Padre Tonino Falaguasta Nyabenda

Cercate il Signore voi tutti poveri della terra – grida il profeta Sofonia, – cercate la giustizia, cercate l’umiltà!”. E’ un grido attuale, soprattutto per i più poveri dei poveri, i lebbrosi. Nel Mondo si celebra, in questa Domenica, la Giornata Mondiale dei Malati di lebbra, proposta da Raoul Follereau (1903-1977), poeta francese e laico cristiano impegnato, ancora nel 1954. Il suo grido rivolto alle Grandi Potenze è ancora valido oggi, che viviamo tempi di guerra. “Datemi – gridava Follereau – un solo aereo militare ciascuno. L’equilibrio delle forze in campo resterebbe intatto. Ma io, con quei soldi risparmiati, salverei tutti i lebbrosi del Mondo!”. Il grido vale ancora di più oggi, quando paesi dell’Europa con gli USA stanno spendendo somme folli per combattere la Russia in Ucraìna. “Follie, pazzie!” dice Papa Francesco. E non fa che richiamare le parole del profeta Sofonia (7° secolo prima di Cristo). Soprattutto leggiamo il Vangelo di oggi (Matteo 5, 1-12) che diventa di una validità sconvolgente. “Beati i poveri” ha proclamato Gesù, seduto fra gli Apostoli, in cima alla montagna (che fa pensare al monte Sinai).

L’evangelista Matteo infatti vuole presentarci Gesù come il nuovo Mosè, colui che ci dona la parola definitiva, essendo Figlio “unico e l’amato” di Dio ( Matteo 3, 17). Il primo Vangelo ha proprio questo scopo. Matteo si rivolge a un pubblico di Giudei, che hanno dimestichezza con la Bibbia. Tutti sapevano che la figura di Mosè era fondamentale nella cultura e nella religione del popolo di Israele. Allora Matteo, nel suo Vangelo, ci presenta Gesù come il vero Mosè. Come nella Torah (=Bibbia ebraica) Mosè era considerato l’autore dei primi cinque libri (= Pentateuco), così il Vangelo di Matteo è composto di cinque grandi discorsi, preceduto da un’introduzione (= la nascita di Gesù) e seguiti da una conclusione (= la Pasqua). Il primo discorso, quello programmatico, è chiamato anche il “discorso della montagna (= capitoli 5-7). Il secondo riguarda la Missione (= capitolo 10). Il terzo illustra il Regno dei cieli con delle parabole (= capitolo 13). Il quarto parla della comunità dei discepoli (= capitolo 18). E il quinto tratta della fine dei tempi con il giudizio finale (= capitoli 24-25). Cinque discorsi come la nuova Torah.

Il Vangelo di oggi ci presenta le Beatitudini. Sono otto; ma secondo il computo ebraico esse sono 7 + 1. Sette significa la completezza e otto ci richiama il Messia, cioè il Cristo. In effetti “Beato” è Lui e le beatitudini ci descrivono il suo atteggiamento spirituale che il profeta Sofonia ha sottolineato, parlando di Israele: “Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero” (Sofonia 3, 12). Il vero Israele è proprio Gesù. Ed è Gesù che noi dobbiamo guardare. Egli non è solo un sapiente di grande esperienza, ma è veramente Colui che vive in pienezza le Beatitudini.

Nel Vangelo di Matteo le Beatitudini costituiscono il programma inaugurale del Rabbi di Nazareth; sono in effetti il programma della felicità cristiana. Per essere felici (= beati!) bisogna, a imitazione di Cristo, seguire le promesse di Dio, come sono state espresse nell’Antico Testamento. Gesù infatti è venuto da parte di Dio a pronunciare un sì solenne alle promesse che Dio ha espresso e promesso ai padri dell’Antico Testamento. E in Lui noi scopriamo il Regno dei cieli, perché Gesù ha incarnato le Beatitudini e si è mostrato “mite ed umile di cuore” (Matteo 11, 29). Nell’Antico Testamento si sottolineava l’importanza della ricchezza per essere felci e realizzare la propria vita. Gesù invece proclama: “Beati i poveri in spirito!” (Matteo 5, 3). Bisogna capire questa espressione con il sottofondo semitico. Si tratta cioè di “Anawim ruah”, quelli “piegati nello spirito”, gli umili, che non hanno una dura cervice, che accettano la condivisione e vivono nella carità fraterna. Da questa povertà (che Gesù dichiara Beata) derivano le opere di giustizia, di umiltà, di mitezza, di purezza, di misericordia, di preoccupazione per la pace. Può arrivare anche la persecuzione (Matteo 5, 10), ma sempre “per causa mia” (dice Gesù). In effetti se uno vive le Beatitudini secondo lo spirito di Gesù, si scontra con il male, perché ama il Padre e i fratelli. Trova per forza ostilità in sé e fuori di sé. “La pace non è mai pacifica” dice il biblista Silvano Fausti. E cita il famoso passo di san Paolo ai Cristiani di Efeso: “Egli (=Gesù) è la nostra pace, colui che di due (= Israele e i pagani) ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne” (Efesini 2, 14 e seguenti).

In Gesù troviamo già realizzato il Regno dei cieli. E qui ora, sulla terra, questo Regno permane sotto il segno della croce. E’ ai piedi della Croce che si incontra l’ingiustizia dell’uomo e la giustizia di Dio. Dio, che è Padre, manifesta proprio lì il suo amore per tutti. Infatti il Figlio, crocifisso, è l’agnello pasquale immolato. E questo Agnello è vittorioso proprio perché immolato.

Beati” ha detto Gesù, proclamando il manifesto del Regno di Dio. Le 8 Beatitudini descrivono esattamente il volto di Cristo, la sua autobiografia, perché Egli è il Figlio di Dio. Ma sono anche il breviario del Cristiano. Sono l’”indicativo” che diventa l’“imperativo”. Sappiamo ora quello che dobbiamo fare e come dobbiamo vivere. Gesù inoltre ci dona la Spirito grazie al quale le 8 Beatitudini diventano facilmente (se vogliamo) la nostra regola di vita.

San Daniele Comboni (1831-1881) non ha insegnato le Beatitudini, quando annunciava il Vangelo nell’Africa Centrale, ma le viveva e le faceva vivere. La predicazione del Vangelo era per lui una necessità per ottenere la “rigenerazione dell’Africa”. Lo ha detto esplicitamente al Cardinal Alessandro Franchi, prefetto di Propaganda Fide, il 15 gennaio 1878: “E’ impossibile portare la vera civilizzazione senza la predicazione del Vangelo!”.