Padre Luigi Consonni

Prima lettura (Is 50,4-7)

Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo,
perché io sappia indirizzare
una parola allo sfiduciato.
Ogni mattina fa attento il mio orecchio
perché io ascolti come i discepoli.
Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio
e io non ho opposto resistenza,
non mi sono tirato indietro.
Ho presentato il mio dorso ai flagellatori,
le mie guance a coloro che mi strappavano la barba;
non ho sottratto la faccia
agli insulti e agli sputi.
Il Signore Dio mi assiste,
per questo non resto svergognato,
per questo rendo la mia faccia dura come pietra,
sapendo di non restare confuso.

Con il terzo dei quattro cantici del Servo inizia la Settimana Santa. Il brano presenta la figura di una persona (alcuni studiosi ritengono che possa trattarsi anche di un soggetto collettivo, il “resto” del popolo d’Israele fedele al Signore) chiamata e unta dallo Spirito per dedicarsi alla causa del regno di Dio e per riscattare e salvare ogni singola persona, il popolo e l’umanità intera.
Il popolo, tornato dal lungo esilio in Babilonia, è abbattuto, sfiduciato e deluso riguardo all’avvento del regno di Dio. La responsabilità ricade sul popolo stesso, particolarmente sulle autorità e le guide spirituali che non praticano l’Alleanza e deviano dalle esigenze e dalle prescrizioni della stessa.
Del servo il profeta afferma: “Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato”. Egli è inviato per rianimare la speranza, comunicare parole che riaprano il cuore e la mente all’accoglienza dell’avvento del Regno e recuperare la fiducia nella fedeltà del Signore.
Il servo si avvale dell’attenzione del Signore: “Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli”, in modo da sintonizzare la mente e il cuore alla causa del Regno. Egli è cosciente e determinato nell’assumere la missione: “Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro”, e comprende che incontrerà prove e difficoltà al punto che dovrà essere preparato a non imbrigliarsi, in modo che, con audacia e coraggio, non desista dalla finalità della missione.
È il caso di Gesù, che trova nei quattro cantici del Servo il senso, la finalità della missione e ciò che gli accadrà. Con le tentazioni nel deserto, nella solitudine e nella preghiera per lo svolgimento della missione comprenderà come trasmettere la speranza di una nuova società a persone abbattute, sfiduciate ed escluse da ogni possibilità di riscatto, e di nuova vita, pur con la reazione avversa dei detentori della teologia e pratica religiosa del tempo che lo porterà alla consegna di sé stesso.
Come il Servo, anche Gesù percepisce la prospettiva del ripudio e della morte violenta, alla quale si appresta con audacia e singolare coraggio: “Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a chi mi strappava la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi”. Soffrirà il massimo disprezzo e affronterà la morte come maledetto da Dio.
Una persona può donare la vita ed essere ricordata con onore, come nel caso di chi, per salvare un bambino, sacrifica sé stesso e muore. Può suscitare ammirazione anche chi, con pazienza e serenità, affronta un lungo periodo di malattia, ma per la persona disprezzata non c’è pietà né commiserazione, solo rifiuto e abbandono! È il caso della morte e crocifissione di Gesù.
Sorprendente è l’esperienza del servo: “Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia come pietra, sapendo di non restare confuso”. Non sentirsi svergognato né confuso si deve all’assistenza del Signore.
Viene da chiedersi: che tipo di assistenza si tratta? Il testo non lo specifica, ma due aspetti del patrimonio esperienziale e spirituale di Dio, attestati dalla vicenda dell’esilio e dal motivo della consegna, aiutano a comprendere.
In primo luogo, Dio stesso – il Padre e lo Spirito – soffrono nel – e – con il Servo, con Gesù. Il Servo, nel martirio, non è isolato dai Due e costoro soffrono in Lui e con Lui. Il secondo aspetto riguarda la forza, la potenza e l’efficacia dell’amore, motivo della consegna. L’amore fa sì che, nella terribile sofferenza, umiliazione e solitudine, il Servo, paradossalmente, percepisca “il potere di una vita indistruttibile” (Eb.7.16).
La percezione si deve all’amore trinitario, la linfa che sostiene e motiva la fedeltà del Servo sino alla consegna di sé stesso. Nella prova l’amore genera gli stati d’animo richiamati dal brano. Si può pensare che il Servo, nell’oscurità totale, abbia accesso alla trascendenza, all’esperienza di Dio nell’intimo dell’essere, per la fedeltà e l’amore alla causa del Regno, in sintonia con la volontà del Padre. È il culmine dell’esperienza di Dio.
È l’esperienza di Gesù che Paolo sintetizza magistralmente nell’inno della seconda lettura.

