Affrontare la questione della ristrutturazione del debito estero. E poi non pensare di poter contrastare il cambiamento climatico e i suoi effetti sui sistemi agroalimentari ignorando le necessità e le potenzialità dei piccoli coltivatori, che di questi sistemi sono l’architrave. Inizia oggi in Puglia l’incontro di più alto livello del G7 a presidenza italiana e quelle citate sono le due principali richieste che realtà africane hanno rivolto ai sette grandi, e in modo particolare al nostro governo “padrone di casa”.
Questi due elementi emergono da una serie di documenti che realtà politiche e sociali del continente hanno inviato alla presidente del consiglio Giorgia Meloni o direttamente al forum dei 7 in quanto tale. Al centro di questi interventi c’è la richiesta di una maggiore presa in carico della risposta ai cambiamenti climatici, di cui l’Africa è responsabile per meno del 10% ma di cui è una delle regioni più colpite e in assoluto quella meno in grado di farvi fronte.
Un assioma che non manca di dimostrazioni pratiche: la siccità che sta colpendo oltre 60 milioni di persone in Africa australe a esempio, già emergenza nazionale in Malawi, Zimbabwe e Zambia. E poi, sull’altro lato del continuum degli eventi estremi che caratterizzano la crisi climatica, le devastanti inondazioni in Africa orientale, che a maggio in soli cinque giorni hanno costretto oltre 230mila persone a lasciare le loro case. In tutto, riportano le Nazioni Unite, le piogge torrenziali hanno colpito 1,6 milioni di abitanti della regione fra Etiopia, Kenya, Uganda, Somalia, Tanzania e Burundi.
La consapevolezza di quanto la questione sia importante sembra esserci, se è vero che il G7 pugliese si è aperto oggi con un incontro dedicato proprio al tema “Africa, cambiamento climatico e sviluppo”. Una decisione, quella di aprire la tre giorni di lavoro su questo tema, che rende ancora più rilevanti le dichiarazioni che provengono dal continente.
L’appello dei deputati
In una lettera 50 parlamentari da 20 paesi – fra i quali Nigeria, Egitto, Etiopia, Ghana e Kenya – hanno chiesto al summit di impegnarsi a fare tre cose: «Considerare la cancellazione e la ristrutturazione del debito; assistere nella riforma dell’architettura finanziaria che grava sulle nazioni africane; mantenere i propri impegni in materia di clima e finanza».
Ovvero, come ribadito, o quanto meno come non messo in discussione al recente G7 ambiente che si è tenuto a Torino a fine aprile, stanziare i 100 miliardi di dollari all’anno promessi a decine di paesi in via di sviluppo alla Cop15 di Copenaghen. Una cifra raggiunta per la prima volta solo nel 2022 e comunque assolutamente inferiore ai triliardi di dollari di cui necessiterebbero i beneficiari, cioè quei paesi che più di tutti pagano il prezzo della crisi climatica pur avendo partecipato in minima parte a determinarla.
I deputati africani scrivono anche con la consapevolezza che a oggi molti paesi della regione stanno già impiegando risorse ingenti per affrontare la crisi climatica e i suoi effetti, fino al 4% dei loro Prodotti interni lordi solo per quanto concerne le politiche di adattamento.
I parlamentari del continente puntano i riflettori anche sulle potenzialità del continente però, e sul bisogno di fondi per poterle mettere a frutto: «Deteniamo il più grande potenziale mondiale nel campo delle energie rinnovabili – si legge nel documento – con una capacità di energia eolica sufficiente a soddisfare un fabbisogno energetico 250 volte superiore, producendo allo stesso tempo il 40% dell’energia solare mondiale».
Eppure, si denuncia nella missiva, «dei 495 miliardi di dollari investiti a livello globale in energie rinnovabili nel 2022, l’Africa ha ricevuto solo lo 0,8%. Tra il 2000 e il 2020, il continente ha attirato solo il 2% degli investimenti globali nelle energie rinnovabili».
