IO SONO LA VITE, VOI I TRALCI”.
Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto.” (Gv 15,5)
Radicati in Cristo insieme a Comboni

«La fede é il fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per mezzo di questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio. Tutti costoro, pur essendo stati approvati a causa della loro fede, non ottennero ciò che era stato loro promesso: Dio infatti per noi aveva predisposto qualcosa di meglio, affinché essi non ottenessero la perfezione senza di noi.

Anche noi dunque, circondati da una tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che é di peso ed il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 11, 1 2.39 40; 12, 1 2).

Essere radicati o radicarsi, in senso letterale, indica il radicamento di una pianta, il fatto di mettere radici, di radicarsi saldamente nel terreno.

In senso figurato indica il radicamento di una persona, di una famiglia, in un nuovo ambiente; indica, per tanto, mutamenti di modi di vivere, di stili di vita, che rivelano il radicamento in nuove concezioni di vita che danno un nuovo volto a una persona, a una comunità, a una società…

Una persona “radicata” è una persona penetrata e saldamente fissata in abitudini, idee, ambiente, convinzioni, relazioni, che danno senso alla sua vita.

Il radicamento in senso figurato richiama l’idea di un “itinerario”, di un cammino, di un viaggio: ogni viaggio ha una partenza, un luogo e un tempo precisi per cominciare a muoversi, un punto di arrivo che indica la direzione; conosce tappe, soste, accelerazioni, svolte e punti di non ritorno. Ogni viaggio è un ”andare oltre”, e così, passo dopo passo, attua un progressivo avvicinamento alla meta.

Quando la meta è spirituale, si entra in un cammino alla ricerca del volto di Dio ed è una avventura che affascina l’umanità di tutti i tempi: «In lui, infatti viviamo, ci muoviamo e siamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: ‘Poiché siamo anche sua discendenza’». (Atti 17,28).

Il cammino spirituale del credente cristiano è un cammino aperto al Mistero di un Dio vivo che parla e agisce nella storia, perciò di un Dio personale, del Dio dell’Alleanza, che si lega a ciascuno dei suoi alleati con un rapporto di reciproca appartenenza. È, infatti, il Dio dei nostri padri, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Mosè (cfr. Es 3,13-15; 20,5 6)…, dei Profeti, che narrandoci il loro Dio, ci hanno generato alla vita dello spirito, introducendoci nel loro cammino di fede; è il Dio e Padre di Gesù, l’ultima parola di Dio, la rivelazione definitiva (Eb 1, 2), la stessa Parola di Dio fatta uomo (Gv 1,1.14; 1Gv 1,1; Ap 19,13), l’autore e perfezionatore della fede” (cfr. Eb 12,2).

Questa visione storica del cammino spirituale del credente cristiano, che ha come culmine il Signore Gesù, messa in evidenza nel Capitolo 11 della Lettera agli Ebrei, ci suggerisce che:

  • la fede stabilisce un vincolo d’ordine spirituale tra persone diverse, fa di esse una nuova famiglia nata dalla fede in Dio e riunisce generazioni e razze diverse;

  • Dio affida a queste generazioni il compimento di tante promesse che nascono con la fede vissuta nel cammino della vita, perché si realizzino includendo i credenti dei tempi futuri in una grande unità, che costituisce la “Famiglia di Dio”;

  • Dio incontra l’uomo nella storia, lo salva e lo fa strumento di questa stessa salvezza attraverso una serie di mediazioni umane;

  • come membra della Chiesa terrestre camminiamo unendoci alla liturgia celeste che Cristo celebra con i fratelli e le sorelle che ci hanno preceduto nella gloria finale; per ciò, nel nostro cammino di fede missionaria con i suoi momenti di oscurità, siamo in stretta comunione, accompagnati e sorretti da Cristo glorioso e Capo del Corpo della Chiesa e da una folla di Testimoni (cf Eb 12,1) composta da quelli che ci hanno narrato il Signore e vivono con Lui, che è il Dio dei vivi e non dei morti (Mc 12,26-27; Es 3, 13-15);

  • perciò non possiamo conoscere Dio senza ascoltare le parole da Lui dette agli eletti, senza ascoltare quello che queste persone hanno detto di Lui, dopo averlo ascoltato e averne fatto l’esperienza.

Sulla scia di una tale folla di Testimoni l’itinerario spirituale del cristiano comincia con un incontro e una chiamata. Sono queste le due dimensioni da avere sempre presenti e da cui sempre ricominciare, perché tutto nasce dall’incontro con Dio in Gesù sotto la guida dello Spirito Santo.

