Padre Tonino Falaguasta Nyabenda
In questa seconda Domenica di Quaresima siamo invitati a incontrare due personaggi: Abramo, il padre dei credenti, e Gesù, che si trasfigura come anticipazione della sua Pasqua. Andiamo a incontrare Abramo, che è nostro padre nella fede. Con lui, con la sua storia, inizia il cammino di Dio verso l’umanità, che si concluderà con il Cristo, che, come dice l’apostolo Giovanni, è il Verbo di Dio fatto carne, cioè pienamente uomo, anche nella sua fragilità (Giovanni 1, 14).
Fino al capitolo 11 del libro della Genesi si racconta l’origine del Mondo, la creazione dell’uomo e della donna e il progressivo allontanamento dell’umanità dal Creatore. Con Abramo, all’inizio del capitolo 12, incomincia un’altra storia, e cioè la storia della salvezza. “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre – dice Dio ad Abramo – e va verso la terra che io ti indicherò” (Genesi 12, 1). Il patriarca deve allontanarsi da tutto, dalla terra, dalla famiglia, dai suoi progetti di vita, dalla cultura della sua società politeista, per entrare in un’altra realtà. Così, obbedendo, riceve la promessa di Dio. La storia di Abramo non è una semplice cronaca, ma un racconto religioso. E fin dal principio possiamo intravedere tutta la storia della salvezza. Tutto ha origine da una iniziativa di Dio, una iniziativa d’amore. Abramo sarà provato, ma la sua fede vincerà e potrà farlo divenire “padre di moltitudini” (Genesi 17, 5).
Nei momenti difficili, dobbiamo volgere lo sguardo verso di lui, come dice il profeta Isaia: “Guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti. Guardate ad Abramo, vostro padre” (Isaia 51, 1-2). Siamo suoi figli. Ma non basta la filiazione carnale. Ha detto Gesù: “Dio può da queste pietre far sorgere figli di Abramo” (Matteo 3, 9). Ci vuole la sua fede e la sua fedeltà alla promessa.
Chi è pertanto il vero figlio di Abramo? Chiaramente è Gesù (Matteo 1, 1). Ma il Cristo è anche superiore ad Abramo (Giovanni 8, 53), perché è il Figlio “unico” di Dio (Giovanni 3, 16), “l’amato” (Matteo 17, 5). La restrizione al solo Cristo nella discendenza di Abramo, non è un aspetto negativo (come dice il biblista francese R. Feuillet), ma è piuttosto la condizione del vero universalismo. Infatti chiunque crede in Gesù, Israelita o pagano, può partecipare alle benedizioni del patriarca. Lo spiega bene l’apostolo Paolo: “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge… perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse ai pagani e noi, mediante la fede, ricevessimo la promessa dello Spirito” (Galati 3, 13-14). E un po’ più avanti lo dice ancora più chiaramente: “Voi tutti siete un essere in Cristo Gesù – sempre l’apostolo Paolo. – Ora se appartenete a Cristo, siete discendenza di Abramo, e quindi eredi secondo la promessa” (Galati 3, 26-29).
Passiamo al secondo personaggio: Gesù. Dice una voce dalla nube, cioè la voce di Dio Padre: “Questi è il Figlio mio, l’amato, in cui mi compiacqui. Ascoltate lui!” (Matteo 17, 5). E’ la seconda volta che la “voce” proclama il Cristo come Figlio e come l’Amato. La prima volta succede dopo il Battesimo (Matteo 3, 17). Si tratta di una “voce”. Ma sappiamo che la voce manifesta la persona che parla. E’ Dio Padre; e la sua parola è Gesù.
Nella trasfigurazione, descritta dal Vangelo di oggi (Matteo 17, 1-9), è Dio che si manifesta. Nella prima lettura si racconta la vocazione di Dio rivolta ad Abramo. Ora noi abbiamo bisogno di scoprire il Messia, l’Inviato dal Padre; cioè chi è realmente Gesù: Parola di Dio e manifestazione delle realtà divine. La trasfigurazione è come l’anticipo della Pasqua. E la Pasqua è l’avvenimento fondamentale della vita del Signore. Ci vogliono allora due testimoni, come esige la Legge di Mosè (Deuteronomio 19, 15). Abbiamo Mosè, cioè la Torah, ed Elia, il padre dei profeti. Con la vocazione di Abramo, Dio parla al patriarca. Nella Trasfigurazione, Gesù ci fa capire che è Figlio di Di. E questo avviene sul monte Tabor, che richiama il monte Sinai, sul quale Mosè ricevette le 10 Parole, riassunto della Torah. “Ascoltate Lui” dice la Voce, cioè Dio Padre, indicando Gesù.
Anche Mosè, sentendo avvicinarsi la fine della sua missione, raccomanda al suo popolo: “Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto!” (Deuteronomio 18, 15).
Ed Elia è il secondo testimone. Come ha avuto il compito di far accettare l’Alleanza tra il popolo e il suo Dio, così egli (grazie all’azione di Giovanni il Battista) ha il compito di introdurre il Messia nel cuore di Israele (Malachia 4, 5–6). “Ascoltatelo!” dice la Voce. Ascoltandolo diveniamo come Lui, Figlio di Dio Padre, noi pure diveniamo figli, fratelli e sorelle di Gesù.
Allora potremo capire realmente che cosa significa la Trasfigurazione di Gesù anche per noi ora. Essa comincia realmente quando noi, invece di ascoltare noi stessi, ascoltiamo Lui e pensiamo a Lui. Questo ascolto ci fa passare dalle opere della carne ai frutti dello Spirito Santo (leggi: Galati 5, 19-22).
San Daniele Comboni (1831-1881) aspettava con fiducia i frutti dell’evangelizzazione nell’Africa Centrale. Lo descrive molto bene nel “Quadro storico delle scoperte africane”, inviato al rettore dei suoi Istituti Africani in Verona, nel 1880: “La Chiesa Cattolica, con la predicazione del Vangelo di Gesù, via, verità e vita, sarà il principio della vera civiltà con le sue massime, i suoi insegnamenti, la sua morale divina, e sarà il principio della vera civiltà, il fondamento della grandezza e prosperità di tutti i popoli e di tutte le nazioni dell’universo”.