Padre Tonino Falaguasta Nyabenda

Il 19 marzo è tradizionalmente la festa di san Giuseppe, sposo della Vergine Maria e padre di Gesù, secondo la Legge Mosaica. Ma oggi ricorre la 4° Domenica di Quaresima. E questo tempo liturgico prevale su qualsiasi altra festa. Faremo festa a san Giuseppe domani, 20 marzo 2023.

Oggi invece celebriamo la “Dominica in laetare”. La parola latina “laetare” significa “Rallegrati”. E’ la prima parola dell’antifona di inizio della Messa. In questo giorno si interrompeva il digiuno quaresimale e si faceva festa, perché si era giunti a metà della Quaresima e ormai la Pasqua si avvicinava a grandi passi. Per questo oggi il sacerdote non veste i paramenti violacei (segno di penitenza), ma quelli di color rosa.

Ascoltiamo la parola di Dio che ci parla di luce (particolarmente la seconda lettura e il Vangelo). “Un tempo eravate tenebra – dice l’apostolo Paolo, – ora siete luce nel Signore” (Efesini 5, 8). La rivelazione biblica parla spesso di luce e della sua contrapposizione, le tenebre. La separazione della luce e delle tenebre è stato il primo atto compiuto dal Creatore (Genesi 1, 3). E al termine della storia della salvezza, ci dice l’Apocalisse, la nuova creazione avrà Dio stesso come luce (Apocalisse 21, 23).

Il Vangelo di oggi’ (Giovanni 9, 1-41) ci parla del cieco nato che scopre, acquistando la vista miracolosamente, che Gesù è la vera luce del Mondo. Ma tutto ciò avviene per gradi. Anche perché questo Vangelo serviva per accompagnare i catecumeni verso il battesimo, per entrare nel mistero pasquale e rinascere, con il battesimo, a una nuova vita, quella di figli e figlie di Dio. Siamo a Gerusalemme e in questa città Gesù incontra un uomo cieco dalla nascita. La cecità era considerata una conseguenza del peccato dell’individuo o dei genitori. Era l’opinione comune. “Né lui ha peccato – ha detto Gesù, – né i suoi genitori” (Giovanni 9, 3). E’ una frase del Signore molto forte, perché egli nega in questo modo ogni connessione tra malattia e peccato. In questo segue gli insegnamenti dei profeti Geremia (Geremia 31, 30) e Ezechiele (Ezechiele 18, 17-18).

Questo brano del Vangelo di oggi va bene per noi tutti, perché nei riguardi di Gesù possiamo somigliare al cieco guarito (che non vedeva, ma poi, guarito, scopre con la fede, il Messia) oppure ai presunti vedenti (= gli specialisti della Bibbia e della religione tradizionale) che restano ciechi.

Gesù “sputò per terra e fece del fango con lo sputo, spalmò il fango sugli occhi del cieco” (Giovanni 9, 6). Per la cultura biblica la saliva era la materializzazione dell’alito (= spirito vitale). E il fango richiama l’azione di Dio nella creazione di Adamo (Genesi 2, 7). “Va’, lavati nella piscina di Siloe” gli disse il Signore. Anche Naaman il lebbroso obbedì all’indicazione del profeta Eliseo. Andò a lavarsi nelle acque del fiume Giordano e fu guarito (2 Re 5, 1-14). Pure il cieco obbedisce all’ordine di Gesù. Aveva ricevuto il fango sugli occhi, ora per vedere deve fare la scelta. Può dire sì oppure no. La vita nuova dipende dalla sua libertà di ascoltare o meno la Parola di Gesù. La fede infatti (e questo vale anche per noi oggi) è la nostra libera risposta al progetto liberante di Dio. Deve andare a lavarsi nella piscina di Siloe, che significa ‘inviato’. “Siloe-inviato” è uno dei titoli di Gesù. Il cieco deve lavarsi, cioè immergersi in Gesù. Era doppiamente cieco: a causa della cecità e a causa del fango spalmato sui suoi occhi. Lavatosi, scopre la luce e si stupisce, come Adamo contemplando la creazione. Ora vede ed è riempito dalla gioia della luce, che è Gesù. Ed è la fede nel Cristo che lo illumina. Ma è messo alla prova. La folla infatti interroga il cieco guarito (Giovanni 9, 8-12), poi è il turno dei Farisei (Giovanni 9, 13-17), poi sono i genitori del cieco nato ad essere interrogati da parte dei Giudei (Giovanni 9, 18-23). Infine i Giudei vogliono vederci chiaro con il cieco guarito (Giovanni 9, 18, 23). Niente da fare. Il segno (= il miracolo) è talmente evidente che il cieco stesso si meraviglia dell’incredulità ed esclama: “Volete forse pure voi diventare suoi discepoli?”. I Giudei (= le autorità religiose) invece lo insultano e lo cacciano fuori, cioè lo scomunicano (Giovanni 9, 34). Allora Gesù si presenta allo scomunicato e si manifesta come il Figlio dell’uomo. “Figlio dell’uomo” è un riferimento al profeta Daniele (Daniele 7, 13-14). Ma qui l’evangelista utilizza questo titolo in maniera assoluta per indicare l’Inviato di Dio. Infatti il cieco guarito, una volta che ha capito di essere davanti al Messia, esclama: “Credo, Signore!” e lo adora (Giovanni 9, 38). La scoperta del cieco nato è ora completa ed è un esempio per la nostra vita. Anche noi (in particolare i catecumeni che si preparano al battesimo) dobbiamo essere guariti e scoprire la luce, che è Gesù, nel quale scopriamo e sperimentiamo l’amore del Padre, che ci dona il suo Spirito. Grazie a questo Spirito Santo, siamo figli e figlie di Dio, fratelli e sorelle fra di noi.

San Daniele Comboni (1831-1881) ha lavorato tutta la vita e con tutte le sue energie per portare agli Africani la luce del Vangelo. Erano ciechi; ma non solo, erano disprezzati e sfruttati come schiavi nella tratta occidentale, organizzata dagli Europei, verso le Americhe, e nella tratta orientale, organizzata dagli Arabizzati, verso il Medio Oriente e l’Asia. Scrivendo alla Società di Colonia (Germania) che lo aiutava finanziariamente nel sostegno delle sue opere apostoliche, così diceva nel 1877: “Per sanare queste ferite (specialmente la schiavitù e lo sfruttamento), c’è un unico mezzo: stabilire in queste contrade la Fede e predicarvi il Vangelo di Gesù, che insegna l’uguaglianza di tutti, schiavi e liberi. Solo il Cristo ha portato sulla Terra la libertà dei figli di Dio”.