L’itinerario spirituale, infatti, è un viaggio nelle fede, un’avventura che inizia con un “sì” a Dio che chiama. È la conseguenza di quel “sì” iniziale appena balbetto che, rinsaldato con sempre maggiore consapevolezza e audacia, gradualmente ci sradica da noi stessi, facendoci capire che, solo uscendo da noi stessi e vivendo con l’Altro e con e per gli altri, ci ritroviamo davvero e saremo noi stessi, capaci di avanzare nel viaggio della vita, fino al dono totale di sé a Dio Padre in Cristo Gesù a servizio dell’avvento del suo Regno, fino a vivere camminando “davanti a Dio per gli uomini”.

La formazione alla vita cristiana in generale e nella varietà delle sue forme – in quanto itinerario spirituale o viaggio dello spirito o dell’anima – ha le stesse caratteristiche di un viaggio, di un pellegrinaggio: senza un punto di partenza, una meta che orienta, tappe e soste che la scandiscono, non può essere un itinerario formativo, ma un solo un vuoto girare su di sé, nell’illusione di un cammino che non c’è e che perde inesorabilmente di interesse e di vigore.

Per questo, con il termine itinerario spirituale oppure viaggio dello spirito o dell’anima, si designa il processo ascetico-mistico, proposto dalle grandi tradizioni cristiane e scandito in tappe successive e ascendenti, che partono dalla dimensione più esteriore e, passando a quella più interiore, approdano a Dio, mettendosi a servizio della sua gloria e della salvezza dell’umanità. Per tanto, la nostra vita può essere, se vogliamo, un’affascinante avventura spirituale al servizio di Dio e degli uomini; la nostra vita può divenire un “cammino di fede nel mondo e per il mondo intimamente legato all’umanità e alla sua storia” (cfr. RV 16).

Si tratta dello sviluppo della proposta vocazionale di Gesù all’umanità: una proposta unica, che costituisce il cammino spirituale fondamentale per tutti i suoi seguaci: “Io sono la vite, voi i tralci”.

È il punto di partenza dell’itinerario spirituale cristiano, che si sviluppa in tre momenti o chiamate, strettamente connessi tra di essi, e a partire dalle situazioni di ogni persona o gruppo umano a cui è rivolta la chiamata. Queste situazioni esigono che i discepoli diano alla proposta vocazionale di Gesù una risposta nella maturità della fede e, per tanto, creativa e responsabile, strettamente connessa con l’umanità e la sua storia, che li faccia vivere nel mondo come segno di salvezza, come segno del Regno di Dio che viene.

Nascono così nella storia della Chiesa i vari cammini o itinerari ascetici-mistici, caratteristici di un’epoca storica, che si vanno sviluppando in modo progressivo e complementare, avendo tutti come principio e fondamento il cammino o itinerario spirituale proposto da Gesù, che è “il cammino spirituale evangelico”, cioè “la proposta vocazionale di Gesù all’umanità”.

Per noi, discepoli missionari che ispiriamo la nostra vita personale e il servizio missionario alla testimonianza di vita di san Daniele Comboni, questo cammino è orientato, mediante la contemplazione, verso il Mistero del Cuore di Cristo, Buon Pastore, per radicarci in Lui e assumere nella loro espressione più piena i suoi atteggiamenti interiori: la sua donazione incondizionata al Padre, l’universalità del suo amore per il mondo e il suo coinvolgimento nel dolore e nella povertà degli uomini (cfr. RV 1-5).

I
Il CAMMINO SPIRITUALE EVANGELICO:
PROPOSTA VOCAZIONALE DI GESÙ ALL’UMANITÀ.

1. Visione d’insieme

Nella proposta vocazionale di Gesù all’umanità si possono distinguere tre momenti:

1º momento:

– Chiamata universale al banchetto o invito al Regno di Dio

– Parabole sulla vocazione: Mt 13; 20, 1-16; 21, 33-41; 22, 1-14; Lc 14, 15-20.

2º momento

– Chiamata al cambiamento di vita o alla conversione, abbandonando la situazione di peccato che è comune a tutti gli uomini

– Mc 2, 17; Rom 3, 23.

3º momento:

– Chiamata a farsi discepolo di Gesù, cioè a rimanere con Lui, e ad essere mandato da Lui nel mondo condividendoNe il destino.

– Mc 10, 17-21; Lc 9,1-6.

Le tre chiamate costituiscono gli elementi di un’unica proposta vocazionale:

  • tutti sono chiamati alla salvezza, per mezzo della conversione dallo stato di peccato, facendosi discepoli di Gesù, per essere degni e segni del Regno di Dio;

  • questa vocazione è unica, giacché nessuno dei tre elementi ha senso completo da se stesso: ognuno di essi ha un nesso intrinseco e si specifica negli altri, costituendo assieme l’unica vocazione cristiana e il conseguente cammino spirituale per realizzarla.