Seconda lettura (Fil 2,6-11)

Cristo Gesù,
pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
ma svuotò sé stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò sé stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!»,
a gloria di Dio Padre.

Il brano è un inno che risale alle prime comunità cristiane e sintetizza la figura, il senso e la portata della missione di Gesù. Molto fu scritto – e si scriverà – per l’importanza del contenuto.
I primi tre versetti si riferiscono allo svuotamento e all’umiliazione di Gesù che carica su di sé il rifiuto, il disprezzo delle autorità e del popolo, che lo ritengono un falso profeta meritevole della croce. Grava su di lui la conseguenza del peccato di tutti, sintetizzato nella sfiducia nell’instaurare l’avvento del regno di Dio, ritenuto l’inganno estremo del suo insegnamento e della pratica pastorale.
Nell’organizzare la missione, Gesù mette come tra parentesi la sua condizione divina: non si avvale delle prerogative che essa comporta. Al riguardo Paolo afferma: “pur essendo nella condizione di Dio”. Nel testo originale non c’è il “pur”, il che evidenzia la caratteristica della condizione divina nello svuotare sé stesso, ”… assumendo la condizione di servo” per l’avvento del Regno, della nuova società.
Il popolo lo conosce come persona comune (“Dall’aspetto riconosciuto come uomo”); uno dei tanti mortali della Galilea, luogo dal quale non si aspetta niente di buono. Tuttavia Gesù avanza pretese messianiche che contraddicono ogni attesa e creano un rifiuto, sia dalle persone che dalla società, nell’insegnare e proclamare l’avvento del regno di Dio.
Ebbene, come Servo “umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce”. Se l’obbedienza fino alla croce fosse una sorta di riscatto per la redenzione, o il necessario tributo di sofferenza, di sangue e morte per l’offesa recata con il tradimento dell’alleanza, Dio si configurerebbe come “assetato” di sangue e vendicativo; il che è totalmente fuori luogo e non risponde alla realtà.
L’obbedienza è per amore alla causa dell’avvento del Regno e testimonia la verità del suo insegnamento, delle sue scelte e della pratica pastorale. Con essa sostiene la giustizia di Dio, la redenzione della persona – e dell’umanità – debole, fragile e peccatrice, della quale assume la rappresentanza davanti al Padre.
Gesù, per la forza dello Spirito e la volontà del Padre, non soggiace alla tentazione, alla seduzione, alla lusinga della gente e del loro peccato; sarebbe impossibile la giustificazione davanti al Padre e il fallimento della missione. Gesù è la prima persona che vince il peccato in virtù dello Spirito. In Lui la lotta tra peccato e Spirito – iniziata nel deserto – è vinta dell’obbedienza per amore alla causa.
I tre versetti seguenti spiegano gli effetti della vittoria. “Per questo” stabilisce la relazione, l’anello di congiunzione con quel che segue.
Il Padre e lo Spirito soffrono con lui i patimenti, e ora Dio accoglie l’umanità del Figlio e “lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome”. Il nome rivela l’essenza e l’esistenza che conforma la dinamica dell’amore, nel far sì che Gesù accolga la condizione infima della persona e dell’umanità nel trasmettere loro, quale Rappresentante davanti al Padre, il dono del riscatto e della rigenerazione a nuova vita.
Con la risurrezione si apre lo squarcio de mistero di Dio e la dinamica trinitaria nel corpo crocefisso e risorto di Gesù. È l’evento oggettivo della giustificazione, della salvezza della persona, dell’umanità che crede in Lui.
Ora tocca alla persona e all’umanità coinvolgersi e vivere il dono, con timore reverenziale e gratitudine. Costoro, con la loro testimonianza, fanno sì che “nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: ’Gesù Cristo è Signore’, a gloria di Dio Padre”. L’evento oggettivo realizzato da Gesù Cristo diventa soggettivo nella persona e nella comunità credente.
La gloria di Dio è che ogni uomo viva in pienezza la vita e renda visibile il regno di Dio, nella responsabilità e solidarietà sociale per l’umanità, nell’avvento di un nuovo mondo: il regno di pace e di giustizia.
Rispondendo all’amore nel quale si sente coinvolta e amata, la persona e l’umanità trasmettono il modello redentivo operato da Gesù, il cui punto culminante è contenuto nel vangelo odierno.

