Padre Tonino Falaguasta Nyabenda
In questo tempo santo della Settimana Santa, specialmente durante il Triduo Pasquale, facciamo con Gesù il memoriale dell’Esodo verso il Monte Sinai (Esodo 19, 1 e seguenti), dove il popolo di Israele ha ricevuto la Legge (= i 10 comandamenti) della prima Alleanza, e dell’Esodo di Cristo, che fonda la Nuova Alleanza, quella definitiva, e ci fa camminare verso il Regno di Dio, dove si vive la comunione con il Dio-Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. Tutto questo noi lo celebriamo con i ritti della Settimana Santa. Questa Settimana è incominciata con la Domenica delle Palme. In essa riviviamo i giorni della Passione, della morte e della Risurrezione del Signore Gesù. Sono il vertice e il fondamento della Liturgia e della vita cristiana.
I giorni del Triduo Pasquale (Giovedì Santo, Venerdì Santo e Sabato Santo) sono considerati dalla Liturgia cattolica come un solo e unico giorno. Ha scritto Papa Paolo VI, il 14 febbraio 1969, quando ha promulgato le norme generali riguardanti l’ordinamento dell’Anno Liturgico: “La celebrazione del Mistero Pasquale, secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II, costituisce il momento privilegiato del culto cristiano nel suo sviluppo quotidiano, settimanale e annuale”.
Durante la Settimana Santa, guidati dallo Spirito Santo, possiamo celebrare tutta la storia della salvezza e fare nostro il Kerygma (= annuncio) della Chiesa Apostolica (= fondata sulla testimonianza degli Apostoli): “Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture e apparve a Cefa (= Simon Pietro) e quindi ai Dodici” (1 Corinzi 15, 3-5). Vivendo questa Pasqua della Liturgia attuale il Cristo pasquale (= risorto), ci accompagna a riconoscere la nostra identità di uomini e donne salvati, perché morti, sepolti e risorti in Lui, come diceva l’apostolo Paolo: “O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del Battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a Lui nella morte, affinché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Romani 6, 3-4). Durante la Domenica delle Palme siamo stati invitati ad accogliere il vero Messia, quello che cavalca un’asina (= cavalcatura dei poveri) e non un cavallo (= strumento di gloria e di guerra). Noi accogliamo un Messia umile, un Messia di pace; non il Figlio di Davide, ma il Figlio di Dio.
Nella Liturgia del Giovedì Santo si fa il lavaggio dei piedi, durante la Messa in Coena Domini. Anche nei Monasteri Benedettini l’abate lavava i piedi dei suoi monaci, sull’esempio di Gesù, che ha lavato i piedi degli Apostoli (Giovanni 13, 12-15), per indicare che Lui non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita per tutti. Si ricorda anche la cena pasquale del Signore, durante la quale istituì l’Eucaristia e il Sacerdozio.
Questa Cena apre il Giorno della Passione: è il mistero della morte di Dio che ricordiamo il Venerdì Santo. Gesù infatti, Figlio di Dio, accettando di divenire uomo nel seno della Vergine Maria, accetta anche l’annientamento della condizione umana (Filippesi 2, 6-8). La liturgia del Venerdì Santo è nata a Gerusalemme. Durante l’adorazione della Croce (esponendone una reliquia), si faceva memoria della Passione di Gesù, secondo il Vangelo di Giovanni (Giovanni 18, 1 – 19, 1-42). Secondo questo Vangelo, tutto avviene in un giardino: dal Getsemani al giardino della Tomba. Il riferimento è al giardino dell’Eden (Genesi 2, 8-15), dove Dio pone Adamo. Gesù è il nuovo Adamo, fedele, questa volta, e obbediente fino alla Croce. Dall’albero dell’Eden ci è giunta la morte con Adamo. Dall’albero della Croce sul Calvario ci viene la salvezza, dove Gesù muore, offrendo se stesso come Agnello Pasquale.
La forma della Croce (con l’asta verticale e la traversa orizzontale) è segno della redenzione universale, indicando i quattro punti cardinali con le sue quattro punte. Ai piedi della Croce c’era la Madre di Gesù con l’apostolo Giovanni (Giovanni 19, 26): madre e figlio rappresentano l’umanità. Nel Paradiso Adamo accusa la donna della colpa. Ai piedi della Croce, la madre e il figlio, davanti al Figlio (= Gesù), riscattano la colpa di Adamo ed Eva, per dare inizio a un’umanità nuova: Giovanni accoglie Maria nella sua casa (Giovanni 19, 27). L’umanità nuova è possibile perché lo Spirito, effuso da Gesù sulla Croce alla sua morte (Giovanni 19, 30), dona la capacità di eliminare l’odio e la violenza, per vivere di amore e di accoglienza.
E siamo alla Liturgia del Sabato Santo. Grazie alla Veglia Pasquale, diventiamo contemporanei di Dio, che, con il miracolo dell’esodo (quello di Israele liberato dalla schiavitù d’Egitto e quello di Gesù che esce dalla tomba), abolisce ogni schiavitù, anche quella della morte. I simboli della Veglia ce lo fanno capire. Il fuoco: simbolo di distruzione e di purificazione. Il Cero pasquale richiama la colonna di fuoco dell’Esodo (Esodo 13, 21). L’acqua è simbolo della vita. L’ascolto della Parola che diventa fatto, cioè realizza e rende esistente ciò che significa. Allora l’Eucaristia che celebriamo la notte di Pasqua è il culmine e il vertice della Veglia Pasquale. Riviviamo, nel sacramento, la Passione, la Morte e la Risurrezione di Gesù, divenendo suoi contemporanei fino alla fine del Mondo (Matteo 28, 20).
San Daniele Comboni (1831-1881) sognava una Pasqua anche per l’Africa Centrale. Pasqua vuol dire risurrezione, vita nuova, pace, fratellanza, sviluppo e considerazione. Per questo il Comboni aveva scritto, il 18 settembre del 1864, il “Piano per la rigenerazione dell’Africa” e a questo Piano ha consacrato tutte le sue forze e tutte le sue energie. Uniti spiritualmente a san Daniele Comboni auguriamo anche oggi all’Africa e al Mondo intero: “Buona e Felice Pasqua!”.