2. Contenuto specifico d’ogni chiamata

2. 1. Chiamata universale al banchetto

L’invito al banchetto è per tutti; rimane inefficace solo quando gli invitati lo rifiutano.

Al posto dei primi invitati (= il piccolo gruppo d’Israele) sono invitati tutti i popoli, a cominciare dai poveri.

La risposta alla chiamata è impossibile senza la fede nel Vangelo. La vocazione accolta e corrisposta diviene fede e produce la salvezza.

È per mezzo della fede e nella fede che gli invitati accedono al banchetto ed entrano nell’allegrezza del regno di Dio. L’invito non è sufficiente, giacché la chiamata può rimenare inefficace a causa della mancanza di fede e dell’impegno morale dei chiamati.

Questa chiamata alla salvezza continua ad essere rivolta a tutti gli uomini d’oggi e diviene realtà per mezzo dell’adesione alla Persona di Gesù mediante la fede, il perdono e il dono dello Spirito Santo.

La Chiesa è sacramento di questa salvezza offerta a tutti: per mezzo di essa è lo stesso Gesù che chiama in nome del Padre sotto l’azione dello spirito Santo.

È una chiama forte, fondante e appassionante, che porta alla pienezza della vita; quando l’uomo la rifiuta, s’incammina verso il vuoto della vita, fino ad essere lanciato dal suo stesso rifiuto “nelle tenebre esteriori”.

2. 2. La chiamata al cambiamento di vita o alla conversione

Anche questa chiamata, così sottolineata nel Vangelo, è universale, giacché “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (Rm 3, 23). Per questo Gesù afferma che non è venuto a chiamare giusti ma peccatori (Cf Mc 2, 17).

La chiamata al banchetto del Regno si realizza per mezzo del cambiamento di vita, che significa abbandonare la situazione di peccato, convertirsi.

Per raggiungere lo scopo, Gesù cerca di entrare in dialogo con i più lontani dal cammino di Dio, e quindi disprezzati e marginati, per attrarli a Sé, liberandoli dalla prigione del male.

Levi, nel gesto di invitare Gesù a casa sua per offrirgli un banchetto, riconosce che ha bisogno di Lui per essere salvo e diviene tipo dell’uomo peccatore, chiamato alla conversione (Cf Mc 2, 13-17).

«Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e salvare ciò che era perduto» (Lc 19, 10).

Visti da Gesù, i peccatori sono membri ammalati che hanno bisogno di essere guariti. Per questo, li invita alla conversione e offre loro il perdono e la salvezza.

Visto dai peccatori, Gesù è colui che li salva.

Gli uomini siamo tutti peccatori e, perciò, tutti abbiamo bisogno della chiamata di Gesù alla conversione.

Per tanto, l’invito di Gesù, rivolto a tutti affinché entrino nel Regno, esige la conversione; senza di essa è impossibile partecipare della vita che è Gesù stesso in persona.

Questa chiamata alla conversione non ha limiti di tempo, ma è una chiamata continua, giacché il peccato sempre insidia l’uomo: Gesù chiama tutti, sempre e a tutte le ore; ma è anche una chiamata esigente, che non ammette esenzione né condizioni.

2. 3. Chiama a farsi discepolo di Gesù

Nei Vangeli risalta la chiamata a farsi discepolo di Gesù: Mt 4, 18-22; Mc 3, 16-20; Gv 1, 35-51; Mt 28, 19.

Questa chiamata è presentata come un ordine categorico, che obbliga a lasciare immediatamente tutto, per seguire solo e unicamente Gesù.

Normalmente è descritta seguendo questo schema:

  1. osserva i comandamenti

  2. va e vendi ciò che possiedi

  3. dallo ai poveri

  4. vieni e seguimi (Cf Mc 10, 17-21).

Il momento più importante e caratteristico, che definisce la natura della chiamata, è l’ultimo: il “seguimi”.

Il lasciare le cose e l’osservanza dei comandamenti non costituiscono per se stessi la chiamata a farsi discepolo di Gesù. La chiamata di Gesù è una chiamata a seguirlo, e la sequela esige un contatto personale ed una comunione di vita con Lui, oltre che la trasmissione e l’accettazione della sua dottrina e orientamento morale.

Farsi discepolo di Gesù è precisamente unirsi alla sua persona, più che aderire alla sua dottrina.

Per cogliere meglio l’originalità e l’importanza di questa situazione, è sufficiente osservare con attenzione il comportamento di Gesù. Nell’ambiente giudaico era il discepolo che sceglieva il suo maestro; con Gesù, è Lui stesso, il Maestro, che sceglie i suoi discepoli. Ciò che fonda e giustifica la vita del discepolo di Gesù è solo la chiamata del Maestro: «Non voi avete scelto me ma io ho scelto voi» (Gv 15, 16).

