Padre Vincenzo Percassi

 

“Sia che io viva sia che io muoia Cristo cresce e si glorifica nel mio corpo”, scrive San Paolo. Paolo sta descrivendo l’esperienza di un’energia che opera in lui e con lui e lo porta a scoprirsi sempre più pienamente e gratuitamente partecipe della vita risorta. Questa energia opera in tutti i credenti ma non come un potere speciale o una forza esoterica, ma come qualcosa che si esprime nel “corpo.” Qualcosa, cioè così intimamente unita alla nostra natura, alla nostra corporeità, da lasciarci con l’impressione che siamo noi a faticare mentre in realtà è essa che opera in noi, sollecitando, illuminando, attraendo, consolando. La resurrezione di Cristo da pieno compimento alla profezia di Isaia: cercate il Signore perché egli si lascia trovare. Sei tu che fatichi a cercarlo ma è Lui che opera per farsi trovare. Non a caso, nella parabola del Vangelo, è il padrone della vigna che esce continuamente dal mattino alla sera per lasciarsi incontrare, quasi sia lui ansioso di fare qualcosa per noi piuttosto che noi di fare qualcosa per lui. Concretamente questo significa che il Signore risorto, dal mattino alla sera interagisce con noi, in tutti i dettagli della nostra esistenza, in modo tale che tutto, gioie e dolori, la nostra buona volontà e perfino la nostra indolenza, alla fine possa essere diretto ad aggiungere un po’ di gloria alla nostra condizione finale. O più esattamente a permettere che la gloria che Gesù possa crescere e manifestarsi nelle nostre vite e nelle nostre persone. La nostra collaborazione a questa opera della grazia in noi consiste quindi nella conversione dal male ma soprattutto nello sforzo di togliere ogni possibile resistenza ad essa. Non basta infatti cessare di fare il male, continua Isaia, ma occorre che i nostri sentieri ed i nostri pensieri si armonizzino con quelli di Dio.

Questo sforzo di eliminare ogni resistenza alla grazia dal nostro cuore può in effetti risultare a volte faticoso proprio per il fatto che i nostri pensieri e i nostri sentieri possono essere molto distanti dai suoi. Fidarsi della grazia implica distaccarsi dalle proprie certezze ed abitudini, lasciarsi correggere dagli altri e dagli eventi, vigilare attentamente sulle proprie intenzioni e sui propri pensieri per non cadere negli inganni degli interessi umani, degli attaccamenti e della malizia quasi connaturale al nostro cuore. Insomma, significa purificare il cuore nella direzione della gratuità. La differenza sostanziale tra gli operai della prima ora e quelli che seguono è che questi non prendono accordi con il padrone, secondo calcoli e misure umane, ma si fidano di ciò che il padrone ha nella sua mente e accettano di lavorare per lui, per quanto breve possa essere il loro ingaggio, senza contratto. Dovremmo riflettere sul fatto che, quando gli altri e le cose da fare ci stancano e cominciamo a lamentarci perché noi facciamo di più e gli altri fanno sempre di meno, probabilmente la nostra fatica dipende dal fatto che cerchiamo noi stessi in quello che facciamo. Quando al contrario agiamo gratuitamente, per il bene in gioco e non per noi stessi, sperimentiamo che anche le cose più pesanti diventano leggere quasi ci sia una grazia nascosta che opera con noi. La parabola del Vangelo vorrebbe mettere davanti al nostro cuore questa luce: vivere per Dio piuttosto che per sé stessi, cercare il bene comune piuttosto che il proprio interesse, insomma stare nel mondo come cittadini del Vangelo, come dice San Paolo, non arricchisce Dio che ci chiama a questo compito ma fondamentalmente arricchisce noi stessi. Quando nel nostro agire smettiamo di preoccuparci del salario e cerchiamo prima di tutto di dare gloria a Dio, sentiamo sempre meno la fatica perché diamo a Lui la possibilità di farci partecipare alla vita risorta del suo Figlio.

Proprio perché questa grazia agisce nel “corpo” non deve stupire che sia sperimentata come una sorta di strettoia. Da un lato vorrei unirmi a Cristo, dice San Paolo, e godere pienamente della sua vita risorta; dall’altro mi rendo conto che ci sono mille occasioni per amarlo e servirlo negli altri e che questo è più necessario della mia tranquillità personale. Cioè, più do fiducia a questo Vangelo che mi annuncia la vita di Cristo che cresce in me e aggiunge gloria al mio destino, più incomincio vedere quelli che hanno bisogno di me non come un disturbo ma come la ragione del mio esserci; anche se magari non ringraziano mai. Comincio ad accorgermi che le occasioni di amare e servire non mi rubano il tempo ma me lo valorizzano foss’anche l’ultimo minuto della giornata; comincio ad accorgermi che il dono più prezioso di Dio non e’ la ricompensa ai miei piccoli sforzi, che pure non manca mai, ma sono proprio quelle situazioni che mi costringono a rifare i miei calcoli, a dare un po’ di più del dovuto per fidarmi della sua generosità, a pensare in termini di generosità piuttosto che di calcolo e di giustizia distributiva. Noi tutti conosciamo per esperienza queste strettoie della vita e del cuore che quasi ci costringono a donarci un po’ di più di ciò che ci sembra necessario. Eppure, è proprio attraverso di esse che permettiamo alla grazia del risorto di entrare in noi, crescere e trasfigurarci. Fino al punto di dire: per me vivere è Cristo e morire un guadagno.