La terza Domenica di Pasqua (14 aprile 2024) è sempre un tempo di grazia, nel quale Cristo Risorto si rende presente nell’Eucaristia. Noi Cristiani formiamo una comunità attorno al Cero Pasquale, simbolo luminoso del Cristo Risorto. Noi tutti infatti siamo chiamati a vivere come persone risuscitate. San Paolo ci insegna: “Per mezzo del Battesimo siamo stati sepolti assieme a Lui (= Cristo) nella morte… Se infatti siamo stati intimamente uniti a Lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione” (Romani 6, 46). La Parola di Dio, proclamata oggi, ci aiuta a gustare la Pasqua nella dimensione del dopo la morte e dopo la risurrezione. I Vangeli ci parlano di Gesù durante la sua vita terrena in un tempo determinato e in un luogo ben preciso. Gli Atti degli Apostoli ci parlano del Signore, ma attraverso la vita degli Apostoli, e degli uomini e delle donne della prima generazione cristiana. Questa prima generazione resta sempre il modello tipo, valido in ogni tempo, anche per noi oggi.

La prima lettura (Atti 3, 13-19) ci riporta il secondo discorso missionario dell’Apostolo Pietro, tenuto dopo la guarigione del paralitico nel Tempio di Gerusalemme ((Atti 3, 1-11). A guarire il povero storpio non è stato Pietro, ma è stato guarito “nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno” (Atti 3, 6). E questo per dimostrare che Gesù, crocifisso, morto e sepolto, è risorto ed è operante nella vita del popolo, non solo in Israele, ma dappertutto dove si crede in Lui e dove si celebra l’Eucaristia.

E’ interessante ricordare quanto è avvenuto ad Abitina (nella Tunisia attuale) con il martirio di 49 Cristiani. Siamo al tempo dell’imperatore Diocleziano nel 303. Un suo editto obbligava i Cristiani a distruggere i libri sacri della Bibbia e a non celebrare più l’Eucaristia nel giorno di domenica. Il Vescovo di nome Fundano obbedì. Ma i 49 Cristiani, guidati da Emerito, risposero al proconsole Anulino: “Sine dominico non possumus” (= senza l’Eucaristia della Domenica non possiamo vivere). Così affrontarono i supplizi e la morte a Cartagine. Avevano capito l’importanza della messa dominicale, nel ricordo della Pasqua del Signore Gesù.

Il biblista francese Daniel Sesboué ci spiega perché la Chiesa dà così grande importanza alla domenica, questa Pasqua della settimana.  E soprattutto all’Eucaristia che vi è celebrata. Vi si concentra infatti la celebrazione del mistero pasquale del Signore Gesù, commemorato nella Messa. E’ giusto allora che la comunità cristiana si raduni nel giorno della risurrezione, che diviene pertanto il punto di partenza della settimana e la cui irradiazione splende con forza divina.

L’Eucaristia è il luogo dell’esperienza divina, è il sacramento nel quale vediamo e tocchiamo il Signore Gesù. “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Giovanni 20, 29) ha detto Gesù, dopo la professione di fede di Tommaso. “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete!” (Luca 10, 23). E’ la santa invidia di noi tutti, che veniamo nelle generazioni successive. Ma nel Vangelo di oggi si dice che anche i Discepoli, pur avendo visto e toccato il Signore, devono riconoscerlo e credergli attraverso la memoria della sua parola e la celebrazione dell’Eucaristia. La parola e il pane spezzato sono il segno della presenza costante di Gesù Risorto nella sua Chiesa. Noi solo così possiamo riconoscerlo.

Ma che differenza c’è fra l’esperienza degli Apostoli e la nostra? Essi hanno toccato e contemplato il corpo del Signore, anche fisicamente. Noi invece contempliamo e tocchiamo la sua carne solo spiritualmente, attraverso la testimonianza degli Apostoli e attraverso il memoriale eucaristico. Lo dice chiaramente san Giovanni: “Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani hanno toccato…., noi lo annunciamo anche a voi” (1 Giovanni 1, 1-3).

La sera di Pasqua, alla vista di Gesù Risorto, gli Apostoli si spaventarono, perché credevano di aver visto un fantasma. Allora Gesù esclamò: “Sono io!” (Luca 24, 39). E’ il sacro tetragramma: JHWH o il nome di Dio (Esodo 3, 14), che Dio rivelò a Mosè. E poi mostrò le mani e i piedi con i segni dei chiodi. Gesù cioè fa capire che è il Crocifisso che è Risorto. C’è quindi una continuità storica tra il Crocifisso e il Risorto. Questa è la grande novità cristiana.

Grazie a questo Crocifisso risorto, noi scopriamo che Dio è amore e perdono. Ed è questo che gli Apostoli sono chiamati a diffondere nel Mondo. “Nel suo nome – ha aggiunto Gesù, – saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme” (Luca 24, 47).

Gerusalemme, città santa, è posta fra le nazioni: cioè fra i pagani, perché la religione dell’Antico Testamento era basata sulla legge di Mosè: Dio doveva essere obbedito e servito. Ma ora, grazie a Gesù Crocifisso e Risorto, Dio non è più un Assoluto, ma un Padre che ci ama così tanto da aver dato il suo Figlio Unico per la nostra salvezza (Giovanni 3, 16).

E’ anche quello che san Daniele Comboni (1831-1881) ha scritto a suor Marie Martiny di Anversa (Belgio), il 15 ottobre 1868: “Le chiedo di pregare per me e per le opere della mia Missione… La Croce è una sublime effusione della carità del Cuore di Gesù”. E grazie a questa carità, i popoli dell’Africa Centrale saranno salvati.

 

Tonino Falaguasta Nyabenda

Missionario Comboniano
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