionismo (= supermercato delle Religioni); si prende da qualsiasi religione ciò che piace e si fabbrica una religione secondo i propri comodi. Solo il Cristianesimo e l’Ebraismo (da cui il primo nasce) fanno la differenza con gli altri movimenti religiosi nel Mondo (come il New Age, il Buddhismo, lo Yoga, la fede Baha’i, ecc.). Solo il Cristianesimo contempla la meraviglia di un Dio che cerca l’uomo. Non è l’uomo che diventa Dio, ma è Dio che diventa uomo (Giovanni 1, 14). E’ stata la lotta di tutta la vita di san Massimo il Confessore (590-662). Ne ha parlato Papa Benedetto XVI nell’udienza generale del 25 giugno del 2008. San Massimo ha insegnato che l’uomo è il “sì a Dio”. Adamo ha pensato che il suo “no a Dio” fosse l’apice della libertà. Per Gesù invece, anche se la sua natura umana poteva desiderare il “no”, ha capito che con il suo “sì a Dio”, nella unificazione della sua volontà a quella di Dio, poteva entrare nel mistero della realtà divina. Nel Getsemani Gesù ha esclamato: “Non sia fatta la mia, ma la tua volontà” (Luca 22, 42). E l’uomo, completamente salvato e liberato dal desiderio adamitico di “essere come Dio” (Genesi 3, 5), diventa finalmente una creatura nuova, cioè redenta.
Domenica scorsa il Vangelo (Marco 4, 35-41) ci ha mostrato che Gesù è veramente YHWH (= il nome di Dio), perché dominatore dei mari e dei venti. Con Lui nella barca (= chiesa) non possiamo temere nulla, dobbiamo piuttosto accettare di andare “dall’altra sponda”, nella Decapoli, nelle terre pagane, anche in quelle che sono tali nel Mondo di oggi, per annunciare il Vangelo e portare l’amore di Dio a tutta l’umanità.
Il Vangelo di oggi (Marco 5, 21-43) ci parla di due donne. I due episodi sono legati dalle parole: donna e dodici. Due donne: una agli inizi del fiorire della vita e la seconda alle prese con una malattia che la esclude dalla comunità, rendendola impura. Nella tradizione giudaica, anche al tempo di Gesù, la donna occupa un posto inferiore nella società. Con il rabbi di Nazareth le cose vengono cambiate completamente: la dignità della donna viene promossa come quella di ogni persona umana. Le due donne, la figlia di Giairo, morente, e l’emorroissa, sono due donne impure secondo la legge. La cifra 12 indica Israele, che è malato e senza speranza. La ragazza morente indica pure il mondo pagano, escluso dalla salvezza. Ma con Gesù le cose cambiano. La ragazza torna alla vita, come si addice a quella età, e cioè è pronta per il matrimonio. Fuori metafora, l’evangelista vuol farci capire che per Gesù, grazie alla sua Pasqua, Israele può indossare la veste nuziale della sposa e camminare verso un futuro di speranza nel Regno di Dio.
L’emorroissa è una donna senza nome, perché riflette tutti coloro che sono nella stessa posizione. Avendo flusso di sangue, è impura, secondo la legge mosaica. E’ esclusa dalla comunità. Si avvicina a Gesù, che ha toccato e guarito anche i lebbrosi (Marco 1, 40-45). Tocca il suo mantello. Per la Bibbia il mantello indica la persona. Toccandolo, rende impuro anche Gesù. Un delitto degno di un castigo. Ma lo fa furtivamente e Gesù sente che una forza è uscita da Lui. E a Gesù non gli importa della legge. Al di sopra delle leggi c’è la salvezza dell’uomo e della donna. “Chi ha toccato le mie vesti?” chiede il Cristo (Marco 5, 34). Gli apostoli non capiscono nulla di quello che sta succedendo. Ma la donna si confessa timidamente. “Figlia – esclama Gesù, – la tua fede ti ha salvata! Va’ in pace!” (Marco 5, 34). Non deve andare nel Tempio di Gerusalemme per offrire un sacrificio per la sua guarigione. No! Deve tornare nella sua famiglia, nella sua comunità, per poter vivere nella gioia l’amore di Dio.
San Daniele Comboni (1831-1881) ha incontrato nel suo Vicariato dell’Africa Centrale una moltitudine di donne che vivevano in situazioni difficili di schiavitù, di sfruttamento, di malattie e di violenza. Per questo, per un’efficacia sicura nell’apostolato, ha voluto la donna consacrata nella sua Missione e ha fondato nel 1872 le “Pie Madri della Nigrizia”, oggi conosciute come “Suore Missionarie Comboniane”. Così scriveva a Madre Maria Annunziata Coseghi da Khartoum (Sudan), il 24 luglio 1878: “Perché il più piccolo e insignificante Istituto, qual è il mio, ha potuto consolidare l’apostolato nell’Africa Centrale? Perché ho consacrato solennemente il Vicariato al Sacro Cuore di Gesù, al Cuore Immacolato di Maria e a san Giuseppe, … E perché nell’apostolato dell’Africa Centrale ho fatto concorrere l’onnipotente ministero della donna del Vangelo e della Suora di Carità, che è lo scudo, la forza e la garanzia del ministero del Missionario!”.
Tonino Falaguasta Nyabenda
Vicolo Pozzo 1
37129 V E R O N A