P. Manuel João
“Vorrei spegnere l’inferno e… incendiare il paradiso!”
Anno A – 25a Domenica del Tempo Ordinario
Matteo 20,1-16: “Andate anche voi nella vigna”
Oggi iniziamo un ciclo di tre parabole di Gesù sulla vigna: la parabola dei lavoratori presi a giornata per lavorare nella vigna, questa domenica; quella dei due figli inviati a lavorare nella vigna, domenica prossima; ed infine, la parabola dei vignaioli omicidi, la domenica seguente.
1. Bontà scandalosa
La parabola attira la nostra attenzione, prima di tutto, sull’insolito comportamento del padrone della vigna, che va cinque volte in piazza a procurarsi dei lavoratori: alle 6 del mattino, alle 9, a mezzogiorno, alle 3 del pomeriggio e, addirittura, alle 5, un’ora prima della conclusione della giornata di lavoro! Il nucleo del racconto sta proprio nel contrasto tra i lavoratori contrattati all’alba e quelli dell’undicesima ora, che il padrone fa pagare allo stesso modo: un denaro ciascuno, la paga pattuita con i primi. Ma quello che diventa irritante e provocatorio nel comportamento del padrone è il fatto che costui fa aspettare i primi perché siano testimoni della sua generosità verso gli ultimi. Questo, in un primo momento, accresce le aspettative dei primi, ritenendolo un padrone buono e generoso, per poi suscitare la loro protesta, giudicandolo, invece, un padrone ingiusto. Ed è ancora più intrigante la conclusione di Gesù: “Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi”. Che strana parabola!
2. Una stoccata alla meritocrazia!
Quasi certamente questa parabola, che troviamo solo nel vangelo di Matteo, ha di mira un certo numero di credenti della prima ora, venuti dal giudaismo, che si ritenevano superiori e con più diritti di quelli dell’ultima ora, i pagani neo-convertiti. Questa situazione della comunità di Matteo non è anacronistica, purtroppo. Anche oggi ci sono di questi “super-cristiani”. E guai a noi preti, se per caso ce li mettiamo contro, perché possono essere proprio tra quelli più volenterosi ed impegnati nella comunità, quelli bravi! Anzi, potremmo essere proprio noi, io e te.
Mi spiego. Per secoli siamo stati educati in una spiritualità della “meritocrazia”! Moltiplicare le buone opere per accumulare meriti in cielo, davanti a Dio, in modo da avere una bella ricompensa in paradiso. Ma la salvezza si ottiene proprio così? Già la prima lettura ci avverte: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie”! La salvezza sarà sempre un dono. Non è un diritto acquisito per avere “sopportato il peso della giornata e il caldo” (v. 12); un salario dovuto a chi compie determinate opere.
Ma, se i meriti non possono vantare diritti, perché impegnarsi più di tanto? Perché avrei dovuto entrare io in seminario a dieci anni e farmi missionario? Non sarebbe stato meglio sposarmi e fare una vita “normale” come tutti quanti? Così ragiona chi concepisce il vangelo come un peso, sforzo, fatica, sacrificio e servitù, e non come un colpo di fortuna che ci ha fatto trovare il tesoro nel campo della nostra vita.
3. La vita cristiana vissuta da schiavi, da servi o da figli
La vita cristiana può essere vissuta con tre atteggiamenti e comportamenti diversi: quello dello schiavo che ha paura del castigo, per chi Dio è un giudice; quello del servo che lavora per il salario, per chi Dio è un padrone; e quello del figlio che lavora disinteressatamente, per amore, per chi Dio è un Padre. In realtà, però – e questa è la cosa strana! – il vangelo sembra rivolgersi a queste tre classi di persone con il loro stesso linguaggio e aspettative. Gesù afferma: “Chi dice [al fratello]: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna” (5,22). A Pietro che gli chiede: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?” Gesù risponde: “Siederete [con me] su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele”. E a quanti abbandoneranno tutto per seguirlo promette il “cento per uno”, e conclude dicendo: “Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi”, che, guarda caso, fa da cornice al vangelo di oggi! (Matteo 19,27-30).
Dio ci vorrebbe tutti figli che lo cercano per amore. Sfortunatamente, tante volte è la paura o l’interesse che ci muovono. E chissà se anche queste motivazioni imperfette servono in certi momenti della vita! E Dio le impiega perché non vuole perdere nessuno dei suoi figli!
È eloquente la testimonianza di una mistica sufi mussulmana del VIII secolo, Rabia di Bassora: “Voglio incendiare il paradiso e spegnere l’inferno perché questi due veli spariscano e i suoi servi Lo adorino senza sperare ricompense e senza temere castighi”.
Per la riflessione personale
– Quale motivazione prevale nel mio rapporto con Dio: la paura, l’interesse o l’amore?
– Cosa risponderesti a questa provocazione di qualcuno: “Se il Paradiso non esistesse, tu crederesti ancora in Dio?”
– Medita sulla bella testimonianza di San Paolo, nella seconda lettura di oggi: “Per me il vivere è Cristo”.
P. Manuel João Pereira, comboniano
Castel d’Azzano (Verona) 22 settembre 2023
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https://comboni2000.org/2023/09/23/la-mia-riflessione-domenicale-vorrei-spegnere-linferno-e-incendiare-il-paradiso/