Padre Luigi Consonni
Commento alle letture: V DOMENICA del T.O. -A-
(05/02/2023)
Prima lettura (Is 58,7-10)
Così dice il Signore:
«Non consiste forse [il digiuno che voglio]
nel dividere il pane con l’affamato,
nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire uno che vedi nudo,
senza trascurare i tuoi parenti?
Allora la tua luce sorgerà come l’aurora,
la tua ferita si rimarginerà presto.
Davanti a te camminerà la tua giustizia,
la gloria del Signore ti seguirà.
Allora invocherai e il Signore ti risponderà,
implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”.
Se toglierai di mezzo a te l’oppressione,
il puntare il dito e il parlare empio,
se aprirai il tuo cuore all’affamato,
se sazierai l’afflitto di cuore,
allora brillerà fra le tenebre la tua luce,
la tua tenebra sarà come il meriggio».
Nel popolo è consolidata l’importanza del digiuno. La legge comanda il digiuno nel giorno del perdono dei peccati e gli osservanti scrupolosi – i rigorosi farisei al tempo di Gesù – lo praticano due volte alla settimana per acquisire meriti e la ricompensa del Messia consistente nell’occupare i primi posti con l’avvento del regno.
Ma, di fatto, il digiuno non accompagnato da opere di giustizia è denunciato dai profeti come una vuota osservanza legale. Il profeta interviene al riguardo: “Non consiste forse il digiuno che voglio nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti?”.
Il digiuno è funzionale alla giustizia, al diritto di ogni persona a disporre del necessario per una vita degna. È finalizzato all’attenzione ai poveri, a coloro che versano in condizioni disumane. È motivato dalla misericordia attiva a favore delle necessità individuali e dall’impegno politico nell’applicare leggi per un lavoro dignitoso e responsabile, fonte del guadagno per sé e la famiglia, senza dover mendicare; con altre parole è impiantare la giustizia sociale.
“Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto”. Le tenebre avvolgono la persona incentrata su sé stessa, sui propri interessi familiari o di lobby e disattenta, o addirittura indifferente, al bisogno di chi manca del necessario, pur praticando la preghiera e il culto nella convinzione di stare bene con Dio.
Il digiuno praticato con l’intento di sostenere il necessitato, ma soprattutto l’orfano, la vedova e lo straniero – i più esposti allo sfruttamento -, è luce, è l’aurora che squarcia le tenebre dell’ingiustizia, della malvagità, dell’oppressione, della violenza verbale e fisica, che ferisce la dignità della persona priva del necessario. Con esso sorge e si consolida nell’animo la gioiosa luce dell’aurora, del nuovo giorno radioso, dell’amore, dell’avvento della sovranità di Dio nell’intimo di chi dona e di chi riceve.
Non solo, ma emerge nel cuore il compimento delle parole del profeta: “la tua ferita si rimarginerà presto”, riferita al disagio, al non stare bene con sé stesso, al vuoto interiore, alla mediocrità della vita, alla schiavitù da dipendenze di vario tipo. Con esso la ferita si chiude mentre, tuttavia, la cicatrice rimane perché non si può cancellare, ma non duole, non incomoda.
E, allora, si ricompone l’armonia, la serenità e la soddisfazione con sé stesso per il dono gratuito e disinteressato, nel far sì che i destinatari si riapproprino della loro dignità, di un futuro pieno di speranza: “Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo – oracolo del Signore -, progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza” (Ger 29,11).
Con esso “Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà”. La giustizia è quella di Dio; è l’amore che procede dall’essenza e dall’esistenza di Dio che declina nella persona la gloria del Signore. Un grande teologo del secondo secolo, S. Ireneo, afferma che la gloria è la vita degli uomini e la vita degli uomini è la lode a Dio, glorificato dallo stesso amore al prossimo con cui sono da Lui amati.
