Padre Luigi Consonni
Prima lettura (At 2, 14a.36-41)
[Nel giorno di Pentecoste,] Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò così: «Sappia con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso».
All’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?».
E Pietro disse loro: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro».
Con molte altre parole rendeva testimonianza e li esortava: «Salvatevi da questa generazione perversa!». Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone.
Nel giorno di Pentecoste le provocatorie parole di Pietro agli abitanti di Gerusalemme e della Giudea sono come un fulmine a ciel sereno: “Sappia con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso”. Alle orecchie della gente cosa giustifica il passaggio di Gesù da bestemmiatore, e maledetto da Dio, a Cristo Signore e Salvatore? Il fatto che gli apostoli testimoniano di averlo visto vivo, risorto dai morti.
Per la dinamica dello Spirito Santo il corpo di Gesù crocefisso come bestemmiatore è costituito e rivelato dal Padre come Unto, come Cristo, come il Messia atteso e Signore. È l’approvazione dell’opera del Figlio, contrario al ripudio violento delle autorità e del popolo che lo avevano ritenuto meritevole di condanna perché ateo e blasfemo.
Sorprende la fermezza, la determinazione e il coraggio di Pietro: “Si alzò in piedi e a voce alta parlò. Sappia con certezza…”. Lui, come gli altri apostoli, che per la passione di Gesù è pieno di angoscia e paura che possa accadere lo stesso.
Ma l’esperienza del Risorto è tale che non solo rovescia la comprensione dell’accaduto ma, per Pietro, in considerazione della triplice negazione del giovedì, è l’opportunità per rifarsi davanti al popolo e alle autorità e manifestare tale ravvedimento con forza e coraggio. Pietro parla con tale convinzione che “all’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore”.
Il grande sconcerto della gente motiva la domanda a Pietro e agli apostoli: “che cosa dobbiamo fare, fratelli?”. È significativo che si rivolgano agli apostoli chiamandoli “fratelli”, segno dell’efficacia della predicazione.
La prima parola di Pietro è: “Convertitevi”, per dare seguito e consistenza al processo di conversione teologica, incominciando dalla comprensione ingannevole della loro valutazione circa l’agire di Dio nella persona, nelle parole e nella pratica di Gesù.
La conversione è stravolgimento delle proprie convinzioni nei riguardi di Dio, dell’accoglienza dell’avvento del Regno e l’attesa speranza d’Israele. È simile all’inversione di marcia sull’autostrada nell’uscire dalla prima direzione per entrare nella seconda, in senso opposto. Pertanto la conversione etica e teologica è in sintonia con la filosofia, l’insegnamento e la pratica di Gesù, nell’orizzonte di fedeltà alla causa del Regno di Dio.
La conversione non riguarda solo il momento iniziale, ma la dinamica della vita e l’attività pastorale del discepolo. Lo testimonia la vita di Pietro e di altri che dovettero, ripetutamente, ripensare e ridisegnare le proprie convinzioni per individuare il cammino opportuno della missione – la causa del regno di Dio – che il Signore ha loro affidato.
Le nuove circostanze e i fatti inediti, non rapportabili al passato, obbligarono a formulare nuove risposte con riferimento alla portata e al significato dell’evento pasquale, in modo da procedere correttamente nel compiersi della promessa tanto attesa, nel ridisegnare i loro rapporto interpersonale e sociale come manifestazione della gloria di Dio.
Il processo di conversione porta all’adesione per la quale “ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei peccati (…)”. Il battesimo sigilla l’autenticità di essa nell’accogliere e immergersi negli effetti della morte e risurrezione di Gesù Cristo.
Allo stesso tempo trasmette la certezza di appartenere a Cristo una volta e per sempre, nell’accogliere la nuova ed eterna Alleanza in sostituzione dell’antica sigillata dalla circoncisione. Di fatto il battesimo è la circoncisione del cuore – del progetto di vita – finalizzato all’avvento del Regno di Dio nel credente e nei rapporti interpersonali e sociali.
“(…) e riceverete il dono dello Spirito Santo”. Lo Spirito è spazio, l’ambito che motiva e sostiene il processo di conversione teologica ed etica, dono dell’amore trinitario. Lo spazio è l’Amore, l’inesauribile circolarità del rapporto fra le tre persone divine.
Lo Spirito sostiene la certezza riguardo alla “promessa per voi, per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani”, in modo che la salvezza li coinvolga nel mistero di Dio. Si comprende, quindi, il senso accorato dell’esortazione di Pietro: “Salvatevi da questa generazione perversa!”, appello di chi conosce bene le due facce della realtà umana, la perdizione e la salvezza.
La predicazione ha un grande successo “e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone”. Tuttavia, tensioni fra i due mondi contrapposti e lotta per mantenersi nella salvezza sarà il pane di ogni giorno, come fa comprendere la seconda lettura.
Seconda lettura (1Pt 2,20b-25)
Carissimi, se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, perché
anche Cristo patì per voi,
lasciandovi un esempio,
perché ne seguiate le orme:
egli non commise peccato
e non si trovò inganno sulla sua bocca;
insultato, non rispondeva con insulti,
maltrattato, non minacciava vendetta,
ma si affidava a colui che giudica con giustizia.
Egli portò i nostri peccati nel suo corpo
sul legno della croce, perché,
non vivendo più per il peccato,
vivessimo per la giustizia;
dalle sue piaghe siete stati guariti.
