Padre Luigi Consonni

Commento alle letture: VII DOMENICA del T.O. -A-
(19/02/2023)

Prima lettura (Lv 19,1-2.17-18)

Il Signore parlò a Mosè e disse:
«Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo.
Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui.
Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore”».

Il brano è parte della legge di santità: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo”. Il termine santo significa “separato” e indica il soggetto – persona o comunità – separato e allontanato dal male e dal peccato. È da mantenere e accrescere, senza contaminazione alcuna, nella propria identità per non macchiare o diminuire l’autenticità e la purezza della propria vita. Ne va di mezzo l’essenza e la qualità dell’esistenza stessa.
Applicata a Dio, si riferisce alla separazione da tutto ciò che non ha nulla a che vedere con l’essenza e l’esistenza del puro amore. Come tale è “
santo”, separato da tutto quel che non lo è. In virtù della santità Egli interviene in varie circostanze per formare il “popolo eletto”. I momenti specifici e culminanti sono la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, l’Alleanza stabilita con Mosè sul Sinai e sigillata in Sichem con l’entrata nella terra promessa.
La scelta di Dio a favore di Israele, come “popolo eletto”, non è motivata dalle qualità del popolo, ma dalla libera volontà e gratuità del suo amore. Con segni e prodigi Dio lo conduce nel deserto per poi introdurlo nella terra promessa. Ma il popolo non mantiene la fiducia nell’Alleanza, per le prove a cui è sottoposto, al punto da rimpiangere “le cipolle d’Egitto”. Tuttavia Dio mantiene la sua santità, il suo amore e la promessa, con il fine di risollevarlo dalle ricadute, dalla perdita di fiducia in Lui e dalle devastanti conseguenze.
A ragione è l’esortazione: “
Siate santi, perché io il Signore, vostro Dio, sono santo”, perché solo l’Amore può sostenere un rapporto simile, nonostante l’infedeltà del popolo all’Alleanza. L’esortazione impegna Dio a far sì che, con l’entrata nella terra promessa, il popolo comprenda e accolga la portata e l’effetto del Suo amore, nel quale è totalmente coinvolto.
La finalità è che il popolo declini lo stesso amore con cui è amato nei rapporti interpersonali e sociali, nell’accogliere l’avvento del regno – l’avvento della Sua sovranità – con la pratica del diritto e della giustizia, suscitando stupore e meraviglia nei popoli stranieri.
Con l’avvento del regno nella terra promessa la nuova società si strutturerà e organizzerà in modo diametralmente opposto a quello dell’Egitto, esperienza del male, dell’ingiustizia e del peccato. La nuova società sarà espressione della volontà di Dio, con la pratica della responsabilità, della giustizia, del diritto e della fraternità.
Il testo traccia il cammino di santità nell’indicare cosa fare o evitare: “
Non coverai nel tuo cuore odio contro tuo fratello (…) non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo”. Nei rapporti interpersonali, inevitabilmente segnati da divergenze, ambiguità – a volte da cattive intenzioni per interessi personali di denaro, di dominio o di potere – non deve mai prevalere e annidarsi l’odio, la vendetta e il rancore.
Tali sentimenti, molto comuni, sorgono nell’intimo e diventano realtà in circostanze e avvenimenti specifici. È doveroso fare attenzione a che non dominino il pensiero, la riflessione, il proposito e l’azione – in una parola, il cuore – e non impregnino il mondo interiore con il conseguente declino in pratiche di rancore, ingiustizia, vendetta o altro ancora peggio.
La liberazione da tali sentimenti è possibile solo fissando la mente e il cuore sulla magnanimità di Dio nei confronti della singola persona e del popolo intero. La testardaggine e l’ottusità di questi nel non sintonizzare con la griglia di discernimento dei valori da Lui proposti, e le conseguenti azioni distruttive per sé stesso e per altri, fanno sì che Dio sia defraudato, deluso e amareggiato.
La conseguenza naturale è l’ira, propria di chi pensa di buttare tutto al macero e ricominciare con altre persone. Ma prevale in Dio la compassione e la misericordia per risollevare il popolo dal baratro e offrire nuove opportunità, un nuovo inizio, con il correttivo della magnanimità del Suo amore e l’esperienza drammatica dell’abisso procurato da sé stessi.
Nella persona e nel popolo, memore di tale amore e dell’esperienza vissuta, si consolida in la santità del Signore al punto che “
Non coverai nel tuo cuore odio contro tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui”. È la pratica che imita l’amore di Dio, in virtù dell’intima corresponsabilità che, trascurata o non valorizzata, porta alla complicità e al peccato.
amerai il tuo prossimo come te stesso”. La solidarietà fraterna, e la condivisione dello stesso destino, consolida sempre più e rende tenace e solida la giustizia e il diritto con il prossimo e con sé stesso. Ed emerge nella coscienza che il torto al prossimo è allo stesso tempo offesa a sé stesso, così come il bene al prossimo è bontà per sé stesso.
Fra parentesi, nella teologia dell’antico testamento, rimane indefinita l’estensione della categoria “prossimo”. Chi è il mio prossimo? Sicuramente i membri della famiglia e del popolo eletto. Ai tempi di Gesù si discuteva se fosse estendibile anche ad altri e nella parabola del “buon samaritano” vi è la risposta.
Solo nello Spirito Santo è possibile il cammino di santità, come indica la seconda lettura.

