La festa del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (o Corpus Domini) è legata alla Pasqua. Ne è come il prolungamento. Nell’Antico Testamento infatti la Pasqua era vissuta attorno a un banchetto (Esodo 12, 3-11). Veniva mangiato un agnello, con i fianchi cinti e pane azzimo. Bisognava cioè fare in fretta per essere liberati dalla schiavitù d’Egitto. Per noi l’Agnello è Gesù e la liberazione riguarda la nostra vita immersa nei limiti della fragilità umana e nella schiavitù del peccato e della morte.
Che cosa dice Papa Francesco a proposito di questa festa? La solennità dedicata al Sacratissimo Corpo e Sangue di Gesù Cristo riassume in sé tutto il mistero della salvezza. “”Nell’Ultima Cena – dice Papa Francesco – Gesù dona il suo Corpo e il suo Sangue mediante il pane e il vino, per lasciarci il memoriale del suo sacrificio di amore infinito. E con questo viatico ricolmo di grazia, i discepoli hanno tutto il necessario per il loro cammino lungo la storia, per estendere a tutti il Regno di Dio. Luce e forza sarà per loro il dono che Gesù ha fatto di sé, immolandosi volontariamente sulla Croce. E questo pane di vita è giunto fino a noi! Non stupisce mai lo stupore della Chiesa davanti a questa realtà. Uno stupore che alimenta sempre la contemplazione, l’adorazione e la memoria”.
La festa del Corpus Domini è stata celebrata per la prima volta a Liegi (Belgio) nel 1247. Poi Papa Urbano IV (papa dal 1261 al 1265) la estese a tutta la Chiesa. Ma per 1200 anni la Chiesa ha celebrato la festa dell’Eucaristia sempre il Giovedì Santo, come ci spiega anche il Vangelo di oggi (Marco 14, 12-26).
Nel libro del Deuteronomio si danno delle istruzioni per la celebrazione delle feste in Israele. “Gioisci davanti al Signore tuo Dio – dice Mosè – tu, tuo figlio, il tuo schiavo e la tua schiava, il levita che abiterà le tue città, il forestiero, l’orfano e la vedova che saranno in mezzo a te” (Deuteronomio 16, 11). I discepoli di Gesù, sull’esempio dei loro antenati nella fede, celebrando l’Eucaristia-Memoriale, nel Medioevo, mettevano da parte le specie eucaristiche per chi non poteva partecipare all’assemblea, come i malati e i prigionieri. Da qui l’abitudine di conservare le Ostie consacrate in un tabernacolo. E da qui anche la diffusione di pratiche di devozione, come processioni, adorazioni, benedizioni eucaristiche, quarantore, ecc. Papa Francesco, se si organizza una processione, fa questo commento: “La processione con il Santissimo Sacramento ci ricorda che siamo chiamati a uscire di chiesa portando Gesù. Uscire con entusiasmo portando Cristo a coloro che incontriamo nella vita di ogni giorno!”.
Eucaristia significa riconoscenza, gratitudine e anche ringraziamento. Leggendo i Vangeli Sinottici e anche san Paolo (1 Corinzi 11, 23-27), il termine Eucaristia designa l’azione istituita dal Cristo (= Sacramento) alla vigilia della sua morte, durante l’Ultima Cena. Con quest’atto decisivo il Signore ha affidato a degli alimenti semplici e ordinari il valore eterno della sua morte redentrice. Nel Vangelo di oggi (Marco 14, 12-26), Marco racconta l’Ultima Cena di Gesù, facendo riferimento alla conclusione dell’Alleanza, ai tempi di Mosè (Esodo 24, 3-8). Viene sottolineata l’importanza della Legge (da osservare) e del sangue sparso sul popolo. L’evangelista scrive (nel testo greco) che Gesù prese pane, senza articolo. Non prese “il pane”, cioè quello azzimo, usato dagli Ebrei per la cena pasquale. In questo modo Marco sottolinea la differenza con quella cena. Lo stesso vale per il vino. Gesù prese un calice con il vino, rese grazie e distribuì ai discepoli perché bevessero.
Con il pane il Signore dice “benedire”, con il vino si utilizza il verbo “rendere grazie”. Perché? Quanto al pane, Marco fa riferimento ai due episodi della moltiplicazione (o meglio condivisione) del pane, il primo in territorio giudaico (Marco 6, 30-44); il secondo nella Decapoli, in territorio “pagano” (Marco 8, 1-9). In questo modo l’evangelista vuol farci capire che l’Eucaristia non è solo per Israele, ma per tutta l’umanità. Quanto al vino consacrato, divenuto Sangue di Cristo, non può essere come quello degli animali, che veniva sparso sul popolo, come aveva fatto Mosè. Con Gesù, il sangue della Nuova Alleanza è l’effusione dello Spirito Santo.
Durante la cena pasquale degli Ebrei, si leggeva il Salmo 79, nel quale si dice che la collera di Dio è riversata sui pagani (= non Ebrei). Ora per Gesù non è più la collera di Dio che è riversata sull’umanità, ma il suo sangue. E il sangue di Gesù è la vita divina, questa vita che ci dona la capacità di amare, come Dio ama tutti e tutte le creature.
Gesù si fa pane ed è la sua carne. Come dice l’evangelista Giovanni, il Figlio di Dio, il Logos, divenne carne (Giovanni 1, 14). Questo termine significa l’uomo nella sua realtà umana di fragilità, di debolezza e di limite. La vita che Gesù ci dona, mangiando la sua carne e bevendo il suo sangue, è la vita stessa di Dio. Questa vita non si dà al di fuori della realtà umana. Il dono di Dio cioè passa sempre attraverso la carne di Gesù. Questa vita, promessa da Gesù (Giovanni 6, 47-51) non riguarda il futuro, ma è per adesso nel presente. Chi, come Gesù, mangiando il pane eucaristico e bevendo dal calice benedetto, fa un dono di amore per gli altri, acquista una vita con una qualità tale da diventare indistruttibile, così da superare anche la morte, per vivere sempre in comunione con il Dio Trinità.
San Daniele Comboni (1831-1881) era profondamente convinto di tutto ciò. Per questo, il 2 giugno 1874, scrivendo al Cardinale Alessandro Franchi, prefetto di Propaganda Fide e suo superiore, diceva che i suoi Missionari in Africa dovevano avere un’attenzione particolare all’Eucaristia, partecipare ogni giorno alla Santa Messa e dedicare un tempo conveniente all’adorazione del Santissimo Sacramento.
Tonino Falaguasta Nyabenda
Vicolo Pozzo 1 – 37129 V E R O N A