Padre Vincenzo Percassi

 

Colpisce nel Vangelo di oggi la contrapposizione tra il sepolcro lasciato aperto da Gesù risorto e le porte rimaste ostinatamente chiuse dove erano raccolti i discepoli. È come se la vera sfida per Gesù non fosse tanto quella di uscire dal suo sepolcro quanto quella di far nascere nei suoi nei discepoli una fede più forte della paura. La sfida rimane fino ad oggi perché la paura riemerge nei nostri cuori di fronte a qualsiasi insicurezza esistenziale che riporta al centro della nostra attenzione la nostra condizione mortale. Per attecchire nei nostri cuori impauriti, allora, la fede deve appoggiarsi su una speranza più forte della morte. Niente meno di quella può darci la pace che Gesù annuncia nel cenacolo. Pietro chiama questa speranza una “speranza viva” perché a differenza di tutte le piccole speranze umane, essa ti invita pensare il tuo futuro oltre la morte. Una vita senza questa speranza viva è una vita a porte chiuse, cioè una vita che deve proteggersi dalla paura di finire. In effetti dopo la resurrezione apparentemente nulla cambia all’esterno perché quei Giudei che minacciavano Gesù prima della sua morte e resurrezione sono ancora lì che minacciano i suoi discepoli. E questo suscita paura e li spinge a nascondersi. La loro fede è condizionata dalle circostanze esterne più o meno sicure. Apparentemente nemmeno all’interno dei cuori cambia qualcosa. Tommaso, sembra essere quello meno impaurito di tutti. Eppure, benché abbia udito l’annuncio della resurrezione, rimane fondamentalmente ancorato alla sua mentalità antica per la quale “reale” e “sicuro” è ciò che si vede e si tocca. Il rischio della fede farà sempre paura finche mi illudo che l’unica felicità è quella che viene dalle cose che conosco io. Pietro, dopo la resurrezione, invece, parlera di una gioia indicibile. Non solo nel senso di eccezionale ma propriamente nel senso di inspiegabile, misteriosa, perché, a differenza delle gioie mondane, essa è capace di zampillare anche nel mezzo di molte tribolazioni. Se credo faccio esperienza di questa speranza forte che fa vivere in maniera diversa e di questa gioia indicibile che rende capaci di affrontare la sofferenza con allegrezza. Ma chi mi dona la fede? Il Vangelo di oggi mette in luce come la fede dei discepoli, che Pietro descrive come più preziosa dell’oro, non dipende né dalle circostanze esterne né dal loro convincimento interiore. La loro fede nasce dal fatto oggettivo che Cristo risorto li ha raggiunti nella loro incapacità di credere, li ha consolati e ha detto a Tommaso: metti le tue dita nelle mie piaghe, cioè ha annunciato la misericordia. Difficile pensare ad un amore più grande. La piaga che dovrebbe fare ancora male e dare ragioni per accusare, rivendicare, rifiutare diventa al contrario ragione per attirare, accondiscendere, accogliere, perdonare. Divina misericordia. Non c’è nulla che può separarci dall’amore di Dio perché la resurrezione di Cristo è la prova che esso resiste al nostro rifiuto e continua a venirci incontro. La resurrezione di Gesù pur non escludendo il rifiuto umano che spiega la possibilità di ritenere i peccati, non ammette il rifiuto divino: a chiunque voi stessi li rimetterete anche io – dice Dio – li rimetterò senza discussione. La fede nasce e cresce a partire da una semplice disposizione del cuore a lasciar fare a Dio: a lasciarsi perdonare, a lasciarsi aiutare, a lasciarsi consolare. Ma questo lasciar fare a Dio non e’ semplice perché le nostre paure ci portano continuamente e riprendere in mano il timone della nostra barchetta e a fare a modo nostro. Ci sarà sempre una tensione nel nostro cuore tra il dare fiducia a Dio e il ritornare alle nostre sicurezze umane. Le porte del cenacolo non a caso resteranno chiuse anche dopo la seconda apparizione di Gesù. Non è l’aver visto una o due volte il Signore che cambia una volta per tutte il cuore dei discepoli ma il loro decidersi a vivere – dentro e fuori casa – memori della sua resurrezione e quindi della sua presenza costante in mezzo a loro. Prendere seriamente questa consapevolezza di Cristo risorto presente nella realtà significa fare un passaggio, una “pasqua”. Questo è il passaggio che Gesù indica a Tommaso, come a ciascuno di noi: non essere più incredulo ma diventa credente. Questo passaggio implica sempre una sorta di “uscita” da sé stessi e quindi una vita che diventa evangelizzazione. Gli atti degli apostoli descrivono questo modo di vivere nuovo come attenzione ai bisogni dei più poveri, come il gusto per lodare Dio insieme nel tempio piuttosto che il rinchiudersi nel privato, e come la ricerca della comunione a partire dalle relazioni più intime, cioè il prendere i pasti con letizia e semplicità di cuore.