Amnesty International ha sollevato una serie di preoccupazioni riguardo alla crescente integrazione delle tecnologie digitali nei sistemi globali di gestione dei rifugiati e dei migranti.

Il report, intitolato Difendere i diritti dei rifugiati e dei migranti nell’era digitale, mette in luce le sfide emergenti legate all’uso diffuso di tecnologie digitali, come il trattamento di grandi volumi di dati e le implicazioni per i diritti umani, con la progressiva normalizzazione della loro violazione sistemica in favore di strumenti di controllo sempre più sofisticati. Una prassi che rischia di incrementare le forme discriminazione e razzismo, oltre a favorire una sorveglianza illegale e sproporzionata delle persone razzializzate.

Negli Stati Uniti, ad esempio, si è fatto ricorso a programmi come l’Intensive Supervision Appearance Program (ISAP) e l’Electronic Monitoring Device Program per monitorare migranti e richiedenti asilo rilasciati dalla detenzione, sebbene tali iniziative siano state associate a violazioni dei diritti umani.

Nel Regno Unito, il monitoraggio elettronico obbligatorio tramite “tagging” della caviglia è stato utilizzato per controllare gli stranieri a rischio di deportazione, mentre è stato proposto l’uso di smartwatch abilitati al riconoscimento facciale per lo stesso scopo.

Anche l’Unione Europea ha impiegato in questi anni una vasta gamma di tecnologie, tra cui sorveglianza aerea in tempo reale e droni nel Mar Mediterraneo centrale per identificare imbarcazioni di rifugiati e migranti, e il sistema automatizzato di controllo delle frontiere iBorderCtrl, che sfrutta l’intelligenza artificiale per intervistare i viaggiatori e valutare le loro espressioni facciali.

Ma non solo si tratta di intelligenza artificiale: le nuove forme di controllo comportano anche pesanti violazioni della privacy. È emerso infatti che Austria, Belgio, Danimarca, Germania, Norvegia e Regno Unito stiano introducendo sempre più leggi che consentono la confisca dei cellulari appartenenti ai richiedenti asilo per verificare le loro testimonianze durante l’elaborazione dei loro casi di asilo. 

Si tratta di procedure che, denuncia Amnesty, stanno creando di fatto dei regimi di frontiera che discriminano sulla base della provenienza, dell’etnia e dello status di cittadinanza. 

Redazione di Nigrizia