Eravate erranti come pecore,
ma ora siete stati ricondotti al pastore
e custode delle vostre anime.
L’evangelizzatore non sempre incontra comprensione, adesione e appoggio; anzi, molte volte avviene il contrario. A ciò si riferiscono le parole dell’apostolo alla comunità: “Se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò è gradito davanti a Dio”. La pazienza accoglie la capacità di soffrire, con dignità e amore, per la causa del Regno.
“A questo siete stati chiamati”. L’inciso è inquietante in quanto nessuno vuole la sofferenza e meno ancora se la ritiene inevitabile, anche se per certi aspetti e circostanze lo è. Non si tratta della sofferenza punitiva ma del fatto che “Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme”, nell’instaurare nel credente e nella comunità un nuovo stile di vita, una nuova società, un nuovo mondo, motivato dall’amore trinitario.
La sofferenza di Gesù è motivata dall’opposizione e dal rigetto delle autorità, del popolo e anche dall’incomprensione dei discepoli. Il culmine della sofferenza è il “legno della croce”. Questo perché Gesù, rappresentante della persona e dell’umanità, “portò i nostri peccati nel suo corpo”, assumendo su di sé gli effetti del loro peccato.
Nel portare a termine la missione resiste alla violenza dell’autorità religiosa e del popolo, che pretendono di piegarlo all’immagine di Dio e all’avvento del Regno elaborate dalla tradizione. Tale immagine è in netta contraddizione con la Sua missione.
La vittoria sul peccato del Rappresentante è dono gratuito ai rappresentati, “perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia”. Questo perché – grande sorpresa – “Dalle sue piaghe siete stati guariti”. Gesù non permette che il peccato abbia il sopravvento su di Lui, al contrario, lo sconfigge.
La gratuità dell’amore, la coscienza degli effetti della sua consegna, genera nei rappresentati lo stesso sentimento di Gesù: la “potenza di una vita indistruttibile” (Eb 7,16), che sostiene il coraggio della sofferenza e la forza di patire la morte per la causa del Regno. La vittoria sul peccato di chi crede negli effetti del suo rappresentante presso il Padre è il dono gratuito a tutta l’umanità.
La guarigione per quelle piaghe, espressione del coraggio e della forza dell’amore, porta l’apostolo ad affermare: “Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime”. Con Gesù Cristo, pastore e custode, si apre la via della costante accoglienza dell’avvento del Regno, nel contesto e nelle circostanze della vita giornaliera.
Il tema del pastore che conduce nella via del regno è l’argomento del vangelo.
Vangelo (Gv 10,1-10)
In quel tempo, Gesù disse:
«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
Le ultime parole del vangelo odierno qualificano la missione di Gesù: “Io sono venuto perché abbiano vita e l’abbiano in abbondanza”. La vita in abbondanza non si riferisce solo alla vita dopo la morte ma la vita terrena, anticipo della pienezza che si svelerà dopo la morte e con il “ritorno” del Risorto.
Due affermazioni di Gesù sono particolarmente importanti: quella riguardo la “porta” e il “pastore”.
“In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore (…) Se uno entra attraverso me, sarà salvato”. La porta è il passaggio obbligato, il punto di unione e di comunicazione tra due realtà, quella umana e quella divina. Designandosi come porta Gesù indica sé stesso come passaggio obbligato per entrare nel cammino dell’accoglienza dell’avvento del Regno, della sovranità di Dio, fonte di vita in abbondanza della persona e della comunità.
“entrerà e uscirà e troverà pascolo”. L’affermazione è propria dell’attività evangelizzatrice, della missione diretta a tutti, dentro e fuori della comunità, per l’amore che abbraccia tutti indistintamente. Pertanto la missione è necessaria per la crescita umana e divina; è l’opportunità per coinvolgersi nell’inesauribile dinamica della vita trinitaria, per il bene della società e della persona.
Di fatto il dono si rigenera e cresce nel donatore nel proporre e coinvolgere il destinatario nella stessa dinamica, previa la libera e cosciente scelta di quest’ultimo nell’accoglierlo. Se non accolto, il dono svanisce nel vuoto e impoverisce la vita per la preminenza dell’egocentrismo.
L’altra affermazione è quella del “pastore”. Porta e pastore sono realtà connesse: “chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta (…) è un ladro e un brigante”. La connessione rafforza la comunione fra Gesù e il discepolo. La sintonia tra pastore e pecore è imprescindibile: “le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori”. Con la trasmissione e il coinvolgimento emerge, nell’intimo, la vita in abbondanza per il pastore e le pecore; infatti il pastore “chiama le pecore, ciascuna per suo nome” e queste accolgono la presenza e il coinvolgimento nel medesimo cammino e finalità.
La missione è il necessario esercizio della sintonia: “E quando ha spinto fuori tutte le pecore, cammina davanti ad esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce”. Lo “spingere fuori” fa capire che non tutte le pecore accettano di uscire e di assumere la missione, per le resistenze nel rimanere nel recinto. Per vincerle il pastore le rassicura che “cammina davanti a esse”, cosciente dell’importanza dell’”uscita” e del danno che comporta il rimanere nel recinto.
La sintonia fa sì che la voce familiare del pastore trasmetta sicurezza e fiducia in lui e nel suo amore. Tuttavia, se ingannati o sedotti da altre proposte e da falsi pastori, l’attenzione e la sintonia con Gesù segnala criteri per distinguere il vero dal falso.