Padre Luigi Consonni

Prima lettura (At 2,42-47)

[Quelli che erano stati battezzati] erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere.
Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli.
Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno.
Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo.
Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.

Il brano, con riferimento a “Quelli che erano stati battezzati”, traccia il profilo della vita comunitaria, per la fede nell’evento della morte e risurrezione di Gesù Cristo e del battesimo, sigillo dell’adesione a Cristo. L’impatto dell’evento motiva in essi il cambiamento interiore, associato alla determinazione di stabilire nuovi rapporti interpersonali e formare la comunità credente nella responsabilità fraterna e solidale, per un mondo più umano che accoglie e integra popoli ed etnie diverse.
A tal fine “
erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere”. L’insegnamento è fondamentale, e la perseveranza è necessaria per attivare l’intelligenza della fede escatologica nell’acquisire le condizioni della corretta evangelizzazione dell’evento Gesù Cristo.
Con l’insegnamento si apprende la filosofia di vita, le scelte e la pratica di Gesù, in modo che l’annuncio e l’accoglienza dell’avvento del Regno di Dio suscitino, in ambienti e culture diverse, l’audacia, il coraggio e la creatività praticata da Gesù in circostanze
simili.
Ebbene, per restare in sintonia con esso, oggigiorno occorre elaborare il
dialogo interculturale e interreligioso, determinando punti nodali che, nel loro insieme, tracciano l’unità nella fede, nel rispetto delle culture, del contesto e delle circostanze personali e sociali.
È proprio dell’“l’insegnamento degli apostoli” comprendere, verificare e assumere la posta in gioco e l’evangelizzazione. Non si tratta di un dovere, ma di approfondire la conoscenza, la grandezza e lo stupore del dono – per la fede nell’ultimo e definitivo del mistero della vita – fonte di gioia per i destinatari e per sé stessi.
A ciò è associata la comunione di vita, la fraternità, la solidarietà, la
responsabilità, la fiducia nell’accogliere l’avvento del Regno che edifica la comunità nello “spezzare il pane” – la celebrazione dell’eucaristia – e “nelle preghiere”.
Con il consolidamento del Regno cresce la fede nel
condividere l’istruzione, l’esortazione vicendevole, l’appoggio morale e spirituale nei momenti di gioia o di difficoltà. Non solo, ma anche la comunione nella condivisione dei beni per una vita degna e umana: “Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno”.
Stupisce il riferimento alla vendita delle “
loro proprietà e sostanze”, che rimanda all’invito rivolto da Gesù al giovane ricco di vendere tutto, distribuire il ricavato ai poveri e seguirlo, il che richiama alla mente una radicalità che lascia perplessi e a volte sgomenti.
Cosa può aver spinto a compiere un gesto così audace? La certezza
dell’imminente parusia? Sarebbe comprensibile. Oppure vivere il presente escatologico affascinante del contesto, della circostanza?
Ma sorge anche un forte interrogativo: cosa avrebbero fatto una volta esauriti i
beni frutto delle vendite? Non c’è risposta a questo interrogativo. Tutto dipende dalla circostanza, dalla filosofia di vita, dalla percezione del mistero dell’amore di Dio, dal coraggio e dalla qualità della fede.
D’altro canto, il libro
degli Atti e le lettere di san Paolo riportano tensioni, difficoltà e comportamenti in netto contrasto con tale quadro. Sarà che sia frutto dell’entusiasmo del primo momento o la prospettiva a cui tendere e avvicinarsi? Probabilmente si tratta dell’uno e dell’altro.
In ogni caso è evidenziato l’impulso trasformatore dell’evento della morte e risurrezione di Gesù: “Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore”. Il che presuppone che ogni singolo membro della comunità faccia proprio lo stile di vita di Gesù, la sua filosofia e, soprattutto, la dinamica della carità, del dono di sé, per il bene del prossimo e della collettività, come fece Gesù.
Allo stesso tempo occorre porre attenzione alla perenne tensione tra la
nuova comunità e la società in generale. Gesù prega il Padre per i suoi discepoli e li allerta per il fatto che “voi siete nel mondo ma non del mondo”. Egli sa della tensione di vita e morte fra due concezioni opposte e inconciliabili. Famoso è il libretto “L’agonia del cristianesimo” di Miguel de Unamuno (filosofo spagnolo dell’inizio del Novecento) nel quale, con profonda lucidità, l’autore analizza e argomenta la lotta estrema fra vita e morte, fino all’ultimo respiro.
La comunità loda Dio e raccoglie il favore del popolo, e “Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati”, per l’azione del Signore nel credente e nella comunità che loda Dio per la convivenza fraterna. I due aspetti costituiscono la salvezza giornaliera e il continuo farsi del dono del Regno di Dio, partecipazione già oggi dell’ultimo e definitivo.
Le condizioni per vivere il mistero del Risorto sono il tema della seconda
lettura.

