Padre Luigi Consonni

Prima lettura (At 2,1-11)

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e proseliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

La Pentecoste (cinquanta giorni dopo la Pasqua) è l’evento decisivo per l’umanità di tutti i tempi che Gesù assicura con queste parole: “io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). La presenza è un evento sorprendente e imprevisto, senza alcun avviso previo, che irrompe nella vita delle persone e della comunità, lasciandole sconcertate e confuse senza sapere, in un primo momento, cosa pensare, dire e fare.
Nella circostanza i discepoli “si trovavano tutti insieme nello stesso luogo” e, per paura dei giudei, stavano a porte chiuse, dato che la condanna a morte del maestro era valida anche per loro. Ed ecco, all’improvviso, la discesa dello Spirito su di loro: “Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso (…) Apparvero lingue come di fuoco”.
L’evento è difficile da descrivere esattamente perché non ci sono parole adeguate; è possibile solo fare comparazioni con accadimenti di vario genere, giacché l’evento va molto oltre la loro capacità di comprensione. Pertanto è da sottolineare che non si tratta né di vento né di lingue di fuoco, ma di qualcosa che assomiglia.
Gesù aveva promesso l’invio dello Spirito Santo, ed è ciò che avviene. I discepoli sono ben lontani dal pensare che accadesse in quel modo e in quella circostanza, ma di fatto “tutti furono colmati di Spirito Santo (…)”.
(…) cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi”. Lo fecero riguardo “alle grandi opere di Dio”, nel prendere coscienza della portata e del significato della morte e risurrezione di Gesù che, sino ad allora, era in gran parte incomprensibile e indecifrabile, soprattutto per le persone, e ovviamente per l’umanità.
La Pentecoste, per gli effetti dell’evento pasquale, suscita la nuova comprensione di sé stessi che motiva l’atteggiamento con le autorità, il popolo e le persone di altre origini e culture. Con essa i discepoli prendono coscienza che lo Spirito non è solo per loro e per il popolo giudeo, ma per l’umanità di tutti i tempi. La lista dei popoli indica, appunto, le nazioni del mondo intero allora conosciuto.
La presenza dello Spirito in tutti i popoli della terra fa sì che costoro comprendano nella loro lingua le “grandi opere di Dio” a loro favore, senza rinnegare la propria cultura o il modo di vivere. Le “grandi opere di Dio” permeano il loro vissuto e rendono comprensibile l’accoglienza della dinamica dell’amore – l’avvento del regno di Dio – per discernere ciò da preservare da quello da lasciare, in sintonia con l’insegnamento e la pratica di Gesù.
Con la sua missione, Gesù non elabora una nuova religione – magari in conflitto con le altre – per imporsi come unica nell’accogliere, con la dinamica dell’amore escatologico – ultimo e definitivo -, i riferimenti riguardo al metodo e alla strategia accessibile a tutte le religioni, nella misura in cui esse fanno riferimento alla trascendenza del mistero della vita, il cui culmine è la legge dell’amore.
Gesù invia i discepoli per il mondo intero a insegnare e testimoniare alle genti la legge dell’amore, come Lui l’ha vissuta. Essa è il dono della salvezza nella comunione con Dio, Padre di tutte le religioni. In un certo senso, Egli ha purificato, rinnovato e rigenerato i comportamenti – anche quelli dell’agnostico e dell’ateo pratico – nel rispetto delle loro caratteristiche culturali, organizzative e sociali.
Gesù ha fatto lo stesso nel suo rapporto con i pagani, colpito dalla loro fede in virtù della quale operò la guarigione al servo del centurione (Mt 8,5-13) e altro. Egli non ha chiesto al centurione la conversione alla religione giudaica né, in seguito, ad un’altra forma religiosa che prenderà, successivamente, il nome di “cristianesimo” che, a sua volta, nell’espandersi per il mondo intero avrebbe soppiantato, o peggio ancora, sarebbe divenuta motivo di conflitto con le altre religioni.
Paradossalmente, proprio la religione scaturita dall’auto-intervento di Dio sul popolo d’Israele diventa omicida nei confronti di Dio stesso, nella persona di Gesù. Se poi tale dinamica, lo stile di vita, la filosofia dell’amore si è concretizzata e stabilita nella religione cristiana è un processo che ha le sue ragioni. Ma, guardando il presente, e soprattutto il futuro, c’è più di un serio motivo per riconsiderare il rapporto fra religione e discepolato e far riemergere la centralità della fede escatologica propria di Gesù.
A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua (…) Erano stupiti e fuori di sé per la meraviglia (…) Come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa?”. Lo stupore e l’ammirazione, determinati dal sorprendente fenomeno, è enormemente amplificato da ciò che il messaggio ha loro trasmesso riguardo alle “grandi opere di Dio”. Si tratta del dono della salvezza che, accolto, qualifica la fede del credente e della comunità.
Cosa sia rimasto in loro dell’evento e dell’aver udito nelle loro “lingue le grandi opere di Dio”, non si sa. Resta il punto cardine che solo nello Spirito Santo è possibile comprendere, e rimanere coinvolti nell’evento che, continuamente, riattualizza i suoi effetti nella persona e nell’umanità intera, impiantando il loro destino, ciò che è.
È lo Spirito che sostiene e anima tutto, come indicato dalla seconda lettura.