Vangelo (Mt 26,14-27,66)

Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Matteo

– Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?

In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù.

– Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?

Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.

– Uno di voi mi tradirà

Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».

– Questo è il mio corpo; questo è il mio sangue

Ora, mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: «Prendete, mangiate: questo è il mio corpo». Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati. Io vi dico che d’ora in poi non berrò di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi, nel regno del Padre mio». Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

– Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge

Allora Gesù disse loro: «Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo. Sta scritto infatti: “Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge”. Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea».

Pietro gli disse: «Se tutti si scandalizzeranno di te, io non mi scandalizzerò mai». Gli disse Gesù: «In verità io ti dico: questa notte, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». Pietro gli rispose: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò». Lo stesso dissero tutti i discepoli.

– Cominciò a provare tristezza e angoscia

Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: «Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare». E, presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. E disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». Andò un poco più avanti, cadde faccia a terra e pregava, dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!».

Poi venne dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: «Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora? Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Si allontanò una seconda volta e pregò dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà». Poi venne e li trovò di nuovo addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti. Li lasciò, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: «Dormite pure e riposatevi! Ecco, l’ora è vicina e il Figlio dell’uomo viene consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino».

– Misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono

Mentre ancora egli parlava, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una grande folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo. Il traditore aveva dato loro un segno, dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!». Subito si avvicinò a Gesù e disse: «Salve, Rabbì!». E lo baciò. E Gesù gli disse: «Amico, per questo sei qui!». Allora si fecero avanti, misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù impugnò la spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote, staccandogli un orecchio. Allora Gesù gli disse: «Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno. O credi che io non possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli? Ma allora come si compirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?». In quello stesso momento Gesù disse alla folla: «Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno sedevo nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Ma tutto questo è avvenuto perché si compissero le Scritture dei profeti». Allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono.

– Vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza

Quelli che avevano arrestato Gesù lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale si erano riuniti gli scribi e gli anziani. Pietro intanto lo aveva seguito, da lontano, fino al palazzo del sommo sacerdote; entrò e stava seduto fra i servi, per vedere come sarebbe andata a finire.

I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una falsa testimonianza contro Gesù, per metterlo a morte, ma non la trovarono, sebbene si fossero presentati molti falsi testimoni. Finalmente se ne presentarono due, che affermarono: «Costui ha dichiarato: “Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni”». Il sommo sacerdote si alzò e gli disse: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio». «Tu l’hai detto – gli rispose Gesù –; anzi io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo».

Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: «Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». E quelli risposero: «È reo di morte!». Allora gli sputarono in faccia e lo percossero; altri lo schiaffeggiarono, dicendo: «Fa’ il profeta per noi, Cristo! Chi è che ti ha colpito?».

– Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte

Pietro, intanto, se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una giovane serva gli si avvicinò e disse: «Anche tu eri con Gesù, il Galileo!». Ma egli negò davanti a tutti dicendo: «Non capisco che cosa dici». Mentre usciva verso l’atrio, lo vide un’altra serva e disse ai presenti: «Costui era con Gesù, il Nazareno». Ma egli negò di nuovo, giurando: «Non conosco quell’uomo!». Dopo un poco, i presenti si avvicinarono e dissero a Pietro: «È vero, anche tu sei uno di loro: infatti il tuo accento ti tradisce!». Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell’uomo!». E subito un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola di Gesù, che aveva detto: «Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente.