Nella società giudaica i discepoli imparavano fino al momento in cui essi stessi divenivano maestri autonomi; invece, il discepolo di Gesù accetta un’unione definitiva con il suo maestro, rimanendo per sempre discepolo: nella scuola di Gesù non c’è promozione all’autonomia, né possibilità di staccarsi e passare a un altro maestro:

«Voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli» (Mt 23, 8).

Gesù sarà in tutti i tempi l’unico Maestro dei suoi discepoli.

Seguirti, Signore Gesù, è imparare da te:
dalle tue lunghe notti
nel deserto o sul monte.
È aprire il cuore al Padre come te,
abbandonarsi nelle sue mani
e cercare di realizzare nella nostra vita
il suo progetto.
È chiedergli con insistenza:
Mostrami, Padre mio, il cammino
che hai scelto per me!

II
RISPOSTA ALLA PROPOSTA VOCAZIONALE DI GESÙ

«Voi vi chiamate, e siete!, Missionari Comboniani del Cuore di Gesù. Vorrei riflettere con voi su queste parole che sono il vostro nome e la vostra identità.

Missionari. Siete servitori e messaggeri del Vangelo, specialmente per coloro che non lo conoscono o lo hanno dimenticato. All’origine della vostra missione c’è un dono: c’è l’iniziativa gratuita dell’amore di Dio che vi ha rivolto una duplice chiamata: a stare con Lui e ad andare a predicare (cfr. Mc 3,14). Alla base di tutto c’è la relazione personale con Cristo, radicata nel Battesimo, e, per alcuni, rafforzata dall’Ordinazione, così che con l’apostolo Paolo possiamo dire: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Questo vivere con Cristo determina tutto il nostro essere e il nostro agire; e si vive e si alimenta soprattutto nella preghiera, nel rimanere presso il Signore, nell’adorazione, nel colloquio cuore a cuore con Lui.

È proprio in questo spazio orante che si trova il vero «tesoro» (Lc 12,34) da donare ai fratelli mediante l’annuncio. Il missionario infatti si fa servitore del Dio-che-parla, che vuole parlare agli uomini e alle donne di oggi, come Gesù parlava a quelli del suo tempo, e conquistava il cuore della gente che veniva ad ascoltarlo da ogni parte (cfr.Mc 1,45), e restava meravigliata ascoltando i suoi insegnamenti (cfr.Mc 6,2). Questa relazione della missione ad gentes con la Parola di Dio non si colloca tanto nell’ordine del «fare» quanto dell’«essere». La missione, per essere autentica, deve riferirsi e porre al centro la grazia di Cristo che scaturisce dalla Croce: credendo in Lui si può trasmettere la Parola di Dio che anima, sostiene e feconda l’impegno del missionario. Per questo, cari fratelli, dobbiamo nutrirci sempre della Parola di Dio, per esserne eco fedele; accoglierla con la gioia dello Spirito, interiorizzarla e farla carne della nostra carne come Maria (cfr. Lc 2,19). Nella Parola di Dio c’è la saggezza che viene dall’alto, e che permette di trovare linguaggi, atteggiamenti, strumenti adatti per rispondere alle sfide dell’umanità che cambia».

(Cfr. Discorso di Papa Francesco ai Capitolari del 2015)

Papa Francesco ci ricorda che il fulcro del Piano salvifico di Dio è la persona di Gesù Cristo. L’uomo, per tanto, risponde positivamente e responsabilmente alla chiamata redentrice di Dio, vivendo in una relazione spirituale personale con Cristo Gesù.

Il Cammino spirituale, cioè tutta l’attività e lo sforzo dell’uomo (= ascesi), deve convergere verso questa meta, che è l’incontro personale con il Signore Gesù. Ciò avverrà gradualmente, partendo dalla convinzione che:

  • Gesù non è solamente un esempio, cioè, un mezzo psicologico che favorisce lo sviluppo della personalità, perché offre ideali, stimoli, motivazioni che aiutano nella crescita personale. Gesù offre tutto questo e in modo eccellente, ma non può essere strumentalizzato in vista dell’autorealizzazione della persona.

  • Gesù non è solamente un grande leader dell’umanità, capace di stimolare nella crescita nel senso della solidarietà e di offrire anche all’uomo di oggi idee eccezionali che stanno alla base di movimenti politici, culturali, filantropici, religiosi, ecologici, ecc.

  • Gesù non è un semplice uomo saggio che regala perle di saggezza per “vivere bene” o non è un guru che vende buoni sentimenti.

