Padre Tonino Falaguasta Nyabenda

La terza domenica del Tempo Ordinario cade di solito nel mese di gennaio e proprio quando celebriamo l’Ottavario di preghiere per l’unità dei Cristiani. Già da tempo lo si faceva, specialmente fra i Protestanti Pentecostali. Il pastore Edwards lo praticava nel 1740. Papa Leone XIII incoraggiò questa iniziativa nel 1894. Nel 1908 Paul Watson celebrava questo tempo di preghiera dal 18 al 25 gennaio a Graymoor (New York). E l’anglicano Jones Spencer lo proponeva in Inghilterra nello stesso anno. Lo scopo era quello di pregare perché tutte le Chiese Cristiane ritornassero nell’ovile di Pietro (cioè tornassero a fare comunione con il Vescovo di Roma, il Papa). Del resto Gesù aveva detto: “E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, con un solo pastore” (Giovanni 10, 16). Nella preghiera durante l’Ultima Cena, Gesù disse: “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me, mediante la loro parola: perché tutti siano una cosa sola, come noi siamo una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il Mondo conosca che tu mi hai mandato” (Giovanni 17, 22-23).

Le parole di Gesù sono chiare e la divisione, fra Cattolici, Protestanti di varie denominazioni, e Ortodossi, è uno scandalo, che, soprattutto nelle Missioni, impedisce di credere in Gesù come l’unico Salvatore del Mondo. Tra l’altro Jones Spencer l’ha capito immediatamente che l’Ovile di Pietro si identifica con la Chiesa Cattolica. Ed è quello che ha fatto chiedendo di diventare cattolico. Continuiamo a pregare perché le Spirito Santo agisca nel cuore dei discepoli di Cristo e li spinga verso l’Unità.

Quattro anni fa, poi, Papa Francesco ha scelto questa Terza Domenica del Tempo Ordinario per celebrare la Giornata della Parola di Dio. Questa iniziativa del Papa Francesco è stata proposta il 30 settembre 2019, quando nel calendario liturgico ricordiamo san Girolamo (347-420). Questo Santo ha dedicato tutta la sua vita allo studio della Bibbia. Per questo ha imparato alla perfezione il Latino, il Greco e l’Ebraico ed è stato definito: “Vir trilinguis” (= uomo che parla le tre lingue). La sua traduzione della Bibbia in Latino si chiamava “Vulgata” (= lingua parlata dal popolo), testo che abbiamo usato nella Liturgia fino al Concilio Vaticano II (1962-1965).

Il Vangelo di oggi (Matteo 4, 12-23) è tratto dal primo Vangelo dei 3 Sinottici, come del resto in tutto questo anno Liturgico. Gesù parla dell’attualità del Regno di Dio, visto non come una realtà futura, ma già presente. I regni della Terra, come quelli proposti da Satana nella seconda tentazione a Gesù nel deserto (Luca 4, 5-8), sono quelli di Adamo, fondati sulla violenza e sulla paura. Gesù invece realizza il Regno dei Cieli, che ha come principio il Padre di tutti e l’amore riversato su ogni creatura, grazie a Gesù. Egli è come la luce (Matteo 4, 16, citando il profeta Isaia). In Lui si realizza il passaggio dalla nostra notte al giorno di Dio, dalla morte alla vita, dai vari regni della Terra, che schiavizzano e uccidono, all’unico Regno dei Cieli, che fa vivere e ci dona la comunione con il Dio-Trinità.

Si tratta allora di entrare in questo Regno. Come? Le condizioni sono due: la vocazione e la conversione. Gesù chiama gli Apostoli, perché siano i testimoni di questa realtà eccezionale, come esige la Legge di Mosè che stabilisce la verità di un fatto sulla deposizione di due o tre persone (Levitico 17, 6). Gesù chiama Simone, soprannominato Kepha’ (= pietra/roccia) e Andrea, suo fratello. Poi chiama Giacomo e Giovanni, altri due fratelli. Al seguito di Gesù siamo chiamati a vivere un’altra fratellanza, non più basata sul sangue o sulla parentela, ma sulla fede e l’amore di Dio. Gesù dice loro: “Vi farò pescatori di uomini” (Matteo 4, 19). Si pesca di solito il pesce che vive nell’acqua, cioè nel suo elemento naturale. Gli uomini, invece, immersi nell’acqua, annegano e muoiono. Pescare uomini allora significa: portarci dalla morte alla vita e cioè salvarci.

Ma per vivere convenientemente la vocazione ci vuole la conversione. Che cosa vuol dire? Il profeta Geremia (650-586 prima di Cristo) esclamava: “Convertimi e io sarò convertito!” (Geremia 31, 18). La conversione è la grande opera di Dio, solo Lui può convertirci a Lui. Da parte nostra dobbiamo operare un cambiamento di rotta, cambiare il cuore, che fa diventare come bambini (Matteo 18, 3-4). Vera conversione quindi è lo sforzo continuo per “cercare il Regno di Dio e la sua giustizia” (Matteo 6, 33). Dobbiamo cioè regolare la nostra vita secondo la nuova legge, quella delle Beatitudini (Matteo 5, 1-12).

San Daniele Comboni (1831-1881) si è recato nell’Africa Centrale, perché i suoi abitanti erano i più poveri, disprezzati e abbandonati del Mondo, ma anche per poter donare loro il Vangelo del Regno di Dio. A don Nicola Mazza (17901865), che lo accolse nel suo Istituto e lo formò alla vita cristiana, sacerdotale e missionaria, così Daniele Comboni scrisse, il 31 ottobre del 1864: “Quanto all’Africa, io sono felice di vedere che i miei pensieri sono accolti benignamente dal Pontefice Pio IX: ‘Io sono lieto – mi disse il Papa, – che voi abbiate ad occuparvi dell’Africa… Vi do la mia benedizione: Labora sicut bonus miles Christi (= lavora come un buon soldato di Cristo)’!”: Queste ultime parole risuonarono nel fondo del mio cure. Il p. Rossi, il Cardinal Barnabò, prefetto di Propaganda Fide, e molti altri mi dissero che il mio Piano per la rigenerazione dell’Africa è l’unico mezzo per piantare nel centro dell’Africa la Fede in Gesù e il suo Vangelo”.