Seconda lettura (1Pt 1,3-9)

Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, in vista della salvezza che sta per essere rivelata nell’ultimo tempo.
Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco –, torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime.

L’apostolo compone l’inno di benedizione a Dio per le nuove creature – credenti e comunità – e afferma: “nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti”. La condizione di rigenerati dalla morte del Figlio Risorto, per l’amore che l’ha portato alla consegna, costituisce il fondamento per comprendere il brano. La rigenerazione consolida la comunione in Gesù Cristo, la partecipazione alla vita divina e la condizione di nuova creatura. Per l’altro verso, l’esposizione alla tentazione, al male e al peccato, fa sì che la coscienza della rigenerazione susciti la lotta interiore e, allo stesso tempo, “una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce”. Il che è motivo di meraviglia e di stupore e, ancor più, di gratitudine per la speranza “conservata nei cieli per voi, che nella potenza di Dio siete custoditi mediante la fede”.
È la fede escatologica – ultimo e definitivo della vita giornaliera – negli effetti dell’evento Gesù Cristo, in cui siamo immersi per la potenza dell’amore di Dio che suscita la fermezza della speranza e la convinzione che non sarà delusa, frustrata o defraudata, perché sostiene la fiducia “della salvezza che sta per essere rivelata nell’ultimo tempo”, il tempo di ogni tempo.
La speranza della promessa da parte di Dio unisce,
indissolubilmente, presente e futuro nella meta definitiva già presente nell’attualità. È la meta attualizzata costantemente nel tempo cronologico, in attenzione al nuovo che emerge. Questo perché la speranza riprende gli effetti della morte in croce di Gesù (passato), stabilisce la nuova ed eterna alleanza (presente) e consolida l’ultimo tempo (futuro).
Passato, presente e futuro sono intimamente uniti, e l’oggi acquista lo
spessore e l’importanza dell’attimo in cui, nel buio pesto, il fulmine illumina tutto ciò che sta intorno, per poi sparire, lasciando l’indimenticabile sigillo del destino, di ciò che la persona è.
Questa singolare esperienza rapporta alla persona di Cristo che “
Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora senza vederlo, credete in lui”. L’amore e la fiducia sostengono il cammino e sono motivo “di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la meta della vostra fede: la salvezza delle anime” nell’ accogliere l’avvento del Regno.
In questo contesto le prove e le difficoltà giornaliere sono riprese e
rielaborate in modo costruttivo, inclusa la sofferenza propria o di altri nelle circostanze della vita. Al riguardo Pietro esorta: “Perciò siate colmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove”.
Unire il colmo della gioia con l’afflizione delle prove è la singolarità
che presuppone la solida identificazione e sintonia con l’evento Gesù Cristo che, nella preghiera al Padre per i discepoli ed i futuri credenti, alla vigilia della passione, afferma: “Ma ora vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in sé stessi la pienezza della mia gioia” (Gv17,13).
Non sempre la persona ha la forza interiore per contrapporsi all’afflizione
delle prove, particolarmente nella solitudine, per l’assenza del sostegno di amici, di parenti, della comunità; e, di conseguenza l’afflizione, la sofferenza, il disagio interiore, sconcerta e scuote ogni buon proposito di fedeltà e di perseveranza nella fiducia e nell’amore a Dio.
Ma le fragilità, le debolezze non hanno l’ultima parola. Afferma
l’apostolo: per la grazia di Dio “la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire tuttavia purificato dal fuoco -, torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà”. Per la fede escatologica emerge il ribaltamento, la purificazione dall’impurità, per la gratuità dell’amore.
La purificazione identifica sempre più il credente con Gesù Cristo, con il
culmine dell’amore proprio del momento in cui “morì per noi, quando eravamo ancora peccatori” (Rm 5,8). È l’amore gratuito, la ragione e la forza della risurrezione.

