Padre Luigi Consonni

Commento alle letture: VI DOMENICA del T.O. -A-
(12/02/2023)

Prima lettura (Sir 15,16-21)

Se vuoi osservare i suoi comandamenti, essi ti custodiranno;
se hai fiducia in lui, anche tu vivrai.
Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua:
là dove vuoi tendi la tua mano.
Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male:
a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà.
Grande infatti è la sapienza del Signore;
forte e potente, egli vede ogni cosa.
I suoi occhi sono su coloro che lo temono,
egli conosce ogni opera degli uomini.
A nessuno ha comandato di essere empio
e a nessuno ha dato il permesso di peccare.

Il brano è del secondo secolo avanti Cristo e chi scrive è “Gesù, figlio di Sira, figlio di Eleàzaro, di Gerusalemme” (50,27). Il filo conduttore del libro è il concetto di sapienza. L’uomo che vi aderisce – il saggio – è riconosciuto tale perché osserva i precetti della Legge, affermandosi come timorato di Dio.
Se vuoi osservare i suoi comandamenti, essi ti custodiranno; se hai fiducia in lui, anche tu vivrai”. Il timore di Dio si fonda sull’adesione responsabile, libera e cosciente all’Alleanza e, specificamente, alle esigenze della Legge, con attenzione alle prescrizioni, in modo da evitare atteggiamenti e comportamenti sgraditi a Dio. Il saggio – il timorato di Dio – è chiamato ad attuarla nel contesto sociale e nelle circostanze del momento.
La corretta comprensione declina l’impegno che porta l’autore ad affermare: “
I suoi occhi – di Dio – sono su coloro che lo temono”. E il libro dei Proverbi riporta: “il timore del Signore è principio della scienza; gli stolti disprezzano la sapienza e l’istruzione” (Pr 1,7) e pure la Sapienza incalza: “Suo principio più autentico (della Sapienza) è il desiderio di istruzione, l’anelito per l’istruzione è amore” (Sap 6,17).
L’osservanza della legge è un atto della volontà sostenuta e motivata dalla fiducia: “
Se vuoi osservare i suoi comandamenti (…) se hai fiducia in lui”. A ciò si aggiunge un terzo elemento, la responsabilità, per la quale “Egli ti ha posto davanti” due opposti, “fuoco e acqua (…) la vita e la morte, il bene e il male. A ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà”. Le quattro indicazioni (la volontà, la fiducia, la responsabilità e la libertà) qualificano la grandezza dell’uomo fatto a immagine e somiglianza del Creatore.
La responsabilità e la libertà rimandano all’albero del bene e del male del paradiso terrestre. Il testo del Genesi rivela l’inganno del quale furono vittime Adamo ed Eva, sedotti dalla mezza verità: “
sareste come Dio” (Gen 3,5). Vittime dell’inganno hanno tralasciano l’ordine del Signore riguardo l’albero “della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire” (Gen2,17), sedotti dalla mezza verità.
La volontà di Dio è che ogni persona lo imiti, perché tale è la vocazione alla quale è chiamata.
L’inganno sta nel modo di arrivarci; quando la persona procede di testa propria, sedotta dal proprio piacere, dal proprio criterio e dalla propria valutazione – come è accaduto ai progenitori: “La donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza” (Gen 3,6) – la volontà dimentica o tralascia il mandato del Signore e cade nell’astuta tentazione dell’ingannatore. L’insegnamento è che la tentazione non è mai una bugia al cento per cento, ma una mezza verità, poderosa forza ingannatrice.
L’osservanza dei comandamenti nel timore del Signore richiede attenzione e adeguata interpretazione. In tal modo essi “
ti custodiranno” nella fedeltà all’Alleanza e non prevarrà la caduta nella tentazione ma, al contrario, rafforzerà la fiducia e la comunione nel Signore, in virtù delle quali “anche tu vivrai”.
Anteriormente alla libertà emerge, dal profondo della persona, la responsabilità che coinvolge immediatamente nella chiamata del Signore per farsi carico della missione a favore delle persone e della società, contando sulla sua presenza e sul suo sostegno.
Accogliendo la responsabilità, con le tre indicazioni sopra elencate, il saggio sintonizza con il dono della sapienza: “
Grande è la sapienza del Signore; forte e potente, egli vede ogni cosa. I suoi occhi sono su coloro che lo temono, egli conosce ogni opera degli uomini”.
L’amore, la sapienza, la presenza e il potere del Signore sono aspetti che motivano determinazione e fermezza nell’aderire al senso e alla finalità della legge. Tuttavia la tentazione trascina nell’empietà colui che dà le spalle alla Legge, trasgredendola. Al riguardo, con ironia e amarezza, l’autore annota che il Signore “A nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare”.
Che cosa rende difficile comprendere e sintonizzare con la sapienza? La seconda lettura fornisce una risposta.