Bastano pochi dati invece, a far capire l’entità del problema del debito. Il Debt Relief for Green and Inclusive Recovery (DRGR) è un’iniziativa nata dalla collaborazione fra grandi università e centri di ricerca che fornisce dati e analisi per sostenere una riforma del debito e politiche più efficaci nella lotta al cambiamento climatico.
In un suo recente report, questo ente ha calcolato che i livelli del debito estero sono più che raddoppiati dal 2008 a oggi e che il 2024 sarà l’anno più costoso di sempre in questo senso. Le conseguenze sono presto dette: qualora decidessero di stanziare le risorse necessarie per essere in linea con gli obiettivi sul clima degli accordi di Parigi, 47 paesi emergenti o in via di sviluppo andrebbero in default sul debito nei prossimi cinque anni. Molti di questi paesi sono africani, fra loro ci sono Senegal, Nigeria e Kenya.
La prospettiva del Madagascar
Come accennato, gli appelli in vista del G7 sono partiti da più parti. Emblematico il messaggio del ministro dell’agricoltura del Madagascar, Suzelin Rakotoarisolo Ratohiarijaona. L’isola è responsabile dello 0,1% del totale delle emissioni di Co2 eppure, secondo l’Onu, è il quarto paese più vulnerabile ai cambiamenti climatici al mondo. Una fragilità che si mostra nella siccità e nei cicloni che attanagliano e colpiscono soprattutto le regioni meridionali dell’isola.
Nel suo appello al G7 il ministro fa riferimento in modo particolare all’ApuliaFood Security Initative. Si tratta di un programma che l’Italia dovrebbe lanciare durante la tre giorni di lavoro del G7. L’iniziativa, che presenta un focus sul continente africano, prende le mosse dalla Sustainable Agriculture, Resilient Food Systems, and Climate Action Declaration, firmata da 159 paesi alla Cop28, e mira ad affrontare il nesso fra crisi climatica e alimentare per migliorare la sicurezza alimentare e rendere l’agricoltura più resiliente ai cambiamenti climatici.
Ratohiarijaona, rilanciato dal portale di approfondimento African Arguments, ha chiesto ai leader del G7 di «soddisfare le esigenze dei 33 milioni di piccoli agricoltori africani, che producono fino al 70% del cibo consumato nel continente, sostengono il sostentamento di milioni di persone e sono fondamentali per l’offerta globale di beni come riso, caffè e grano».
A questo fine è necessario fare arrivare a queste persone le risorse necessarie, visto che i piccoli coltivatori spendono all’anno 368 miliardi di dollari nell’adattamento climatico ma riescono ad accedere in media a solo il 3,6% degli aiuti climatici destinati all’Africa. Lo sforzo creativo dei contadini è centrale per sviluppare resilienza rispetto al climate change. Anche per sostenere loro quindi, dice il ministro, il G7 «deve incoraggiare il passaggio a forme di agricoltura più diversificate e rispettose della natura, che sono fondamentali per la sicurezza alimentare».
Le istanze del dirigente malgascio sono in linea con quelle di cinque organizzazioni di rappresentanza dei piccolo produttori da tutto il continente africano. Le realtà in questione hanno inviato una lettera direttamente a Meloni. Anche queste federazioni di contadini chiedono alla premier di «coinvolgere le organizzazioni di piccoli agricoltori fin dall’inizio del processo decisionale» e di non ignorarli, come invece sarebbe avvenuto per quanto riguarda la Apulia Food Security Initative.
I contadini inoltre, si sono appellati al governo italiano affinchè si impegni a far arrivare ai piccoli produttori i fondi necessari, promuovere la transizione verso sistemi agroalimentari più sostenibili e aumentare la trasparenza e la verificabilità dei processi di finanziamento.
Brando Ricci – Per Nigrizia