Questa singolare circolarità fa sì che “invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà ‘Eccomi!’”. Tale esperienza non elimina prove e difficoltà con sé stesso, nel rapporto interpersonale, nell’attività sociale, per le condizioni di lucidità e di forza interiore per gestire correttamente la risposta della coscienza, coinvolta simultaneamente dalla serenità e dal turbamento.
È necessario procedere con determinazione al rinnovamento della vita: “Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito (la minaccia e l’arroganza) e il parlare empio (proprio di chi esercita potere e dominio, avulso dalla Legge e dalla volontà del Signore), se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio”. È la conversione etica e dei sentimenti alla luce della finalità della Legge, dell’avvento del regno.
La giustizia di Dio e la sua Gloria sono manifeste nell’evento Gesù Cristo, cui fa riferimento la seconda lettura.
Seconda lettura (1Cor 2,1-5)
Io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso.
Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.
Paolo conosce molto bene le difficoltà e le resistenze dei destinatari della lettera nell’accettare le sue parole riguardo alla trasmissione e alla testimonianza del mistero dell’amore di Dio in Gesù Cristo, che l’ha coinvolto e trasformato da persecutore in apostolo. Perciò “gioca”, per così dire, su due sponde.
Da un lato ricorda loro che “quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza”. Non c’è parola adatta, né sapienza umana che argomenti alla persona e alla comunità, in modo esauriente e convincente, l’evento Gesù Cristo – la vita, la missione, la morte e risurrezione – riguardo i rapporti interpersonali, la vita sociale e, per la sensibilità odierna, la cura del creato. Meno ancora la prova della risurrezione del corpo, il lato sorprendente e, in un certo senso “occulto”, della crocifissione di Gesù.
Dall’altro lato afferma: “Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso”. Stabilisce come centralità dell’evento Gesù Cristo la sua crocifissione, ben sapendo le difficoltà degli uditori nell’accettare e accogliere la redenzione della persona e della società con l’avvento del Regno di Dio, nonché la rigenerazione della persona e l’organizzazione della nuova società.
La difficoltà è comprensibile: passare da maledetto da Dio – tale è la crocifissione – a Salvatore non è facile da accettare, e per niente scontato, nonostante la sua personale e singolare esperienza. Perciò Paolo afferma: “Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione”, per la notevole possibilità di fallimento, come accadde nell’areopago di Atene. D’altro canto Paolo non può prescindere dalla verità del paradossale legame croce-risurrezione.
L’evento pasquale – perdere la vita è guadagnarla per sempre – sfugge ad ogni considerazione della sapienza umana. Quest’ultima non ha possibilità di argomentare il paradosso in modo convincente, per il fatto che la verità, nel perdere la vita per la causa del regno di Dio, è occulta. Per accogliere e “giustificare” il paradosso l’apostolo non si appella alla sapienza umana, “ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio”.
È notevole considerare che lo Spirito è spazio nel quale la circolarità della Parola fatta carne – Gesù -, e del Padre, configura la dinamica dell’amore trinitario, per la quale l’essenza e l’esistenza delle tre persone formano una sola realtà, alla quale fa eco l’appellativo “Dio”.
Lo Spirito accoglie nel suo spazio l’intelligenza della fede, il cuore e la vita di chi si dispone convenientemente, nel sintonizzare e partecipare della circolarità trinitaria, che rivela il riscatto della persona con il perdono del peccato di sfiducia nei confronti di Gesù e della causa del Regno.
Allo stesso tempo, la persona prende coscienza della nuova alleanza con Dio e della sua nuova realtà per l’immersione nella vita eterna, garanzia della partecipazione nella gloria di Dio e finalità del tempo presente di ogni credente, anticipo dell’evento escatologico che si manifesterà nella sua pienezza quando il mistero di Dio si manifesterà “tutto in tutti” (1Cor 15,28).
Lo Spirito è il maestro interiore che introduce l’umile nel circolo dell’amore, condizione necessaria per essere luce e sale per altri che accolgono l’annuncio, e per il rinnovamento della vita personale e sociale nell’ambito di “un cielo nuovo e una terra nuova” (Ap 21,1).
