Padre Tonino Falaguasta Nyabenda

Anche in questa sesta Domenica del Tempo Ordinario (12 febbraio 2023) siamo invitati ad accogliere, dalla Parola di Dio, una lezione molto importante. La Parola di Dio infatti è sempre viva e lo Spirito lavora per ammonirci e aiutarci a progredire nella comprensione della Rivelazione. La prima lettura (Siracide 15, 16-21) è tratta dal libro del Siracide. E’ un libro che è stato scritto in ebraico verso il 180 prima di Cristo, da un certo Yehoshua ben Sira (= Giosué figlio di Sira). Suo nipote ha quindi tradotto il libro in greco e san Cipriano di Cartagine (210-258) gli ha dato il nome di Siracide. E’ un libro dell’Antico Testamento molto importante, perché rappresenta il tentativo di accordare la sapienza biblica con la filosofia greca, specialmente con lo Stoicismo. L’influenza della cultura greca era stata molto forte con le conquiste di Alessandro Magno (356-323 prima di Cristo) e poi con i successori in Egitto, i Tolomei, molto tolleranti in fatto di religione. Ma con la conquista della Palestina da parte dei Seleucidi, dopo la battaglia di Panion del 198 prima di Cristo, le cose cambiarono. I Maccabei reagirono appunto, con lotte sanguinose, per assicurare la libertà alla loro patria, ma soprattutto per difendere la tradizione biblica. E’ in questa epoca che il Siracide ha svolto il suo compito educativo. Il suo autore ha cercato di conciliare la cultura biblica con la filosofia greca (specialmente lo Stoicismo). E’ il primo esempio di inculturazione e ci fa capire che la Parola di Dio non è qualcosa da mettere in un museo, ma una parola viva che ci aiuta a capire l’azione di Dio nella storia e nella nostra vita. “A nessuno (il Signore) ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare” (Siracide 15, 21) dice il Siracide, adombrando la riflessione sulla coscienza, come giudice ultimo del nostro agire, e proponendo il libero arbitrio (= capacità di scegliere liberamente nell’operare e nel giudicare). Se siamo liberi di scegliere il bene o il male, siamo anche responsabili delle nostre azioni. E qui si inserisce l’insegnamento rivoluzionario di Gesù. Nella tradizione biblica la Rivelazione era scritta (come quella stampata sulle tavole di pietra e donata a Mosè sul Monte Sinai), ma nello stesso tempo Dio gli ha donato anche la tradizione orale. E di questa i rabbini (= maestri della Legge) ne avevano il monopolio. Quando un rabbino proponeva un insegnamento, doveva appoggiarsi sull’apporto di un altro rabbino. Più antico e più importante fosse stato, meglio era per il rabbino che proponeva la nuova interpretazione della Parola di Dio. Con Gesù niente di tutto questo. “Avete inteso che fu detto agli antichi: non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto a giudizio – ora ecco il commento di Gesù. – Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio” (Matteo 5, 21-22). Siamo nel capitolo 5 del Vangelo di Matteo, quello delle Beatitudini, che sono il discorso programmatico del Signore. Certo Gesù si inserisce nella linea pedagogica dei Profeti e dei libri sapienziali. Ma va molto più in là.

Anche se il libro del Siracide è stato escluso dalla Bibbia ebraica nel concilio di Yamnia (90 dopo Cristo), perché quasi “personificava” la Sapienza e la prima generazione cristiana ne applicava larghi tratti a Gesù.

Il Signore ci esorta a guardare avanti, a puntare gli occhi sul Padre, per “compiere la Legge” come spiega il Rabbi di Nazareth. Infatti Gesù ci dice: “Siate dunque voi perfetti come il Padre vostro celeste è perfetto” (Matteo 5, 48). Norma del nostro agire pertanto è diventare come il Padre. Noi infatti siamo figli e figlie del Padre: imitiamolo dunque, Egli infatti ama tutti.

Il Vangelo di oggi (Matteo 5, 17-37) è strutturato su sei antitesi con un’aggiunta di una affermazione autorevole di Gesù, che dice: “Se la vostra giustizia non sarà eccessiva più degli Scribi e dei Farisei non entrerete affatto nel Regno dei Cieli” (Matteo 5, 20).

Le antitesi, che troviamo nell’insegnamento del Signore “fu detto/io però vi dico”, non sono in realtà tali. Gesù non è per l’abolizione della Legge: “”Non sono venuto ad abolire, ma a compiere la Legge e i Profeti” (Matteo 5, 12). La Legge è certo antica, ma il compimento di essa è nuovo. Qual è questo compimento? Quello del Figlio, che si basa sul suo amore per il Padre. Ed è questa la rivoluzione del Vangelo. Infatti grazie alla comunione personale e diretta con il Padre (di cui Gesù è Figlio), noi tutti siamo chiamati ad agire come Lui, a mettere in pratica, nella nostra vita, le Beatitudini. Il Fariseo si limitava all’osservanza esteriore dei 613 precetti della Legge Mosaica, senza metterci il cuore. Anzi non ne aveva neppure la forza, perché questa ci viene dallo Spirito Santo, che solo Gesù ci può donare.

Questo vale anche per i Musulmani che hanno l’obbligo di essere sottomessi (= è il significato della parola Islam, in arabo) a tutte le norme coraniche.

Lo Spirito Santo (= il soffio vitale di Dio), che Gesù ci dona con abbondanza (Giovanni 20, 22), ci permette di mettere in pratica tutte le parole di Gesù. Esse non sono leggi, belle, ma disumane. Sono invece la rivelazione dell’amore di Dio, che noi dobbiamo diffondere nelle relazioni umane, che appunto devono essere quelle di fratelli e sorelle. In questo modo possiamo acquistare la sapienza delle Beatitudini, diventare il sale della Terra e la luce del Mondo (Matteo 5, 13-14).

San Daniele Comboni (1831-1881) ha portato il Vangelo nell’Africa Centrale. Grazie alle Parole e alla vita donata del Signore, anche gli Africani possono diventare cooperatori della salvezza dei loro fratelli. Il Piano del Comboni del 1864 diceva appunto: “Salvare l’Africa con l’Africa”.