Anche in questa Domenica siamo chiamati a meditare la Parola di Dio. A “tornare in Galilea”. Nel Vangelo di Marco, l’Angelo invita le donne, andate al sepolcro nel giorno di Pasqua, a cercare altrove: “Il Crocifisso è risorto, non è qui… Dite ai suoi discepoli e a Pietro: ‘Vi precede nella Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto’!” (Marco 16, 6-7). La Galilea è dove è incominciata la predicazione di Gesù ed è il luogo della vocazione degli Apostoli.
E’ nella Galilea che essi vivevano, avevano le loro famiglie, il loro lavoro. La Galilea appunto significa: la vita quotidiana. La fede non è un’ideologia da comunicare, oppure un’illuminazione che si può ottenere con tecniche spirituali (esempio: nel Buddhismo). E’ l’esperienza della rivelazione storica di Dio. Questo ha valso per gli Apostoli e vale anche oggi per ciascuno di noi. Il Vangelo di Marco (che stiamo leggendo) ha questo scopo. Non siamo come Ulisse, dominato dalla nostalgia del passato e dallo sforzo per tornare nella sua patria natia. Noi siamo come Abramo, sempre in cammino, sempre alla ricerca di un’esperienza di Dio più profonda e vitale.
Noi oggi non possiamo non partire dalla Pasqua del Signore Gesù, non possiamo non ricordarla facendone il memoriale (soprattutto nell’Eucaristia). Devo approfondire la mia relazione con il Cristo. Per questo devo “tornare in Galilea”. Se ascolto Gesù e lo seguo (come ci invita a fare il Vangelo di Marco), lo accolgo come Messia (= Cristo) e come Figlio di Dio, che proclama la venuta del Regno dei Cieli. Se credo, mi metto alla sequela del Rabbi itinerante di Nazareth. Ogni incontro con Lui diventa “salvifico” e inoltre scopro che quanto è narrato dall’evangelista Marco si realizza.
Per la potenza dello Spirito Santo, un po’ alla volta, sono trasfigurato. Ero tenebra, egoismo, inquietudine, cattiveria, schiavitù… Piano piano, grazie all’incontro con Gesù e con lo stare con Lui, divento luce, amore, gioia, pace, benevolenza, libertà… Lo afferma anche l’Apostolo Paolo (Galati 5, 22). L’incontro con Gesù mi fa vivere una vita da figlio nel Figlio (= Gesù), una vita da risorto nel Risorto (= Gesù).
Il grande biblista Silvano Fausti (1940-2015) ci spiega come è questo lo scopo del Vangelo di Marco. E’ una catechesi, rivolta a non Israeliti (= pagani) che vogliono diventare discepoli di Gesù (cioè sperimentare la salvezza). La loro vita ha pertanto un percorso sinoidale verso una conoscenza, una fede, un amore sempre più forte nei riguardi di Gesù il Cristo, il Figlio di Dio, nel quale tutta l’umanità sperimenterà la salvezza (Marco 10, 45).
Le letture di questa Domenica ci parlano dell’acqua. Discutendo con Giobbe (prima lettura), Dio dichiara di esserne il padrone, perché ne è il creatore. Nel Vangelo di oggi (Marco 4, 35-41), Gesù si manifesta come Dio, avendo il potere di dominare le acque, di calmare il vento, di liberarci da Leviathan, il mostro marino, nelle cui mani ci ha cacciato la paura della morte. Gesù non ha paura; è seduto sulla poppa e dorme, appoggiato a un cuscino. Sono immagini: la piccola barca, sulle acque in tempesta, non è certo il luogo dove si può schiacciare un pisolino. Ma il Signore aveva appena raccontato alcune parabole sul Regno di Dio. Il quale è come un piccolo seme, che crescerà e potrà ospitare i nidi di uccelli (= i popoli pagani, anche loro, sono chiamati alla salvezza). “Passiamo di là” è l’invito del Signore, sull’altra sponda del lago di Galilea, una regione abitata da pagani. I discepoli, anche alla luce delle parabole raccontate da Gesù, si aspetterebbero un Regno capace di dominare il Mondo. Ma Gesù sulle piccola barca dorme ed è disposto ad andare anche a fondo. Ma sa che risorgerà, vittorioso del male e della morte. I discepoli, invece, gridarono spaventati: “Maestro, non ti importa che siamo perduti?” (Marco 4, 38). Gesù si destò allora. Ma come faceva a dormire? Addirittura aveva appoggiato il capo su un cuscino “cervicale”, utilizzato per sollevare la testa di un cadavere.. E’ un chiaro riferimento alla morte e alla risurrezione: cioè alla Pasqua. “Taci, chiudi la bocca!” (Marco 4, 39). In questo modo i discepoli sono invitati a scacciare la paura, che è il contrario della fede, perché Gesù è di condizione divina.
Ma i discepoli lo capiranno solo dopo la Pasqua e dopo la Pentecoste. Allora, avendo la fede, non avranno più paura, affronteranno pure la morte del martirio. E andranno dappertutto per annunciare ad ogni creatura il Vangelo. “Chi crederà e sarà battezzato – disse loro Gesù dopo la Pasqua, apparendo in Galilea – sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato” (Marco 16, 16).
La domanda fondamentale del Vangelo di Marco è sempre la stessa anche per noi oggi: “Chi è costui che anche il mare e il vento lo ascoltano?” (Marco 4, 41). Che risposta possiamo dare? Una risposta dettata dalla paura e quindi senza fede? No! Noi sulla parola di Gesù, accettiamo addirittura di andare a fondo con Lui, perché sappiamo che con Lui ritorneremo a vivere, emergendo a una vita nuova!
San Daniele Comboni (1831-1881) scrivendo a suo padre, il 5 marzo 1858, dalla Missione Santa Croce (Sudan), così diceva: “Noi venimmo qua… allo scopo di portare agli Africani il più gran bene che ci sia, il Vangelo. Dovremo faticare, sudare…, ma il pensiero che si suda e si fatica per amore di Gesù e per la salute delle anime le più abbandonate del Mondo, è troppo dolce per spaventarci!”.
Tonino Falaguasta Nyabenda
missionario comboniano
Vicolo Pozzo 1
37129 V E R O N A