  • Gesù non è neppure solamente una medicina contro la fragilità della persona umana (cfr. GS 13). È vero che egli aiuta potentemente la nostra fragilità morale liberandoci dal peccato e dando forza alla nostra natura ferita e debole. Tuttavia l’azione di Cristo in noi, quando gli apriamo il cuore, non si limita ad essere un supporto alle deficienze della nostra natura decaduta.

  • L’azione principale di Gesù nella nostra vita consiste nell’operare una trasformazione della nostra stessa persona nella sua. Ciò significa che la nostra vita trova il suo senso pieno nell’incontro personale con il Signore Gesù e che in questo consiste l’obiettivo fondamentale di ogni persona umana: incontrarsi e viver in comunione con Lui per essere introdotto nell’esperienza dell’amore del Padre e quindi scoprirsi fratello di tutti. In questo consiste il nucleo della nostra vocazione battesimale. Questa trasformazione si effettua sotto l’azione dello Spirito Santo: al Padre per il Figlio nello Spirito Santo.

  • Come fondamento di questo processo di cristificazione c’è il fatto che preesiste un legame profondo tra Cristo e l’essere umano. L’uomo, infatti, è l’immagine, limitata e imperfetta dell’«immagine originale» di Dio, che è Cristo. Per questa ragione l’esistenza umana tende, in virtù della sua stessa e intima struttura, all’incontro con Dio in Cristo Gesù. L’esistenza umana si realizza in pienezza nell’incontro con Cristo, perché solo a Lui il Padre affidò la missione di imprimere nel nostro essere quel salto qualitativo, che lo introduce nella vita intima d’amore e di comunione della Trinità, e lo incammina verso la sua piena realizzazione, che è precisamente la comunione con il Padre.

Se guardiamo l’umanità sotto questa prospettiva, allora in ciascun uomo o donna possiamo vedere altrettante presenze di Cristo: esattamente di un Cristo che si trova ancora limitato dalla ristrettezza della natura corrotta e che aspira a manifestarsi in modo completo.

La nostra missione di battezzati verso gli uomini di oggi e soprattutto verso i non-cristiani è, dunque, una missione rivolta a Cristo stesso. È lui che dal di dentro dei nostri fratelli chiede di prorompere e di farsi sentire in tutta l’intimità personale. È lui che chiede di essere aiutato a passare dalla potenzialità all’atto. Lo chiede a ciascuno di noi, perché per « far crescere » Cristo nei nostri fratelli, il Padre vuole servirsi proprio di noi: « Figlioli miei, io soffro per voi i dolori del parto, finché Cristo sia formato in voi » (Gal 4, 19).

A questo punto si capisce come nell’azione missionaria della Chiesa la scelta preferenziale per i poveri trova il suo fondamento nell’incontro personale con Cristo, che ci porta ai fratelli più feriti dalle conseguenze del peccato degli inizi e del rifiuto della chiamata redentrice di Dio.

Nel cammino verso questo incontro personale con Cristo, sono molto appropriate le indicazioni del Concilio Vat. II, cariche di slancio missionario:

«L’aspetto più sublime della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio» (GS 19a).

«In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Cristo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione. … Egli è «l’immagine dell’invisibile Iddio », è l’uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato. … Soffrendo per noi non ci ha dato semplicemente l’esempio perché seguiamo le sue orme ma ci ha anche aperta la strada: se la seguiamo, la vita e la morte vengono santificate e acquistano nuovo significato. … E ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale» (GS 22).

«Poiché la Chiesa ha ricevuto la missione di manifestare il mistero di Dio, il quale è il fine ultimo dell’uomo, essa al tempo stesso svela all’uomo il senso della sua propria esistenza, vale a dire la verità profonda sull’uomo. Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anche’egli più uomo» (GS 41a).

«Il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, si è fatto egli stesso carne, per operare, lui, l’uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale. Il Signore è il fine della storia umana, «il punto focale dei desideri della storia e della civiltà», il centro del genere umano, la gioia d’ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni» (GS 45b).

Gesù e l’uomo sono due realtà che si relazionano l’una con l’altra: l’uomo come colui che cerca il suo compimento; Gesù come centro trascendente e nello stesso tempo immanente, punto culminate, nel quale e per il quale il cammino dell’uomo trova il suo senso ultimo, la perfetta realizzazione. Il Piano di Dio si manifesta e si realizza in Gesù Cristo. Cristo è la pienezza della rivelazione, la Parola fatta carne; in Lui, Crocifisso/Risorto, il Piano salvifico di Dio si manifesta pienamente, si realizza ed è offerto ad ogni uomo.

III
L’ITINERARIO SPIRIUALE COMBONIANO

– Cf. S 2742; Regole 1871; DC 1969, nn. 39-55; RV 2-5; AC ’91, 6.1-6.