– Consegnarono Gesù al governatore Pilato

Venuto il mattino, tutti i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Poi lo misero in catene, lo condussero via e lo consegnarono al governatore Pilato.

Allora Giuda – colui che lo tradì –, vedendo che Gesù era stato condannato, preso dal rimorso, riportò le trenta monete d’argento ai capi dei sacerdoti e agli anziani, dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «A noi che importa? Pensaci tu!». Egli allora, gettate le monete d’argento nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi. I capi dei sacerdoti, raccolte le monete, dissero: «Non è lecito metterle nel tesoro, perché sono prezzo di sangue». Tenuto consiglio, comprarono con esse il “Campo del vasaio” per la sepoltura degli stranieri. Perciò quel campo fu chiamato “Campo di sangue” fino al giorno d’oggi. Allora si compì quanto era stato detto per mezzo del profeta Geremia: «E presero trenta monete d’argento, il prezzo di colui che a tal prezzo fu valutato dai figli d’Israele, e le diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore».

– Sei tu il re dei Giudei?

Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Tu lo dici». E mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusavano, non rispose nulla.

Allora Pilato gli disse: «Non senti quante testimonianze portano contro di te?». Ma non gli rispose neanche una parola, tanto che il governatore rimase assai stupito. A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba. Perciò, alla gente che si era radunata, Pilato disse: «Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?». Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.

Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua». Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò loro: «Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà per voi?». Quelli risposero: «Barabba!». Chiese loro Pilato: «Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?». Tutti risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli disse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora gridavano più forte: «Sia crocifisso!».

Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.

– Salve, re dei Giudei!

Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: «Salve, re dei Giudei!». Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo.

– Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni

Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce. Giunti al luogo detto Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. Dopo averlo crocifisso, si divisero le sue vesti, tirandole a sorte. Poi, seduti, gli facevano la guardia. Al di sopra del suo capo posero il motivo scritto della sua condanna: «Costui è Gesù, il re dei Giudei».

Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.

– Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!

Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare sé stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!». Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo.

– Elì, Elì, lemà sabactàni?

A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito.

Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!».

Vi erano là anche molte donne, che osservavano da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra queste c’erano Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedèo.

– Giuseppe prese il corpo di Gesù e lo depose nel suo sepolcro nuovo

Venuta la sera, giunse un uomo ricco, di Arimatèa, chiamato Giuseppe; anche lui era diventato discepolo di Gesù. Questi si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato allora ordinò che gli fosse consegnato. Giuseppe prese il corpo, lo avvolse in un lenzuolo pulito e lo depose nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia; rotolata poi una grande pietra all’entrata del sepolcro, se ne andò. Lì, sedute di fronte alla tomba, c’erano Maria di Màgdala e l’altra Maria.

– Avete le guardie: andate e assicurate la sorveglianza come meglio credete

Il giorno seguente, quello dopo la Parascève, si riunirono presso Pilato i capi dei sacerdoti e i farisei, dicendo: «Signore, ci siamo ricordati che quell’impostore, mentre era vivo, disse: “Dopo tre giorni risorgerò”. Ordina dunque che la tomba venga vigilata fino al terzo giorno, perché non arrivino i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: “È risorto dai morti”. Così quest’ultima impostura sarebbe peggiore della prima!». Pilato disse loro: «Avete le guardie: andate e assicurate la sorveglianza come meglio credete». Essi andarono e, per rendere sicura la tomba, sigillarono la pietra e vi lasciarono le guardie.

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Il racconto della passione si presta a molte riflessioni. Prendo in considerazione solo quella riguardante la tentazione.

