Con le ultime due domeniche del tempo pasquale entriamo nella preparazione immediata alle feste dell’Ascensione e della Pentecoste. Sono le domeniche del commiato. Il vangelo di questa domenica e della prossima ci offre dei brani del discorso di addio di Gesù ai suoi discepoli durante l’ultima cena. Si tratta del suo testamento, prima della passione e morte. Perché riprendere questi testi proprio nel periodo pasquale? La Chiesa segue l’antica tradizione di leggere durante questo tempo i cinque capitoli di Giovanni relativi all’ultima cena, dal 13 al 17, nei quali Gesù presenta il senso della sua “pasqua”.

Vigna pregiata o vigna bastarda?

Nella tradizione profetica, il popolo di Dio viene spesso presentato come vite scelta e vigna pregiata: “Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle… Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha prodotto acini acerbi?” (Isaia 5,1-7); “Io ti avevo piantato come vigna pregiata, tutta di vitigni genuini; come mai ti sei mutata in tralci degeneri di vigna bastarda?” (Geremia 2,21). Dio è deluso perché dopo la cura e l’amore per la sua vigna, si attendeva dei frutti e, invece, la vigna degenerata produce acini acerbi. Come non vedere qui il lamento del Signore sulle nostre situazioni di infedeltà?!

Il Signore però non abbandona la sua vigna e risponde alla preghiera del salmista: “Dio degli eserciti, ritorna! Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna.” (Salmo 80,9-17). Ed ecco la promessa messianica: “Nei giorni che verranno Giacobbe metterà radici, Israele fiorirà e germoglierà, riempirà il mondo di frutti. (Isaia 27,2-5). La visita di Dio e l’adempimento della sua promessa avviene con Gesù. È lui la vite, il vero Israele fedele che offrirà al Padre “il vino nuovo” (Giovanni 2,10).

1. La vite, i sarmenti e l’agricoltore: il nostro rapporto col PADRE

Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore”. Il Padre è l’agricoltore. Cosa fa? “Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto”. La potatura è qualcosa di essenziale per la fecondità della vite ed è un’arte, perché bisogna sapere cosa, dove e come tagliare. Da una parte, è necessario tagliare i sarmenti che non produrranno frutto e indebolirebbero la pianta. Dall’altra, potare i tralci che daranno frutto per favorirne la quantità e la qualità. Questo si fa verso l’inizio dell’inverno. Quando poi spuntano i germogli, si rimuovono quelli più deboli e, più tardi, anche le foglie che non favoriscono la crescita del grappolo.

Dall’immagine alla realtà: Dio opera nella nostra vita una potatura o purificazione continua. La forbice che egli utilizza è, in primo luogo, la sua Parola, ma pure gli eventi della vita, la correzione fraterna e, addirittura, la critica dei non-credenti, talvolta sfregiante e spietata. Da parte nostra, ci vuole una attenzione permanente per recidere quanto sta indebolendo la nostra vita cristiana. Lasciamoci potare dalle mani del Padre!

2. Rimanere in Cristo per portare frutto: il nostro rapporto col FIGLIO

Rimanete in me e io in voi”. Per esprimere l’unione dei tralci alla vite, Gesù impiega il verbo “rimanere”, un verbo molto caro a Giovanni. Qui, nel brano di oggi, compare sette volte e una quarantina di volte in tutto il vangelo. Letteralmente il verbo significa “dimorare”. Il nostro rapporto con Cristo è quello di una dimora vicendevole: io in Lui e Lui in me. San Paolo esprime questa stessa realtà con l’espressione “essere in Cristo”, che troviamo innumerevoli volte (164) nelle sue lettere. “Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me!” (Galati 2,20). Rimanere, dimorare, essere in Cristo significa essere inseriti in Gesù, lasciarsi guidare dalla sua Parola, avere il suo modo di pensare, di sentire e di agire. Questo è frutto di un lungo processo di frequentazione col Signore: “Maestro, dove dimori? – Venite e vedrete!” (Giovanni 1,38).

Scendendo al concreto della vita, dobbiamo ammettere che, purtroppo, smarrire questa sintonizzazione del cuore e della vita con Cristo non è poi tanto difficile. Ciò può avvenire in un modo quasi impercettibile e surrettizio, e subentra allora l’adeguamento ad una “mentalità mondana”. Ci vuole una attenzione continua sui nostri pensieri, desideri e interessi. Bisogna effettuare periodicamente un esame di coscienza per vedere dove dimora il nostro cuore, perché “dov’è il tuo tesoro là sarà il tuo cuore” (Matteo 6,21).

Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto”. “In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto”. L’espressione “portare frutto” appare sei volte nel brano del vangelo. Qual è questo frutto? L’amore! “Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato.” (seconda lettura). Solo l’amore resterà, quando la nostra vita sarà sottoposta al fuoco della verità: “L’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno.” (1 Corinzi 3,13).

Pensiamo bene: il Signore ha investito tutto sulla nostra vita, correndo grandi rischi. C’è come una simbiosi tra la vite e i tralci. Senza la vite i tralci seccano e sono bruciati, ma senza i tralci la vite rimane sterile. “In ogni istante della vita, noi costituiamo un argomento pro o contro Gesù Cristo” (romanziere francese René Bazin, 1853-1932).

3. La linfa della vite: il nostro rapporto con lo SPIRITO SANTO

È lo Spirito la linfa vitale che scorre nella vite e nei tralci. “Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.” (seconda lettura). Coltivare, curare il nostro rapporto con lo Spirito è la condizione indispensabile per condurre una vita cristiana feconda e rigogliosa. Per di più, vivendo noi in una condizione di “diaspora”, in un contesto di crescente secolarismo e marginalizzazione della fede, non possiamo sopravvivere senza “il conforto dello Spirito Santo” (prima lettura).

Per la riflessione settimanale

Spesso lasciamo crescere tanti germogli che producono solo fogliame. Coltiviamo troppi interessi che ci assorbono energie e compromettono la qualità dei frutti. C’è tanta futilità, banalità, interessi effimeri e doppiezza che ci distolgono dalle cose importanti! In un momento di intimità col Signore, cerchiamo di fare un discernimento su qualche situazione della nostra vita che sta indebolendo la nostra fecondità e chiediamo il coraggio di tagliare o di potare là dove vediamo di dover agire con più determinazione.

P. Manuel João Pereira Correia mccj
Verona, 25 aprile 2024