In quanto Comboniani del Cuore di Gesù, voi contribuite con gioia alla missione della Chiesa, testimoniando il carisma di san Daniele Comboni, che trova un punto qualificante nell’amore misericordioso del Cuore di Cristo per gli uomini indifesi”. (Cfr. Discorso di Papa Francesco ai Capitolari del 2015)

È facile renderci conto come l’avventura spirituale cristiana trovi in san Daniele Comboni un Profeta e un Testimone, sulle cui orme sono germogliate e germoglieranno altri testimoni, come dimostra la storia del beato P. Giuseppe Ambrosoli e quella di tanti altri/e missionari/e comboniani/e… (Cfr. “In MemoriamMCCJ Bulletin).

Comboni, infatti, è uno di quei nostri antenati nella fede che costituiscono una moltitudine di testimoni approvati da Dio e che non ottennero ciò che era stato loro promesso, affinché essi non ottenessero la perfezione senza di noi (Eb 11, 1 2.39 40; 12, 1 2).

Il suo itinerario spirituale, infatti, è un punto di riferimento ben eloquente e stimolante nel cammino spirituale nella Chiesa del nostro tempo, che procede dalla visione di fede sui fatti della storia all’impegno missionario comepiccolo cenacolo di apostoli”.

Riflettendo sull’esperienza spirituale di san Daniele Comboni, ci accorgiamo che il “cammino dello spirito” (S 2712), da lui vissuto e da lui stesso proposto ai suoi missionari, è un itinerario di vita spirituale pasquale. Per Comboni, il missionario è un uomo assetato di Dio che sotterra la vita di prima e la centra in Lui solo, animato da un vivo interesse alla sua gloria e al bene dell’anime; sazia la sua sete e centra la sua vita in Dio “col tener sempre gli occhi fissi in Gesù Cristo, amandolo teneramente, e procurando di intendere ognora meglio cosa vuol dire un Dio morto in croce per la salvezza delle anime”: S 2698; 2701-2702; 2720-2722.

Si tratta di un autentico sradicamento da se tesso per radicarsi in Cristo.

Il “Cammino dello spirito” di san D. Comboni raggiunge l’espressione più alta nell’evento carismatico del 15 settembre 1864.

Egli stesso narra che, mentre si trovava in preghiera nella basilica di S. Pietro, “come un lampo mi balenò il pensiero di proporre un nuovo Piano per la cristiana rigenerazione dei poveri popoli neri, i cui singoli punti mi vennero dall’alto come un’ispirazione” (S 4799).

Spinto dal fervore per tale illuminazione, Comboni formulò il contenuto nell’introduzione alla I edizione del Piano (Torino, dicembre 1864, p. 3-4):

Il cattolico, avvezzo a giudicare le cose col lume che gli piove dall’alto, guardò l’Africa non attraverso il miserabile prisma degli umani interessi, ma al puro raggio della Fede; e scorse colà una miriade infinita di fratelli appartenenti alla sua stessa famiglia, aventi un comune Padre su in cielo, incurvati e gementi sotto il giogo di Satana.

Allora trasportato egli dall’impeto di quella carità accesa con divina vampa sulla pendice del Golgota, ed uscita dal costato di un Crocifisso, per abbracciare tutta l’umana famiglia, sentì battere più frequenti i palpiti del suo cuore; e una virtù divina parve che lo spingesse a quelle barbare terre, per stringere tra le braccia e dare il bacio di pace e di amore a quegl’infelici suoi fratelli”: S 2742-2743; 4799.

In questo testo Comboni svela nella Trinità le misteriose Sorgenti, che danno origine e sostengono il suo amore “così tenace e resistente” per l’Africa fino al sacrificio della propria vita. Il profondo “senso di Dio” vissuto abitualmente da Comboni, per la prima e unica volta diviene comunicazione di vita sul Mistero Trinitario in intima connessione con la sua passione missionaria.

Questo testo, infatti, conserva l’atto di “testimonianza” di un “avvenimento carismatico”, che configura definitivamente la sua vita come “consacrazione” senza riserve alla Nigrizia con una configurazione perfettamente trinitaria: è testimonianza del suo coinvolgimento nel Mistero di Dio-Trinità; è “confessione della Trinità” da lui vissuta, che dà ragione del suo “impeto” missionario. Comboni, assorto in preghiera, si trova come coinvolto nel dinamismo storico-salvifico del Mistero Trinitario che lo trascende e insieme lo abilita ad un preciso compito apostolico.

Il dinamismo trinitario vissuto dal Comboni è originato dall’azione dello Spirito Santo, che agisce attraverso il mistero della Croce, punto culminante della storia dell’Amore trinitario.