 

Seconda lettura (1Cor 2,6-10)

Fratelli, tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria.
Nessuno dei dominatori di questo mondo l’ha conosciuta; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria.
Ma, come sta scritto:
«Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì,
né mai entrarono in cuore di uomo,
Dio le ha preparate per coloro che lo amano».
Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio.

Paolo, rivolgendosi ai membri della comunità come “tra coloro che sono perfetti”, non si riferisce alla perfezione nel comportamento, alla perfezione morale – nemmeno Paolo la possiede – ma a coloro che, identificati con la persona di Gesù, credono fermamente negli effetti della sua morte e risurrezione in loro e a favore dell’umanità intera. La perfezione è nella determinazione e nella ferma volontà di vivere come discepoli, con compiti specifici riguardo alla missione.
Di conseguenza costoro, percependosi creature nuove, riscattate dal peccato e rigenerate a nuova vita, fanno sì che l’etica sostenga la ferma volontà di praticare lo stesso stile di vita, le scelte e la pratica di Gesù per il bene individuale e sociale di tutti. Con altre parole, costoro sono cristiani maturi, consolidati nelle proprie convinzioni, nel proprio agire e, allo stesso tempo, coscienti dei propri limiti, della propria fragilità e vulnerabilità.
Nella comunione “
parliamo sì di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo”, quest’ultima caratterizzata dalla volontà di potere, di ricchezza, realtà propria “dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla”. Quella del mondo è sapienza elaborata e circoscritta che sostiene tutto ciò che caratterizza l’ambito del potere, del dominio.
La realtà di “
mondo” cresce, si sviluppa e prende il sopravvento nei “dominatori di questo mondo”, detentori del potere sociopolitico e religioso del tempo. Costoro esercitano l’autorità a vantaggio di un ristretto numero di persone e a discapito di molti, con parole, inganni e metodi oppressivi. Non badano alle conseguenze disumane, sia verso oppressi da un lato che di loro stessi per l’altro, tanto sono accecati dalla seduzione.
Di conseguenza, Paolo rileva che nella comunità “
Parliamo invece della sapienza di Dio”, radicalmente opposta a quella del “mondo”, la cui distanza è incolmabile. La sapienza di Dio, “che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli”, fa parte del patrimonio che Dio dona “per la nostra gloria”, per sintonizzare la propria esistenza, per la pratica della fraternità e dell’amore, sorretto dal fascino della vita piena e fautore del giusto rapporto interpersonale e dell’organizzazione sociale nell’ambito dell’accoglienza della sua sovranità, l’avvento del regno di Dio.
La sapienza di Dio non è alla portata dei dominatori di questo mondo, perché “
se l’avessero conosciuta non avrebbero crocifisso il Signore della gloria”. Essa si è rivelata nell’evento Gesù Cristo, e rimane “nel mistero” inesauribile della sua grandezza e profondità. Ma è accessibile al credente per la filosofia di vita, le scelte, la pratica e la consegna per la causa del Regno a imitazione dell’amore di Dio nel Gesù storico, amore per il quale diverrà, definitivamente, il Cristo, il Messia, Gesù Cristo.
Essa ha i connotati della sapienza rivoluzionaria che scombussola radicalmente la vita personale, sociale e religiosa, consolidata dalla tradizione sociale e dalla teologia del tempo, divenute ormai realtà del “
mondo”.
La sapienza di Dio è costituita da “
Quelle cose – inerenti al mistero – che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano”. “Quelle cose” entrate nel cuore, nell’intimo del credente per la fiducia nell’evento Gesù Cristo, nella sua persona e nella causa del Regno, declinano la salvezza.
Nel cuore redento, rigenerato e trasformato nell’imitare l’amore di Dio, nel quale è coinvolto in modo immeritato e gratuito, prende forza e consistenza il mistero di Dio che accoglie, testimonia e pratica ciò che prima era impossibile: la sapienza divina.
Ebbene, tutto questo è opera dello Spirito Santo, lo spazio che accoglie la mente e il cuore del destinatario del vangelo al quale, volontariamente e liberamente, si è reso disponibile: “
Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito Santo”, perché “lo Spirito conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio”.
Lo Spirito suscita nel discepolo la conversione riguardo al rapporto con Dio e alla causa del regno e, nello stesso tempo, sostiene il coraggio, l’audacia e la creatività nell’elaborare nuovi cammini, come indica il vangelo.