La vita personale, nel mantenersi in sintonia con la nuova realtà, deve porre attenzione agli accorgimenti segnalati dal Vangelo.
Vangelo (Mt 5,13-16)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».
Il brano segue immediatamente quello delle beatitudini. È anche la risposta agli insulti, persecuzioni, bugie e maldicenze che il discepolo incontrerà nella missione; risposta che rovescia tale evento “perché grande è la ricompensa nei cieli” (5,12).
La ricompensa non riguarda solo il futuro ma anche il presente – il verbo è presente – dato che il discepolo è nell’ambito nel quale Dio regna. Nella vita giornaliera il tempo non è solo il trascorrere di esso, dal passato al futuro, ma l’evento, il momento favorevole – tempo qualitativo nel tempo cronologico – della pienezza di vita donata dal rappresentante al rappresentato per la sua fede in Gesù Cristo e alla causa del Regno.
Gesù rafforza tale condizione con l’affermazione: “Voi siete il sale della terra”. La comparazione è veramente suggestiva e rimanda a una piccola quantità che si dissolve nella massa. Il sale non si vede, ma è necessario per dare il giusto sapore all’alimento e soddisfazione a chi lo gusta. Accogliere l’insegnamento, la pratica, di Gesù e mantenere con determinazione la fedeltà alla causa del regno fa del discepolo il “sale della terra”.
Allo stesso tempo Gesù avverte del pericolo: “ma se il sale perde il sapore con che cosa lo si renderà salato?”. Il “ma” appunta la possibilità di vanificare il dono ricevuto con l’infelice e spiacevole conseguenza: “A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente”. Questo perché l’umanità attende, dal discepolo e dalla comunità, la risposta di Dio ai bisogni e alle sofferenze causate dall’ingiustizia e da comportamenti perversi. Ma il non praticare o, peggio, assumere un comportamento contrario al messaggio al quale si dice di credere, suscita disprezzo e rifiuto.
Occorre, al discepolo, prestare attenzione al fatto che il “sapore” non è acquisito una volta per sempre; è dono trasmesso di volta in volta nel contesto e nella circostanza in cui si trova, nel mantenere “fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,3).
Gesù “da origine alla fede”; quale fede? Quella escatologica che assume per impiantare l’ultimo e definitivo nell’oggi del credente e dell’umanità. E la “porta a compimento” con l’evento pasquale.
Gesù continua: “né si accende una lampada per metterla sotto il moggio”. Cos’è il moggio? Il moggio è il recipiente che serve per misurare o raccogliere i cereali. Se si pone la lampada sotto il moggio si spegne, mentre sul candelabro fa luce a tutti quelli che sono nella casa.
La metafora della luce “sotto il moggio” indica l’inutilità del testimone privo del coraggio, dell’audacia e della creatività nell’assumere la fede escatologica di Gesù, imprescindibile per elaborare, nelle circostanze inedite e complesse, risposte valide al comandamento dell’amore: condizione affinché rinasca la vita, la speranza e l’amore nel rassegnato e allo scoraggiato, nell’orizzonte di un futuro pieno di gioia e di vita.
Ecco, allora, il senso della raccomandazione di Gesù: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini (…)”. Non è più la luce di Gesù, è la luce del discepolo.
Gesù invita ogni persona a imitare la pratica del suo amore. Quando si dice che la persona è splendida, cosa significa? Che emana luce, gioia, bellezza, soddisfazione e vitalità.
“(…) perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli”. La gloria di Dio sono le opere buone, in sintonia con il suo amore, per le quali si partecipa dell’atto ricreatore di Dio, che sostiene e immerge nel destino – ciò che è – il fine della persona e dell’umanità.
C’è attinenza tra la luce e le opere: la luce viene dalle opere buone, dalla comunicazione di vita, dal donare vita agli altri, “e rendono gloria al Padre vostro che è nei cieli”. Attraverso la comunicazione di vita, e il dono di sé stesso per la causa del regno, si rende manifesta la presenza di Dio nel discepolo e nella comunità credente.