Seconda lettura (1Cor 12,3b-7.12-13)

Fratelli, nessuno può dire: «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo.
Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune.
Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.

Paolo scrive alla comunità: “nessuno può dire: ‘Gesù è Signore!’ se non sotto l’azione dello Spirito Santo”. Lo Spirito è il maestro interiore di chi dà spazio all’insegnamento di Gesù. O meglio, lo Spirito è propriamente lo spazio nel quale l’intelligenza della fede escatologica acquisisce un nuovo sapere. Il che modella il vissuto personale e sociale nel cammino tracciato e praticato da Gesù. Cammino di conoscenza/esperienza dello Spirito che conforma il mondo interiore, il significato e l’importanza dell’evento Gesù Cristo e della dinamica trinitaria che sorregge e autentica tutto l’esistente.
A questa realtà fa riferimento l’affermazione: “Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti”. Ciò sintonizza il discepolo con la volontà del Padre, per la causa del Regno di Dio, nel rapporto personale e sociale stabilendo la comunione con la Trinità.
Imitando Gesù, emerge nel discepolo e nella comunità il servizio disinteressato e gratuito che consolida la comunione. Nello svolgere il servizio i doni dello Spirito sintonizzano con la vita eterna, propria dell’amore che circola nelle tre persone divine.
Gli avvenimenti umani nella storia fanno del credente un tutt’uno con la vita e la dinamica trinitaria. Evidentemente quest’ultima ha le caratteristiche di quella vissuta da Gesù Cristo, con le molteplici sfaccettature di morte e risurrezione, in attenzione e risposta al contesto e alle circostanze.
Ciò converge al “bene comune”, alla specifica forma di convivenza umana finalizzata all’accoglienza del Regno, in cui sono rispettate le diversità nell’unità e la soggettività nella comunione fraterna per la stessa causa. San Paolo la compara all’unione delle membra con il corpo e afferma che “tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un unico corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito”.
L’avvento del regno di Dio è dono, non un possesso da parte del destinatario; ed è donato costantemente, in attenzione alle mutevoli circostanze personali e sociali. In tale processo lo Spirito è lo spazio, nell’intimo della persona e nell’anima della comunità, per l’organizzazione della comunità e la convivenza interpersonale e sociale, che rende possibile elaborare nuove sintesi, in sintonia con la dinamica trinitaria nella quale sono coinvolti. Il frutto, in sintonia con l’amore con cui la persona e la comunità sono amati da Dio, è percepito, per l’avvento del regno di Dio, come tesoro o perla preziosa.
Lo Spirito coinvolge gli uomini di buona volontà, animati dal desiderio di collaborare per la società fraterna, responsabile e solidale nel diritto e nella giustizia, e li mette in gioco con creatività, audacia e coraggio per l’accoglienza dell’avvento del Regno di Dio, come lo è stato per Gesù.
La Pentecoste giovannea è un riferimento di grande importanza.