Il racconto di Luca riguardo le tentazioni di Gesù nel deserto afferma: “Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato” (Lc 4,13). È quello che avviene poco prima della morte in croce: “Quelli che passavano di lì lo insultavano (…) salva te stesso, se tu sei il Figlio di Dio, e scendi dalla croce”. Non solo, ma anche sacerdoti, scribi e anziani si fanno beffe: “Ha salvato altri e non può salvare sé stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui”.
Il demonio spera di ottenere maggior successo per l’estrema fragilità fisica, psicologica e umana di Gesù associata – come accaduto nel deserto – alla seduzione di compiere un gesto ancora più spettacolare di quello di buttarsi dalla torre del tempio, nella certezza che gli angeli lo avrebbero soccorso. Quale segnale più grande per convincere che è l’inviato da Dio! Per le autorità e il popolo è la prova certa della legittimità della sua pretesa messianica. C’è una prova più credibile? Dal punto di vista umano no; tuttavia Gesù non cede ed entra nella morte. Perché?
Un motivo è rompere il legame peccato/morte. Paolo afferma: “Il salario del peccato è la morte” (Rm 6,23). L’allontanamento da Dio è causa, nella persona, della morte psicologica, morale, sociale e spirituale, che fa di lei un soggetto insensibile e indifferente al bisogno degli altri e suscita nell’intimo il vuoto e il non senso. Emerge in essa l’egoismo, l’arroganza, la prepotenza e altre forme di sopraffazione, incluso il disprezzo e la discriminazione di altre etnie e culture; soffoca la voce dello Spirito nell’intimo. Espressione ultima e radicale della condizione di morte è quella fisica, la violenza omicida, come nel caso di Gesù.
L’uomo Gesù, per la sua fede escatologica – l’ultimo e definitivo della meta e del senso della vita – mantiene la comunione con Il Padre a prezzo della morte. È sorretto dalla certezza di ciò che lui stesso disse a Marta davanti al sepolcro di Lazzaro: “anche se muore vivrà (…) non morirà in eterno” (Gv 11,25). Perché alla morte verrà a mancare quel che la sostiene: la sfiducia nella promessa, nella causa del Regno, in una parola: il peccato. Da allora la morte ha un altro significato e, soprattutto, un altro destino. Non sarà mai l’ultima parola di Dio sull’esistenza, sulla vita della persona.
Un altro aspetto è la certezza che Gesù, disceso dalla croce, non attiva la fede che pensavano di professare il popolo e le autorità. Gesù sceso dalla croce manifesta un potere grandioso e sorprendente, ma inutile alla conversione perché il timore reverenziale, che suscita chi possiede simile potere, rende impossibile la comunione con la persona comune che, sicuramente, si adegua alla falsa comunione, tipica dell’inferiore nei riguardi del potente o, anche, alla strategica e furbesca convenienza in funzione di vantaggi personali.
La morte di Gesù apre, nel credente, un nuovo orizzonte di comprensione e crea le condizioni per stabilire, in modo permanente, il singolare rapporto per il quale, come Paolo, comprende “che mi ha amato e ha consegnato sé stesso per me” (Gal 2,20).
Coinvolto, stupito e trasformato per la giustificazione davanti al Padre, la risposta è la determinazione di far partecipi altri dello stesso amore, e far sì che questi lo trasmettano a loro volta, e così via. Nella missione Paolo sperimenta le stesse difficoltà e sofferenze di Gesù, sostenuto dalla convinzione che “Sono stato crocefisso con Cristo” (Gal 2,19).
Si ripete in lui la stessa dinamica del maestro: “Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione” (Rm 6,5): la salvezza e la glorificazione in Dio.
Ultima considerazione. Era necessaria proprio quel tipo di morte? Non era possibile un’altra meno crudele? La morte in croce era la più disonorata, spregevole e ritenuta manifestazione della maledizione di Dio sul condannato. Ancora Paolo afferma: “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, diventando lui stesso maledizione per noi, poiché sta scritto: Maledetto chi è appeso al legno” (Gal 3,13). Gesù, non contaminato dal peccato, resiste alla seduzione e vince il peccato in nome di tutti quelli che crederanno in Lui e lo imiteranno.
Chi accetta il dono gratuito degli effetti della sua morte è giustificato: può presentarsi come giusto davanti al Padre perché riscattato, rigenerato e rinnovato nella vita eterna. Con altre parole, sperimenta l’entrata nel regno di Dio – la sovranità di Dio su di lui – e riceve l’impulso vitale di trasmetterlo agli altri.
Tutto ciò avviene già in questa vita, oggi, con l’accoglienza dell’avvento del regno, nel quale Dio si manifesta “tutto in tutti” (1Cor 15,28). Ma è determinante che, con Cristo nel cuore, si è “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15).

È il frutto della Pasqua.