Tale storia ha come punto di partenza l’iniziativa del Padre che vuole abbracciare nel suo amore anche i neri dell’Africa centrale, si manifesta in pienezza nel Cuore Trafitto del Crocifisso e ritorna verso il “comun Padre su in cielo…seduto nella sua eternità” (S 2742 e 2754), cioè verso l’Amore “fontale” e finale di ogni vita umana.

L’Amore trinitario e crocifisso anche per gli Africani vissuto da Comboni, segue il seguente itinerario: nello Spirito dal Padre per mezzo del Figlio verso il Padre con gli oppressi rigenerati. La “virtù divina”, lo Spirito Santo uscito dal Cuore del Trafitto sul Golgota, fluisce vitalmente nell’attività quotidiana del missionario facendolo una cosa sola con l’amore di Gesù per gli Africani, e così lavora unicamente per riportare la Nigrizia alla comunione con il “comun Padre su in cielo”, lavora cioè “per l’eternità” (cf Regole 1871, Cap. X).

La formulazione del testo ha il sapore di una comunicazione personale, della condivisione di una esperienza mistica, nella quale l’”Io” di Comboni scompare, viene sepolto, Comboni diviene semplicemente “il cattolico”. E Comboni, divenuto “il cattolico”, manifesta quella rivelazione interiore, che garantisce che “i punti gli erano venuti dall’Alto, come un’ispirazione”. In essa traluce “il Tutto” che dà ragione della sua dedizione totale alla causa missionaria tra i popoli dell’Africa centrale (cf RV 2-3).

In Comboni lo scambio di relazione amorosa con ciascuna delle Tre Persone della Trinità è realtà di fede vissuta, che si concretizza in un impegno forte a essere servo dei popoli dell’Africa, per introdurli in questo Regno di Amore.

Comboni vive la relazione con Dio-Padre nella carità del Cuore Trafitto di Gesù, nel Mistero della sua Croce. La “Virtù divina” che scaturisce “dal costato del Crocifisso” eleva l’orante alla sua sorgente, cioè al mistero dell’ “Amore fontale”, che è il “comun Padre”, che attende il ritorno all’unico ovile del gregge disperso degli Africani.

Afferrato dall’amore e dal dinamismo del Crocifisso, egli supera ogni condizionamento della carne e del sangue e vede la Nigrizia come “una miriade infinita di fratelli; dice ‘di fratelli – non di maledetti da Dio- appartenenti alla sua stessa famiglia, aventi un comun Padre su in cielo”. Vivendo nel dinamismo trinitario, Comboni esperimenta un Dio Padre universale segnato dalla sofferenza di tanti suoi figli, fra cui emergono gli Africani, e nel bisognoso africano scopre un fratello, uno che è come lui nelle cose più vere della vita…, ma che ancora non usufruisce della benedizione del Padre che scaturisce dalla Croce…, per cui ha bisogno di essere incamminato verso di Lui.

Comboni, per tanto, vive la relazione con Dio-Padre come la comune fonte di vita e di destino e l’origine della salvezza di tutti gli uomini. Questo Padre attraverso il suo Figlio incarnato, morto e risorto, ascolta il grido di quella miriade di figli che vivono in Africa ancora “incurvati e gementi sotto il giogo di Satana” ed entra con tutto il suo essere nella loro storia e nel loro dolore.

L’esperienza di Dio come “comun Padre” impegnato con l’esistenza personale di Comboni stesso e con la vita dei suoi fratelli più abbandonati fino alla consegna del suo proprio Figlio, lo spinge ad assumere la loro storia e il loro dolore divenendone parte e facendo “causa comune” con essi, anche con il rischio della vita (cf AC ’91, 6.1).

L’avvenimento carismatico fondamentale della vita di san Daniele Comboni è, dunque, chiaramente deciso dal Mistero Cristologico-Trinitario, che è mistero della solidarietà divina con la storia e il dolore degli uomini, esperimentato da Comboni attraverso l’esperienza del Mistero del Cuore di Gesù nel Mistero della Croce (cfr. RV 3-4).

Si può dire, per tanto, che “il carisma originario che si rifà all’esperienza missionaria del Comboni è schiettamente trinitario”. La sorgente della spiritualità del Fondatore è la Trinità, che per mezzo di lui entra nell’esilio del mondo africano, affinché questo popolo di esiliati entri nella patria della comunione trinitaria.

A questo punto è possibile delineare l’attualizzazione del cammino dello spirito di san D. Comboni.

Secondo gli Atti Capitolari del 1991, il cammino dello spirito vissuto da san Daniele Comboni porta il suo seguace a un continuo passare da una visione di fede sui fatti della storia all’impegno missionario.

