Padre Tonino Falaguasta Nyabenda

La Terza Domenica di Pasqua segue il ritmo degli otto giorni. Ogni settimana, cioè, facciamo memoria della Pasqua del Signore Gesù, morto una volta per tutte e risorto per sempre (Ebrei 9, 12).

Noi Cristiani formiamo una comunità attorno al Cero Pasquale, simbolo luminoso del Cristo Risorto. Abbiamo anche l’occasione, celebrando la Messa, di esaminare la nostra condotta e di vedere se siamo stati coerenti con il Vangelo.

La Parola di Dio, in questo tempo pasquale, ci aiuta ad assaporare la Pasqua nella dimensione del “dopo la morte e dopo la risurrezione” del Signore Gesù. I 4 Vangeli ci parlano di Lui durante la sua vita terrena. Gli Atti degli Apostoli ci parlano di quello che il Signore ha fatto e detto, dopo la sua Pasqua, attraverso la vita degli Apostoli, degli uomini e delle donne della prima generazione cristiana. Non dimentichiamolo mai: la prima generazione cristiana resta sempre la “generazione tipo”, il modello apostolico da imitare da noi oggi e in ogni tempo. Ricordiamo anche l’esempio dei martiri di Abitina (= Tunisia attuale). L’imperatore Diocleziano (237-305) aveva emanato un ordine che obbligava i Cristiani a consegnare i Libri Sacri e a non celebrare più la Messa nel giorno del Signore. Il loro Vescovo Fundano, per paura, obbedì. Ma 49 Cristiani coraggiosi, animati da Emerito un laico, così risposero al proconsole: “Sine Dominica non possumus” (= senza la Domenica, giorno dell’Eucaristia, non possiamo vivere). E furono martirizzati nell’anno 304. Restano un esempio anche per noi oggi. L’Eucaristia infatti è il luogo dell’esperienza divina, è il sacramento nel quale vediamo e tocchiamo il Signore. “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” ha detto Gesù, dopo la professione di fede di Tommaso (Giovanni 20, 29). La Parola di Dio e il Pane spezzato (= Eucaristia) sono il segno della presenza costante di Gesù Risorto nella sua Chiesa fino alla fine dei tempi.

E ce lo insegna il Vangelo di oggi (Luca 24, 13-35), dove si narra la storia dei discepoli di Emmaus. I discepoli erano due, perché due devono essere i testimoni di un avvenimento importante (Deuteronomio 19, 15). Uno dei due discepoli si chiamava Cleopa, abbreviazione di Cleopatros, che in greco significa: figlio di un padre illustre. Il biblista tedesco Peter Tiede (1950-2005) dice che era lo zio di Gesù. Ma neppure lui credeva nel suo illustre nipote.- Andavano verso Emmaus, dove Giuda Maccabeo sconfisse l’esercito di Antioco Epifane (215-164 prima di Cristo). Questo re pagano voleva cancellare la tradizione del popolo ebraico e imporre l’Ellenismo. I due discepoli speravano che Gesù mostrasse il valore del grande Giuda Maccabeo.

Noi speravamo” dissero al passante sconosciuto che li accompagnava (Luca 24, 21). Eppure avevano assistito ai segni compiuti da Gesù, alla risurrezione della figlia di Giairo, a quella dell’amico Lazzaro a Betania… Avevano ascoltato i suoi insegnamenti… Ma la Croce era per loro un ostacolo insormontabile e la fine di ogni speranza. Solo alla luce del Cristo Risorto, la Croce può essere capita come mistero di salvezza. “O senza testa e lenti di cuore!” (Luca 24, 25) esclamò il passeggero, non ancora riconosciuto come il Signore. E allora si mise a spiegare le Scritture per far capire che Gesù di Nazareth, morto e risorto, era davvero il Messia.

Arrivati a Emmaus, dissero a colui che voleva continuare il cammino: “Dimora con noi, Signore, perché si fa sera”. Ma se Gesù dimora con noi (i discepoli però non lo sapevano ancora), non c’è più la notte. E con Lui noi siamo sempre a casa nostra (= basta leggere Giovanni 15, 4). E’ anche questo il significato dell’Eucaristia. Gesù aveva detto, durante l’ultima Cena: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui (Giovanni 14, 23).

Accettando l’invito, Gesù entrò nella taverna; seduti a tavola, prese il pane, benedisse e, spezzatolo, lo diede ai due discepoli. Allora “si spalancarono i loro occhi e lo riconobbero” (Luca 24, 31). Anche noi dobbiamo fare come i discepoli di Emmaus. Infatti Gesù non scompare. Egli resta sempre Colui che ci segue nel nostro cammino. Noi però dobbiamo seguirlo nel suo e imitarlo nel dono della vita per amore.

Nel Vangelo di Luca siamo aiutati a percorrere due tappe: catechesi dell’ascolto e visione del mistero pasquale. Queste due tappe corrispondono alle due parti della Celebrazione Eucaristica. Siamo sempre invitati, nella Messa, ad accedere alla mensa della Parola e alla mensa del Pane spezzato. Parola e pane spezzato formano un unico sacramento. Ed è questa l’Eucaristia. L’Eucaristia è veramente la fonte e culmine di tutta la vita cristiana (come ha detto il Concilio Vaticano II in La Sacra Liturgia, n° 7).

I 49 martiri di Abitina avevano perfettamente ragione: Sine Dominica non possumus: cioé senza l’Eucaristia domenicale, non possiamo vivere.

Anche san Daniele Comboni (1831-1881) ha fatto ogni sforzo, nella sua breve vita missionaria, per assicurare agli abitanti dell’Africa Centrale, la partecipazione all’Eucaristia, fondando diverse parrocchie nel suo immenso Vicariato. Così scriveva a p. Giuseppe Sembianti, superiore del suo seminario a Verona, il 13 agosto 1881: “La nostra opera è basata sulla fede”, grazie alla quale anche gli Africani possono accedere alla mensa della Parola di Dio e ricevere il Pane della vita eterna.