Vangelo (Gv 20,19-31)

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Impressiona l’ingresso a porte chiuse di Gesù fra i discepoli, rinchiusi in disparte e pieni di paura, sconcertati e scossi dagli eventi della crocifissione.
In primo luogo, Gesù augura “
Pace a voi”. Non si tratta di un augurio, di un desiderio, ma del dono della pace, che pone in secondo piano il passato e rimargina la ferita. Con la sua presenza e la parola offre le condizioni per le quali “I discepoli gioirono al vedere il Signore”.
Gesù “
mostrò loro le mani e il fianco”, non solo per rassicurarli sull’identità di crocefisso, ma anche per manifestare che il potere del male e la forza del peccato non hanno il dominio su di Lui, sul suo corpo, sulla sua persona. Le ferite mortali aperte non sono più realtà di morte e di sofferenza, proprie del male e del peccato, ma di vita piena che vince la morte.
L’amore di Gesù è l’ultima parola di Dio sulle vicende umane, sottoposte
alle tragiche conseguenze dell’incredulità, del rifiuto e della derisione. L’amore “fino alla fine” di Gesù, che unisce presente e futuro, e il contrario, futuro e presente, fa della risurrezione il trionfo definitivo. L’amore in questa vita terrena è lo stesso amore che risuscita.
Gesù, dopo aver ripetuto il saluto iniziale, aggiunge: “
Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Il rapporto Padre-Figlio è il modello del rapporto di Gesù con i suoi discepoli, sostenuto e motivato dallo Spirito Santo. Con esso Gesù dona il suo Spirito – lo Spirito del Risorto – che richiama alla memoria il soffio della creazione: “soffiò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo”.
La risurrezione è la nuova creazione, l’evento escatologico l’ultimo e definitivo già presente, che coinvolge la persona, la comunità credente e l’intera umanità nell’accogliere l’avvento del Regno di Dio, finalità della missione di Gesù.
Con l’accoglienza dell’avvento del Regno,
“A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”. Il perdono è “dono per te”, dono della misericordia di Dio che rigenera a nuova vita. L’efficacia e il consolidamento del dono nei rapporti interpersonali e sociali fanno sì che la misericordia leghi tre aspetti:

1 – Il perdono di sé.
Nella rigenerazione per la forza dell’amore, lo Spirito perdona la persona per la sua fede. Gesù dirà ai guariti: “la tua fede ti ha salvato”. Non dirà loro: “la fede in me”, ma per quello hai accolto di me con fiducia, per la lotta, fino alla morte, contro il peccato a tuo favore, rappresentandoti davanti al Padre. In virtù di ciò sei l’uomo nuovo, la mia vita è la tua, puoi ottenere la misericordia perdonando te stesso e rimanere nella pace, dono di Dio.

2 – Il perdono dell’altro.
Nella terza orazione Eucaristica, dopo la consacrazione, si rivolge a Dio la seguente preghiera: “Guarda con amore e riconosci …”. Guarda con amore… suggerisce al credente l’atteggiamento alle offese dell’altro. È guardare con gli occhi di Dio nell’offrire la gratuità della giustificazione, la nuova alleanza. È l’opportunità di trasmettere il dono ricevuto. Quindi, è possibile amare i nemici, fare il bene e pregare per quelli che ti odiano (Lc 6,27 ss).

3 – Il perdono a Dio.
Appare paradossale quest’affermazione, e per certi aspetti lo è. Tuttavia, constatare il suo non intervento e veder morire di cancro un bambino; il suo silenzio e la sua “assenza” nel non muovere un dito per preservare dal massacro milioni di persone; lasciare che il male continui ad operare, seminando violenze, ingiustizie e altro, è contraddire la realtà dell’amore del Padre, della sua misericordia.
Fa pensare a un’omissione inspiegabile, comprensibile solo
per l’allontanamento di Dio stesso. Ma un’altra lettura svela in tutto ciò l’opportunità per ritornare a Lui il dono ricevuto, con gli stessi suoi sentimenti, pur nella fragilità della condizione umana. È il “dono” per Lui che rinsalda il rapporto, ravviva l’alleanza per il continuo fluire di Amore da Lui a noi e da noi a Lui, e così via…
È Dio che ci rende capaci di amarlo nell’imitare il suo amore per noi. Egli
annulla le distanze e il peccato; cammina in incognito al fianco di chi crede nel suo amore; sostiene il sogno e la speranza ben oltre quel che è in grado di comprendere la capacità umana.
È la salvezza dell’amore, la realizzazione del “sarete come Dio”, in sé stesso corretto (ma abilmente manipolato dal tentatore per sedurre Adamo ed Eva verso un cammino sbagliato).
In questa dinamica continua di dono scambievole, l’uomo si divinizza e Dio si umanizza nella stessa dinamica dell’amore.