P. Manuel João
Dio è una parola insufficiente!
Anno A – Pasqua – 5a domenica
Vangelo: Giovanni 14,1-12
Con le ultime domeniche del tempo pasquale entriamo nella preparazione alle feste dell’Ascensione e della Pentecoste. Sono le domeniche del commiato. Il vangelo di questa domenica e della prossima ci offre dei brani del capitolo 14 del vangelo di San Giovanni, il discorso di addio di Gesù ai suoi discepoli durante l’ultima cena. Si tratta del suo testamento, prima della passione e morte. Perché riprendere questi testi proprio nel periodo pasquale? La Chiesa segue l’antica tradizione di leggere durante questo tempo i cinque capitoli di Giovanni relativi all’ultima cena, dal 13 al 17, nei quali Gesù presenta il senso della sua morte, della sua “pasqua”. Inoltre, potremmo dire che, trattandosi del suo lascito, il testamento va aperto dopo la sua morte. Gesù ci lascia la sua eredità, i suoi beni, che offre a noi suoi eredi.
Non sia turbato il vostro cuore!
Va sottolineato che il testo del vangelo di oggi è uno dei più densi del vangelo di Giovanni. Il contesto, quello dell’ultima cena dopo l’annuncio del tradimento e della sua morte violenta, è triste e drammatico. Gesù non nasconde ai suoi la gravità di quest’ora, ma li consola, invitando alla fiducia. È l’ora della prova, della crisi e la notte scende cupa nel cuore di tutti. È una parola rivolta anche a noi che, dopo “l’euforia” pasquale, ripiombiamo nella durezza della nostra quotidianità. “Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me”, è la parola d’ordine!
Vado a prepararvi un posto!
In questo brano troviamo, per una decina di volte, dei verbi e dei nomi connessi col movimento. L’uomo è un viandante (“homo viator”). La fede implica pure il mettersi in cammino: “Vattene dalla tua terra… verso la terra che io ti indicherò” (Genesi 12,1). Fu così per Abramo ed è così ancora per noi. La Bibbia è piena di strade e di cammini, di bivi ed incroci, di progetti e di speranze. “Beato l’uomo che ha le tue vie nel suo cuore!” (Salmo 84,6). Ma l’uomo in cuore suo cerca una dimora stabile dove trovare finalmente il riposo (Lettera agli Ebrei 3-4 e 13,14). Gesù con la sua “pasqua” ci fa da battistrada, va a prepararci una dimora e ritornerà a riprenderci con sé. Dunque, l’obiettivo finale, la meta del nostro cammino è la dimora, il ritorno a casa. Qual è questa dimora? È la casa del Padre. Ma dove abita il Padre? “Io sono nel Padre e il Padre è in me”, perché uno abita dove è amato! (Silvano Fausti). E la mia dimora dov’è? Dove mi sento a casa mia, lì si trova la mia identità, il mio vero Io! Il cuore del Padre è davvero la mia dimora?
[Permettetemi una parentesi. Purtroppo, oggi sembra venire meno il senso della vita, cioè il suo orientamento. Più che mai si avvera quanto detto una volta dal drammaturgo francese Eugène Ionesco: “Il mondo ha perso la strada, non perché manchino le ideologie guida, ma perché non portano da nessuna parte. Nella gabbia del loro pianeta, gli uomini si muovono in cerchio perché hanno dimenticato che possono guardare il cielo”. Certi pensatori si spingono ben più in là, come il filosofo italiano Umberto Galimberti che accusa la tradizione giudaico-cristiana di aver introdotto nella cultura occidentale l’ottimismo, l’illusione che l’Io sia al di sopra della natura e possa darsi un progetto. E si scaglia contro la virtù della speranza. Coltivare la speranza è creare dei disperati. La vita non ha un senso e l’individuo è in balia della natura e in funzione della specie. Secondo lui, bisogna ritornare, invece, alla visione greca della ‘drammaticità’ della vita (fatum, destino) e del ritmo ciclico della storia.]
Io sono la Via, la Verità e la Vita.
Gesù suppone che gli apostoli l’abbiano compreso: “E del luogo dove io vado, conoscete la via”. Ed invece non l’hanno capito, come non l’abbiamo capito nemmeno noi. Tommaso è il loro e il nostro portavoce: “Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?”. E qui Gesù ci dà una sua sorprendente e nuovissima auto-definizione: “Io sono la via, la verità e la vita”. Via, Verità e Vita, tre parole che in fondo si equivalgono e che si possono applicare a Dio stesso. La via è l’amore, la verità è l’amore, la vita è l’amore. E aggiunge: “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me!”. Gesù è il mediatore tra Dio e l’umanità. Non come un intermediario neutrale tra i due, ma colui che assume in sé le due parti. Egli è l’Alleanza!
Chi ha visto me, ha visto il Padre!
A questo punto, sentendo Gesù parlare tanto del Padre, interviene Filippo e fa una preghiera bellissima: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». È il sogno di Mosè (Esodo 33,18-20) e il segreto desiderio di ogni uomo: “Quando verrò a contemplare il volto di Dio?” (Salmo 42,3; 27,8-9). A questa richiesta, però, Gesù rimane deluso: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre”. È la stessa delusione che Gesù prova nei nostri confronti: “Ma come, da tanti anni sei con me, vedi quello che faccio e ascolti la mia parola e non mi conosci ancora? Quando ti lavavo i piedi era il Padre inginocchiato davanti a te!” In realtà, Gesù non è come Dio (che non conosciamo!), è Dio che è come Gesù! (Alberto Maggi). Egli è l’immagine perfetta del Dio invisibile (Lettera ai Colossesi (1,15). “Quello che era l’invisibile del Figlio era il Padre e quello che era visibile del Figlio era il Padre” (Sant’Ireneo). Per tre volte, Gesù ripete questa in-abitazione reciproca: “Io sono nel Padre e il Padre è in me”.
Mi ha colpito una affermazione del monaco Enzo Bianchi, in un’intervista di due mesi fa, quando gli fu chiesto chi fosse Dio per lui: «La parola “Dio” l’ho sempre percepita come ambigua, insufficiente. Io sento un grosso rapporto con Gesù Cristo. Penso che andrò a Dio, lo conoscerò, attraverso Gesù Cristo, ma non so chi è Dio, non sappiamo nulla, nessuno l’ha mai visto, parliamo troppo di Lui senza conoscerlo. Secondo me è uno degli errori più grandi continuare a parlare di Dio quando Dio resta inconoscibile, “Il mistero”. Per me basta Gesù Cristo che mi porterà a Lui… Non spendo tempo a questionare su Dio o ad annunciare Dio». E nel commento al vangelo di oggi dice: “A volte mi chiedo se noi cristiani, eredi del mondo greco, non finiamo per professare un teismo con una patina cristiana. Dobbiamo avere il coraggio di dire che per noi cristiani Dio è una parola insufficiente”.
P. Manuel João, comboniano
Castel d’Azzano (Verona), 5 maggio 2023
P. Manuel João Pereira Correia mccj
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