Dal 19 al 26 Agosto, laici e missionari comboniani hanno accompagnato un gruppo di ragazzi proveniente da tutta Italia attraverso un viaggio, fatto di amore, dolore, amicizia e resilienza. Un viaggio di vita.
L’esperienza è stata composta di due parti: una a Palermo e l’altra a Lampedusa.
Lampedusa è tanto dolce, quanto amara.
I suoi paesaggi suggestivi, il suo mare, ci richiamava, al contempo una tragedia che si consumava sotto i nostri occhi.
Abbiamo potuto studiare il fenomeno dell’immigrazione sia dal punto di vista sociologico che giuridico, affiancandolo con vere e proprie esperienze di contatto con esso: i racconti di vita dei ragazzi ospitati alla zattera, di lampedusani, delle associazioni e ong.
Guardavamo dagli occhi altrui.
Quelli di Mustafà, attivista e studente di nursing, raccontavano la forza di volontà di mettere la propria vita in gioco, partire, rischiare di morire, per poter studiare; narravano anche di un percorso di rabbia qui in Italia, per un ragazzo che vuole studiare diventa quasi impossibile accedere ai servizi di previdenza, di cui gli italiani godono.
Gli occhi dell’avvocato Laura Buondì, raccontavano l’ipocrisia del sistema di “accoglienza” italiano, che si lava le mani del fenomeno di immigrazione, non si accorge che coloro che arrivano in Italia sono esseri umani.
Gli occhi del pescatore Enzo e delle suore Salesiane raccontavano tragedia e morte nel bellissimo ma amaro mare Mediterraneo; uomini costretti a viaggiare in barchini alla balìa delle onde e del vento, e che spesso non arrivano nelle coste Lampedusane.
Un pescatore vuole solo pescare pesce, non corpi umani.
Anche gli occhi dell’associazione Maldusa, dell’archivio storico di Lampedusa, di Sea-watch, di tutti gli operatori e operatrici che abbiamo incontrato, raccontavano rabbia, verso questo sistema incapace o non volenteroso di risolvere la problematica dell’immigrazione, di realizzare corridoi umanitari sicuri e sistemi di accoglienza che accogliessero realmente.
Negli ultimi giorni di permanenza a Lampedusa abbiamo aiutato un gruppo di persone appena sbarcato a Lampedusa, li abbiamo assistiti, dandogli acqua e cibo, e li abbiamo capito che nei loro sguardi non solo era presente rabbia e sofferenza, ma soprattutto amore e resilienza.
Le loro risate, le loro parole, i loro ringraziamenti e i loro abbracci ci hanno fatto capire che forse, anche questa fragile zattera, che noi siamo stati durante questa esperienza, nonostante tempeste di indifferenza, navigava in un mare di speranza.
(Mauro Machi)