Seconda lettura (1Cor 3,16-23)
Fratelli, non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.
Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: «Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia». E ancora: «Il Signore sa che i progetti dei sapienti sono vani».
Quindi nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.

Ogni cristiano, per gli effetti della morte e risurrezione di Gesù Cristo, è costituito pietra vivente del tempio di Dio, la comunità credente. Paolo ricorda loro tale condizione personale e comunitaria: “Fratelli, non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?”. E aggiunge che “santo è il tempio di Dio, che siete voi”. La comunità – comunione dei credenti – è il tempio, la dimora di Dio.
La vita personale e comunitaria è coinvolta nella testimonianza della santità di Dio nella persona di Gesù. Per l’azione dello Spirito, persona e comunità sono immersi e partecipano della stessa vita di Dio, cosicché, liberati dal peccato, sono rigenerati come figli nel Figlio, coeredi della pienezza di vita e della gloria, il fine della vita con l’avvento del regno di Dio in essi.
Tutto ciò proviene dalla sapienza di Dio, che declina la tenacia e la dedicazione del Figlio a favore della causa del regno, salvezza di ogni persona, dell’umanità e del creato. L’effetto dirompente e sconcertante della missione di Gesù provoca l’abbattersi della violenza estrema del peccato su di lui, o meglio, la violenza estrema dei peccatori – delle autorità religiose e sociali – nel ritenerlo impostore e ateo.
Il colmo dell’amore è che l’umanità del Figlio assume, davanti al Padre, il peccato delle persone, delle autorità, del popolo. È come se lui stesso fosse il peccatore sul quale scaricare tutta l’ira per la violazione dell’Alleanza. Gesù si trova fra due fuochi: da un lato resiste al peccato a costo della croce, dall’altro sperimenta il rigetto del Padre come peccatore e maledetto.
Nella radicale sofferenza e solitudine Gesù porta avanti la causa del regno che esige, da un lato, la resistenza al peccato e, dall’altro lato, la fiducia nel Padre che, scomparendo nel momento della massima sofferenza e solitudine fa emergere la fedeltà di Gesù all’alleanza, quale amore redentore a favore della persona e dell’umanità di ogni tempo e luogo. In tal modo Gesù, uomo fra uomini, è “colui che dà origine alla fede …”, specificamente la fede escatologica che lui assume e attiva dall’inizio della missione nella sinagoga di Nazareth (Lc 4,21) e “… la porta a compimento” (Eb 12,2) con la Pasqua.
Questo perché il Figlio, con l’incarnazione (“il Verbo si è fatto carne” – uomo a livello infimo -) li rappresenta davanti al Padre. E in virtù della sua fede escatologica – l’ultimo e definitivo presente nell’insegnamento e nella pratica -, accolta per l’autorevolezza di Gesù, fa emergere dal profondo del rappresentato l’accoglienza dell’avvento del regno di Dio. L’essere cristiano si coinvolge in questa dinamica d’amore che proviene dalla sapienza della Trinità. Tale coinvolgimento stabilisce il legame e l’unione indissolubile: Essa nel rappresentato, e viceversa. L’efficacia del coinvolgimento si verifica nella pratica del comandamento di Gesù: “amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato” (Gv 15,12).
È la pratica della sapienza fonte di riflessione, di filosofia, di argomentazione, e nel credente apre la mente e il cuore all’affermazione dell’apostolo: “tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro!”. Con altre parole, il credente coinvolto è sintonizzato con la sinfonia dell’amore, per la quale la cosa più piccola e l’infinito sono immersi nella stessa melodia, godendo pienamente di essa. Il tutto ha la sua origine in Cristo e il fine in Dio: “Ma voi siete di Cristo e Cristo è Dio”, l’alfa e l’omega, il principio e la fine.
Paolo avverte che tutto può andare in rovina e allerta: “Se uno distrugge il tempio di Dio” farà sì che “Dio distruggerà lui”, non per castigo o per vendetta ovviamente. Dio ha fatto tutto quel che poteva per costruire, con l’assenso di fede degli uomini, il suo tempio in loro e questi, avendolo distrutto per la pratica di vita contraria al regno, operano l’autodistruzione di sé stessi. Già in questa vita si distruggono, e lo si riscontra a livello individuale, sociale, ecologico e nei comportamenti disumani.
Senza le dovute correzioni sorge la domanda: che cosa resterà? Alla fine, c’è solo da aspettarsi da Dio un’assoluzione generale incondizionata in nome della sua infinita bontà e misericordia? Ci si può “accomodare” su questa ipotesi che incentiva il disimpegno per la causa del Regno di Dio oggi, nel presente?
Le divisioni nella comunità, per le quali uno parteggia per Paolo, l’altro per Apollo e il terzo per Cefa, sono dovute al prevalere della sapienza di questo mondo che “è stoltezza davanti a Dio”. Le due filosofie – quella di Dio e quella del mondo – sono inconciliabili; perciò, con grande determinazione, l’apostolo afferma: “Nessuno si illuda, se qualcuno tra voi si crede sapiente in questo mondo, si faccia stolto – tale è la sapienza di Dio per il mondo – per diventare sapiente”. E rafforza il concetto con due citazioni: Dio “fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia (…) il Signore sa che i progetti dei sapienti sono vani”.
Occorre attenzione e discernimento sull’ambigua realtà in cui viviamo: è doveroso individuare in essa il giusto cammino della sapienza di Dio, che indica cosa assumere e cosa da lasciare per la causa del Regno di Dio.

