Padre Tonino Falaguasta Nyabenda

 

In questa domenica, prima del mese di febbraio, celebriamo la Giornata per la vita. E’ un’iniziativa della Conferenza Episcopale Italiana, presa subito dopo che la legge sull’aborto venne approvata dal Governo italiano (nel maggio 1978). Siamo invitati a guardare la vita come il dono più grande che Dio ci ha fatto. Lo dice anche il libro della Sapienza: “Dio ha creato tutte le cose perché esistano” (Sapienza 1, 14). E questo è anche il tema della riflessione che ci è proposta oggi. Soprattutto se si parla dei figli dell’uomo e della donna: l’aborto è sempre un omicidio (Esodo 21, 22-25). Dio solo è il padrone della vita. La vita è pertanto un dono sacro di Dio (Lui ne è sempre la sorgente). Durante il racconto della creazione, essa compare nelle ultime tappe, come quasi un suo coronamento. Dio creò infatti il più perfetto dei viventi: l’uomo, a cui aggiunse la donna, perché, come coppia, fossero immagine di Dio (che è uno, ma fecondo nel mistero della Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo). Dice il libro della Genesi: “”E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò” (Genesi 1, 27).

Ma ascoltiamo Gesù, che nel Vangelo di oggi (Matteo 5, 13-16) ci spiega come bisogna vivere per poter entrare nel Regno dei Cieli e sperimentare la comunione con Dio per tutta l’eternità.

Il Rabbi di Nazareth è salito sulla cima del monte e si è seduto. Ha preso cioè l’atteggiamento di Mosè, presentandosi come il nuovo Mosè, come Colui che porta a compimento le promesse divine dell’Antico Testamento. Le Beatitudini, che sono otto, hanno un corollario (= la nona Beatitudine) che suona così: “Beati siete, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni male contro di voi, per causa mia” (Matteo 5, 11). Il Signore con queste parole si rivolge a tutti noi, cioè alla Chiesa: questa nona beatitudine è addirittura quella migliore, quella più perfetta. Anche san Paolo dice ai Cristiani di Corinto: “Mi presentai a voi nella debolezza”. E spesso, annunciando il Vangelo, egli ha sperimentato il rifiuto e la persecuzione (Atti 14, 19).

Nella terza parte del libro del profeta Isaia (6° secolo) si descrive la società come era quando gli esuli a Babilonia sono tornati nella loro patria e hanno ricostruito Gerusalemme e il tempio. Siamo nel 538 prima di Cristo e il re persiano, Ciro il Grande, autorizzò gli Israeliti a tornare nel loro paese. Ma, come sempre capita, i più furbi e i più violenti si assicurarono la posizione migliore. E hanno fatto sorgere così una moltitudine di poveri. E’ vero anche oggi: un terzo degli abitanti della Terra si accaparra l’80% delle risorse del pianeta. Il profeta allora ha esclamato con ragione: “Se toglierai di mezzo a te l’oppressione,,,, se aprirai il tuo cuore all’affamato,… allora brillerà la tua luce fra le tenebre” (Isaia 58, 9-10). Solo così, come afferma Gesù, potrai essere sale e luce nel Mondo. Che cos’è il sale? Noi siamo il sale della società umana quando abbiamo il sapore delle Beatitudini. In questo modo manifestiamo la nostra identità di figli di Dio. Possiamo perderla, questa identità, e anche facilmente, quando abbandoniamo la via che il Signore ci ha mostrato e dimentichiamo il suo insegnamento. “Per il dilagare dell’iniquità – dice il Cristo della fine dei tempi, – l’amore di molti si raffredderà” (Matteo 24, 12). Solo se la nostra vita è un’applicazione delle Beatitudini (che sono il riassunto del Vangelo) possiamo divenire luce del Mondo. Se abbiamo il sapore di Cristo, diventiamo luce, perché siamo illuminati da Lui e scopriamo di essere figli del Padre. Nel Battesimo infatti nasciamo a nuova vita, quella divina, come fratelli e sorelle di Gesù e figli adottivi di Dio. Se siamo illuminati, se la luce di Cristo trasforma il nostro essere, diveniamo noi pure luce. Siamo luce di questo Mondo, che è posto purtroppo sotto il dominio del demonio (1 Giovanni 5, 19) ed è strutturato dalla brama di potere, di avere e di apparire (1Giovanni 2, 16).

Non può essere nascosta una città – dice Gesù, – posta su un monte” (Matteo 5, 14). La città in questione è la comunità cristiana nella quale le relazioni fra i suoi abitanti sono regolate dalle Beatitudini. E’ come il tempio del Signore, situato sulla cima del monte Moria, a Gerusalemme, come afferma il profeta Isaia: “Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti… Ad esso affluiranno tutte le genti… Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore” (Isaia 2, 2-3).

Solo se siamo accesi di Cristo, se accogliamo la sua luce, se cioè manifestiamo la nostra identità di fratelli e sorelle di Gesù, perché figli del Padre, siamo sale e luce di questo Mondo. Dobbiamo spargere attorno a noi il profumo di Cristo (2 ai Corinzi 2, 14). Dobbiamo essere una lucerna, una lampada: solo quando essa è accesa fa luce. La lampada si mette sopra un sostegno, un candelabro, perché, una volta accesa, faccia luce. Per Gesù il sostegno, il candelabro, è stata la croce. E’ sulla croce, che ha manifestato il massimo della sua umiliazione e del suo nascondimento. E’ sulla croce che scopriamo davvero chi Egli è: cioè Egli è l’agnello immolato per la nostra salvezza, come già aveva predetto Giovanni il Battista (Giovanni 1, 29).

San Daniele Comboni (1831-1881) sapeva che gli Africani erano stati, anche loro, salvati dal sangue preziosissimo di Gesù e quindi poteva vedere un avvenire felice per la Chiesa in Africa. Così scriveva al Cardinal Alessandro Barnabò, da El-Obeid (Sudan), il 15 settembre 1873: “Noi siamo profondamente convinti che incomincia oggi l’ora storica della rigenerazione della Nigrizia!”.