Vangelo (Gv 20,19-23)

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Impressiona l’entrata a porte chiuse di Gesù fra i discepoli, la cui mente è ottenebrata, il cuore sconcertato, scosso e pieno di paura che la condanna del maestro cada anche su di loro, smarriti, senza sapere dove andare e cosa fare dopo l’evento della passione di Gesù.
In primo luogo
“Gesù disse loro: Pace a voi!”, e lo ripete ancora una volta. Non si tratta di un augurio (che la pace sia con voi) ma dell’offerta del dono che, accolto, ristabilisce in loro serenità, fiducia e armonia. Egli dona la pace che lo ha accompagnato nelle tensioni, negli scontri e, soprattutto, nell’evento pasquale, pur nella sofferenza fisica e psicologica della crocifissione. È noto che il contrario della gioia non è la sofferenza ma la tristezza, che subentrerebbe per l’infedeltà o l’abbandono della causa.
Il dono della pace è la persona viva del Crocefisso, con caratteristiche che vanno ben oltre la condizione umana comune; “
mostrò loro le mani e il fianco”, il segno permanente del suo amore. Gesù si presenta in modo che non lo ritengano un fantasma, uno spirito vagante o il prodotto dell’immaginazione distorta dal loro stato d’animo.
Le piaghe assicurano che si tratta della stessa persona crocefissa il venerdì, e che queste non sono più la manifestazione del potere del peccato e della morte, ma della vittoria della vita sulla morte. Per le piaghe e la nuova vita il Risorto testimonia la morte della morte.
È l’evento non solo singolarissimo, ma unico e inedito. Non è difficile immaginare lo stato d’animo degli apostoli, la sorpresa, lo sconcerto, lo stupore e la gioia: “
i discepoli gioirono al vedere il Signore”. Tuttavia questi oscillano tra il credere e l’incredulità – vedi il giorno dell’Ascensione in Galilea quando, davanti al Risorto “si prestarono (…) però dubitarono” (Mt 28,17). L’efficacia del dono della pace sintonizza con la dinamica della Pentecoste per mezzo dello Spirito.
Il Risorto non si sofferma in considerazioni sulla loro sorpresa e sul loro stato d’animo. Egli procede ad affidare la missione: “
Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Per Gesù è importante che i discepoli percepiscano che sta instaurando nei loro riguardi lo stesso rapporto d’amore con il Padre verso Figlio. Amore per il quale non è venuto meno al compimento della missione e non dubita della promessa del regno, pur passando per la croce.
Il Figlio mette fra parentesi la sua condizione divina (Fil2,7), si fa povero (2Cor 8,9) e carica sulle sue spalle la sfiducia e il rigetto di coloro ai quali è inviato – “
si è fatto carne in mezzo a noi” (Gv 1,14) – nel portare a termine la missione, con la consegna di sé stesso nelle mani del Padre per la dinamica dello Spirito. Gesù è l’uomo che, per la sua fede escatologica e la forza dello Spirito, acquisisce la fortezza d’animo e la determinazione di “colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,2), facendo propria la volontà del Padre.
Gesù, pur conoscendo la debolezza dei discepoli e i loro limiti, non esita a coinvolgerli e ad inviarli per continuare, nel suo nome, la missione. Lui stesso si è fatto povero e debole come loro e, come Gesù, essi ricevono il sostegno e l’aiuto dello Spirito che, con l’ascensione al Padre, si manifesterà come Spirito di Cristo, lo Spirito del Messia.
La Pentecoste giovannea segnala: “
Detto questo, soffiò e disse loro: ‘Ricevete lo Spirito Santo”. La risurrezione è l’inizio della nuova creazione in Gesù per lo Spirito, e tale condizione viene trasmessa ai discepoli. Lo Spirito di Cristo sarà sempre presente in loro, per sostenerli nella missione per la causa del regno.
(NOTA: Nel libro della Genesi, il sogno – “sarete come Dio” – in sé stesso è corretto. Solo che, manipolato dal tentatore nel sedurre Adamo ed Eva, porta la persona e l’umanità su un cammino contrario a quello del Regno. Invece, l’efficacia della presenza dello Spirito è il perdono. In tal modo il discepolo è “altro Cristo”.)
Ora, la nuova creazione, con l’invio alla missione e la pratica del perdono, giunge al suo compimento: l’uomo diventa il modo umano di Dio di essere nel mondo e la comunità diventa, per l’azione dello Spirito, il regno di Dio, la pienezza del corpo di Cristo in Dio. Con altre parole, l’uomo si divinizza e Dio si umanizza, ognuno nel proprio ambito.