Vangelo (Mt 5,38-48)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

Il brano è il seguito di quello di domenica scorsa, e fa parte del “discorso della montagna” – una parte molto importante dell’insegnamento di Gesù -, che riprende la stessa impostazione e prospettiva: “Avete inteso ciò che fu detto (…), ma io vi dico”.
Il cammino e la filosofia di Gesù sono il compimento della legge, da non prendere alla lettera e osservarla perché scritta. Occorre interpretare lo spirito di essa, il suo fine e con creatività, audacia e coraggio elaborare la risposta adeguata all’accoglienza dell’avvento del Regno.
La legge è al servizio dell’uomo per il bene della persona, della comunità e dell’umanità. L’intento corretto è mettere la persona in condizione di condurre una vita dignitosa, assicurare l’accesso ai beni primari e indispensabili, offrire uguali opportunità riguardo la vocazione e l’attività di crescita nell’ambito dell’avvento del Regno, in armonia con i sentimenti, pensieri e prospettive riguardo alla circolarità di “amare ed essere amati”.
Il presupposto è farsi prossimo dell’altro, avvicinarsi e prendere atto del bisogno, della rigenerazione come soggetto libero e identificato con sé stesso e con l’accettazione dei propri limiti e difetti. Occorre rapportarsi all’altro con la mente e il cuore libero, in attenzione allo stato psicologico, morale, sociale e spirituale, per un dialogo che susciti nell’intimo pensieri, scelte e atteggiamenti la cui ricaduta sono un bene per l’altro, per sé stesso e per la comunità.
È il modo per rendere l’altro capace e motivato nel fare della propria vita un dono per tutti, per la crescita umana della società e il rispetto del creato. Evidentemente non si tratta semplicemente di sintonia tra idee, perché ciò che si ritiene un bene per sé potrebbe non esserlo per l’altro.
Avvicinarsi e rendere l’altro “prossimo” è una scelta, un’elezione. Sintonizzare con il mondo dell’altro permette, al ricevente e al donante, di entrare nell’ambito della salvezza accogliendo l’avvento della sovranità di Dio e incontrando il tesoro nascosto, la perla preziosa. Chi entra in tale dinamica non ha difficoltà ad offrire l’altra guancia – interrompere la violenza – o fare due miglia con chi lo costringe a farne una, per mezzo dell’invidiabile libertà interiore, frutto della filosofia e stile di vita di Cristo, del suo amore coinvolgente in virtù di una potenza di vita indistruttibile.
Non sorprendono più di tanto le parole di Gesù, che afferma: “amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli”, dato che ricevente e donante sono generati da Dio nella condizione di figli adottivi, in virtù dell’amore di Dio che rigenera la vita e la purifica.
Nel credente l’amore va ben oltre il sentimento, l’affetto umano circoscritto alla sintonia e all’affinità, perché considera nemici e persecutori psicologicamente, umanamente, moralmente, socialmente e spiritualmente carenti, e trova in essi motivo e desiderio di offrire il rimedio con azioni e gesti indicati nel brano: porgere l’altra guancia, fare il doppio del richiesto, pregare o assumere altri atteggiamenti che l’intelligenza della fede, sostenuta dall’amore, suggerisce.
Tutto ciò è possibile solo nell’orizzonte della gratuità, ben evidenziata dal brano: “egli – il Padre – fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni (…) se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? (Questi ultimi sono i peccatori che, secondo la teologia e pressi religiosa del tempo, non hanno alcuna possibilità di salvarsi) “.
La gratuità è donarsi senza se e senza ma, senza secondi fini, ed è frutto della fede escatologica nell’ultimo e definitivo della vita, già presente oggi. La gratuità è già la ricompensa, è Dio stesso, amore gratuito, Con esso si espande il regno di Dio sulla terra – “venga il tuo regno” – nel coinvolgere altri nella stessa dinamica della vita senza fine.