 

Vangelo (Mt 5,17-37)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.
Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!
Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.
Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno».

Il brano è il seguito di quello di domenica scorsa. Gesù sa dello scombussolamento che provoca nel popolo riguardo ai rapporti interpersonali, alla vita sociale e alla fede d’Israele sostenuta dall’incorretta interpretazione e pratica della Legge. Egli rassicura gli uditori riguardo le sue intenzioni: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge e i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare pieno compimento (…) non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto”.
E Gesù manifesta le condizioni del pieno compimento: “Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”. L’affermazione risuona polemica e presuntuosa per un laico proveniente da una regione considerata pagana – la Galilea – e da un luogo insignificante come Nazareth.
Essa è diretta agli scribi – i teologi di allora – e ai farisei, fedeli esecutori delle loro direttive, ritenute come norme di “giustizia” che configurano il perfetto fedele, il timorato di Dio. Le direttive sono riferimenti importanti per la vita personale, sociale e religiosa del popolo e assicurano la partecipazione nel regno di Dio con l’avvento del Messia.
Certamente costoro si affermano: Chi è costui che pretende di indicare un cammino diverso da quello stabilito e consolidato dalla teologia e dalla pratica tradizionale? Con quale autorità parla? … e altre domande simili. Per di più, dalla Galilea può uscire qualcosa di buono, da quella terra di gentili, di pagani?
Gesù afferma la necessità di distanziarsi dall’insegnamento ufficiale. Non stabilisce un gruppo di persone che faccia da intermediario fra lui e la coscienza individuale, ma chiede ai presenti intelligenza aperta – intelligenza della fede – riguardo alla sua persona e al suo insegnamento. E procede con coraggio e determinazione: “Avete inteso che fu detto (…). Ma io vi dico (…)” e rimanda a una serie di affermazioni su specifici aspetti del rapporto con sé stessi, con le persone, riguardo al matrimonio, la fedeltà coniugale e il rapporto con Dio.
Il testo tratta, anche della vendetta, della violenza, della prepotenza e dell’amore verso i nemici.
Sorge la domanda: se l’alternativa proposta è il pieno compimento della Legge e dei Profeti, qual è la motivazione intrinseca delle affermazioni di Gesù? Quale “filo” le attraversa e le unisce?
Il punto dirimente della risposta è “l’altro”, che ha bisogno di riscatto e rigenerazione per la capacità di amare, di donarsi per il bene di altri e sintonizzarsi con l’avvento della sovranità di Dio. I rapporti interpersonali e sociali sono come il tesoro sepolto nella terra o la perla preziosa smarrita. Il “filo” conduttore è la necessità di sintonizzare con la condizione umana, psicologica, morale e spirituale dell’“altro”, di avvicinarsi e dialogare in modo che il destinatario scorga in sé stesso il cammino, il dono e la possibilità di redenzione e di rigenerazione.
In altre parole, si tratta della “giustizia” che Gesù impianta e della perfezione della legge dell’amore, affinché il metodo e la strategia siano il patrimonio che orienta la condotta della persona, qualunque sia la condizione sociale, etica e di provenienza, e possa, così, integrarsi nel nuovo popolo di Dio.
A tale scopo è doveroso vigilare su sé stessi, per la presenza di forze avverse come l’indifferenza, il preconcetto, la paura, la comodità e altro. Esse generano resistenza, opposizione e rifiuto. È necessario, quindi, rimuoverle con prontezza e determinazione.
È altrettanto doveroso vigilare sul sentimento di sincero amore fra uomo e donna nel matrimonio, estendendolo a coloro che, magari involontariamente, lo hanno compromesso o addirittura allontanato. Perciò è importante volgere l’attenzione al dominio e al controllo della tirannia delle passioni fini a sé stesse, che ostacolano la crescita del rapporto sincero e reciproco.
Una parola riassume tutto: servire con cuore generoso e puro, privo di seconde intenzioni o interessi che non siano in sintonia con l’amore con cui si è amati da Dio. Il servizio è l’ambito della salvezza dell’altro e della persona che serve, disposta allo stile di vita indicato dalle beatitudini, includendo le incomprensioni e anche l’esperienza della croce.
Il servizio contiene in sé la luce del cammino e il sale dell’esistenza (vedi il vangelo di domenica scorsa), che fanno della vita realtà degna di essere vissuta.