Padre Tonino Falaguasta Nyabenda

La quarta Domenica di Pasqua è chiamata anche la Domenica del Buon Pastore. Oggi celebriamo pure la 60° giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. La vocazione è sempre un dono. Ma qual è questo dono? Il dono più importante che Dio ci ha fatto è quello della vita. Poi c’è la vocazione cristiana. Con il Battesimo diventiamo figli e figlie di Dio, grazie alla Pasqua del Signore Gesù.

Ma poi ci sono i pastori, nella Chiesa. Gesù si è definito il “pastore bello”. Quale ne è il significato? Nella Bibbia ogni vocazione ha come scopo una missione. Per esempio Abramo (Genesi 12, 1); Mosè (Esodo 3, 10); il profeta Isaia (Isaia 6, 9); Geremia (Geremia 1, 7), ecc. Dio chiama e manifesta alla persona chiamata l’opera particolare alla quale l’ha destinata nel suo disegno di salvezza.

Gesù nei Vangeli evoca costantemente la missione che ha ricevuto dal Padre. Sul monte Tabor, durante la Trasfigurazione e in presenza di Mosé ed Elia, la voce del Padre si è fatta sentire: “Questi è il Figlio mio, l’amato, ascoltatelo!” (Marco 9, 7). Questo Gesù, dice il biblista francese e gesuita Jacques Guillet, è divenuto un Rabbi itinerante e chiama dei discepoli dietro a sé (Marco 1, 16-20). E’ questo Rabbi che si definisce il “pastore bello” (Giovanni 10, 11). Gesù è il pastore bello perché vero, autentico, buono. Ma bello (in greco Kalòs) vuol dire che stare con Lui ci porta gioia e piacere. E sant’Agostino, celebre teologo e Vescovo africano (354-430), afferma che ogni uomo segue sempre ciò che più gli piace. Allora seguiamo Gesù. Egli dona la sua vita per amore (Giovanni 15, 13) e questo amore è proprio quello più grande.

Il Vangelo di oggi (Giovanni 10, 1-10) ci presenta Gesù come il Buon Pastore. Si parla anche di gregge, che siamo tutti noi. Ma forse le parole: pastore, gregge, pecore, ovile, pascolo, ecc., ci fanno pensare a una visione idilliaca,quasi sdolcinata. E’ invece una visione teologica. Gesù è davvero il Messia, discendente di Davide, come predetto dai profeti (2 Samuele 7, 12).

Per capire bene Gesù come “pastore bello”, bisogna rifarsi ai profeti, come Geremia (Geremia 23), come Ezechiele ( Ezechiele 34). Seguendo la tradizione profetica, Gesù si presenta come il pastore fedele che conduce il suo popolo verso la salvezza. “Voi, mie pecore – dice il profeta Ezechiele, – siete il gregge del mio pascolo (= Israele) e Io sono il vostro Dio” (Ezechiele 34, 31). Il senso teologico di queste immagini deve essere compreso attraverso l’interpretazione liturgica della Sinagoga, al tempo di Gesù. L’ovile allora indicava il tempio di Gerusalemme. Per san Giovanni e per il Nuovo Testamento, il tempio della nuova Alleanza è il corpo di Cristo, cioè la sua umanità. Come spiega anche chiaramente l’apostolo Paolo: “In Lui (Gesù) abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Colossesi 2, 9).

Io-sono la porta delle pecore” (Giovanni 10, 9) dice il Signore. “Io-sono” nella bocca di Gesù è un’auto-rivelazione. Egli rivela in questo modo la sua divinità. Infatti “Io-sono” è il nome di Dio, rivelato a Mosè (Esodo 3, 14). Questa espressione poi ricorre 26 volte nel Vangelo di Giovanni. Secondo la ghematria ebraica, il numero 26 è la somma delle cifre del nome di Dio “YHWH”, cioè: 10+5+6+5 che dà appunto 26.

Gesù allora, con l’espressione “Io-sono” ,si identifica con il Dio della rivelazione biblica. In effetti è proprio per questo motivo che è stato condannato a morte. “Noi abbiamo una legge – hanno detto le autorità giudaiche a Ponzio Pilato – e secondo a Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio” (Giovanni 19, 7).

La salvezza non consiste nell’entrare nel tempio di Gerusalemme, dove le pecore venivano uccise per essere offerte in sacrificio. Con “Gesù-porta” (Giovanni 10, 7), si può uscire definitivamente dalla schiavitù del peccato ed entrare nell’intelligenza amorosa del Padre. Gesù stesso è il pascolo del gregge, il vero pane di vita (= l’Eucaristia). Egli è la porta della salvezza, il “Pastore bello”, perché agnello immolato.

Celebrando la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni (quest’anno è la 60° volta che lo facciamo), chiediamo a Dio di donarci dei pastori per la Chiesa che abbiano “l’odore delle pecore”, come dice Papa Francesco. Abbiamo bisogno cioè di Pastori che assomiglino a Gesù, capaci di dare la vita per il gregge, cioè per le comunità cristiane.

Riprendiamo allora la preghiera che, in questa occasione, ci viene suggerita: “Padre buono, manda il tuo Spirito a illuminare gli occhi del nostro cuore, perché possiamo riconoscere tutto il bene che hai regalato alla nostra vita… E ognuno di noi, rispondendo alla propria vocazione, partecipi all’opera meravigliosa che vuoi compiere nella storia della salvezza”.

San Daniele Comboni (1831-1881) si considerava il Pastore della Nigrizia (= popoli dell’Africa centrale), perché nominato Vescovo del suo Vicariato Apostolico nel 1877, da Papa Pio IX. Ma Daniele Comboni voleva condurre tutti gli Africani a riconoscere Gesù come il “Pastore bello”, il “Salvatore del Mondo”. Nella quarta edizione del suo “Piano per la rigenerazione dell’Africa” del 1871, così scriveva: “Gli Apostoli della mia Missione… non sottometteranno i popoli dell’Africa centrale, ma, a imitazione del Divin Pastore, porteranno sulle loro spalle quelle povere pecorelle per condurle nel vero ovile dell’unico Pastore”.