È una dinamica spirituale che coinvolge tutta la vita, che suppone un’intensa vita di preghiera (RV 46; 47) e in cui si possono distinguere tre momenti:

1. Abituarsi a giudicare gli avvenimenti della storia con la luce che viene dalla fede nell’amore del Padre, esperimentato nella comunione personale con Cristo, sotto la guida dello Spirito Santo.

2. Contemplando o leggendo i fatti della storia al puro raggio della fede come “piccolo cenacolo di apostoli” (S 2648), unirsi a Dio che, attraverso il suo Figlio incarnato, morto e risorto, ascolta il grido del povero e entra con tutto il suo essere nella storia e nel dolore degli ultimi.

3. Assumere questa stessa storia e questo dolore diventandone parte e facendo “causa comune” (S 3159), anche con il rischio della propria vita (= disponibilità martiriale), per rigenerarli con l’annuncio esplicito del Vangelo di Gesù Cristo.

– Cfr. AC ´91, 6; 6.1-6; RV 2-5; 46; 16; 60-61; 59; S 2742; VC 82; NMI 49.

Quel Cuore che ha tanto amato gli uomini vi spinge alle periferie della società per testimoniare la perseveranza dell’amore paziente e fedele. Dalla contemplazione del Cuore ferito di Gesù si possa sempre rinnovare in voi la passione per gli uomini del nostro tempo, che si esprime con amore gratuito nell’impegno di solidarietà, specialmente verso i più deboli e disagiati. Così potrete continuare a promuovere la giustizia e la pace, il rispetto e la dignità di ogni persona”.

(Dal discorso di Papa Francesco ai Capitolari del 2015)

I vari itinerari spirituali che si succedono nella storia della Chiesa sono interconnessi e si arricchiscono a vicenda secondo modalità diverse nel loro sorgere e nello svilupparsi nel tempo, partendo tutti dall’incontro con Dio-Padre in Cristo sotto l’azione dello Spirito Santo.

L’itinerario comboniano nasce da questo incontro caratterizzato dal carisma di san Daniele Comboni, vissuto dai suoi discepoli nella consacrazione per la missione, alla luce dei segni dei tempi (cfr. RV 1; 16; MR 11).

Questo cammino è tracciato nella Regola di Vita del 1988, la quale “è memoria che trasferisce nell’oggi la freschezza e l’efficacia dell’esperienza del Fondatore e dell’Istituto e che mantiene sempre vivo lo stesso spirito di sequela e di apostolato” (Regola di Vita, Lettera del Consiglio Generale, 10.6.1988).

È un cammino che possiamo definire sinodale, costituito dall’intreccio fatto di consacrazione – comunità/partecipazione – missione.

Essa è il frutto dell’impulso al rinnovamento nel cammino spirituale dato dal Concilio Vat. II e dal successivo Magistero della Chiesa. L’Istituto Comboniano ha recepito questo impulso nel Capitolo Generale del 1969 e l’ha approfondito nei successivi Capitoli Generali fino al Capitolo del 2022, dai quali è nata l’attuale Regola di Vita e la sua Rilettura e Revisione ancora in atto e in fase di conclusione…

Da questo processo nascono le priorità e le linee guida dei Documenti Capitolari del XIX Capitolo Generale del 2022, in cui al primo posto c’è la “Spiritualità, “linfa della Vite nel cuore del tralcio”, che ci mantiene “radicati in Cristo insieme a san Daniele Comboni” (n. 11). Nasce così il “cenacolo di apostoli”, la comunità comboniana, segno visibile dell’umanità nuova nata dallo Spirito, che diventa annuncio concreto di Cristo: ”Siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che Tu mi hai mandato” (cfr. RV 36).

La spiritualità è la sorgente da cui scaturisce e si alimenta il Servizio Missionario delle comunità comboniane nel contesto storico del mondo di oggi e alla luce del cammino di conversione tracciato da Papa Francesco: l’ecologia integrale (LS), la fratellanza universale e l’amicizia sociale (FT), il dialogo interreligioso (Dichiarazione di Abu Dhabi) e il cammino sinodale (cfr. Introduzione, 8).

“… Se siamo come tralci ben attaccati alla vite, la linfa dello Spirito passa da Cristo in noi e qualsiasi cosa facciamo porta frutto, perché non è opera nostra, ma è l’amore di Cristo che agisce attraverso di noi. Questo è il segreto della vita cristiana, e in particolare della missione, dovunque, in Europa come in Africa e negli altri continenti. Il missionario è il discepolo che è così unito al suo Maestro e Signore, che le sue mani, la sua mente, il suo cuore sono “canali” dell’amore di Cristo”.

(Cfr. Discorso di Papa Francesco ai Capitolari del 2022).

Casavatore, Gennaio 2023