Padre Luigi Consonni
Commento alle letture: NATALE DEL SIGNORE -A-
25/12/2022)
Prima lettura (Is 52,7-10)
Come sono belli sui monti
i piedi del messaggero che annuncia la pace,
del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza,
che dice a Sion: «Regna il tuo Dio».
Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce,
insieme esultano, poiché vedono con gli occhi
il ritorno del Signore a Sion.
Prorompete insieme in canti di gioia,
rovine di Gerusalemme,
perché il Signore ha consolato il suo popolo,
ha riscattato Gerusalemme.
Il Signore ha snudato il suo santo braccio
davanti a tutte le nazioni;
tutti i confini della terra vedranno
la salvezza del nostro Dio.
Con il ritorno dall’esilio di Babilonia gli esuli trovano Gerusalemme in condizioni pietose. Le sentinelle vegliano sulle mura diroccate e il cuore del popolo è avvilito. Ed ecco irrompere l’annuncio del profeta: “Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme”.
Il riscatto è la liberazione dalla prigionia, dalla schiavitù e da ogni sofferenza e malvagità insite in tale condizione. Si apre un futuro di libertà, di realizzazione piena, di soddisfazione per ogni persona, e per il popolo la gioia della vita, la felicità di esistere.
“Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce”. Sentinelle poste dal Signore non solo per difendere quel che esiste, anche se in condizioni pietose ma, soprattutto, per vedere da lontano che l’annuncio dell’evento è prossimo, imminente.
È il profeta che annunzia loro l’arrivo del messaggero di buone notizie e “annuncia la pace (…) la salvezza che dice a Sion: ‘regna il tuo Dio’” con l’intento di dare le dritte per ricostruire nelle persone e nel popolo le condizioni per accogliere la sovranità di Dio, l’avvento del suo regno, in attenzione alla fedeltà di Dio all’Alleanza stabilita nel Sinai.
A tal fine “il Signore ha snudato il suo santo braccio davanti a tutte le nazioni”. In altre parole, impegna tutto sé stesso, il suo amore e la sua volontà in modo tale che la grandezza e la magnanimità dell’evento coinvolga non solo Israele ma tutte le nazioni, facendo percepire la portata dell’evento con frutti di salvezza e di pace.
Con esso il messaggero manifesta la potenza e la forza del suo amore, la tenacia e la fermezza di agire, in modo da consolidare ciò che fino ad allora non è stato compreso da Israele, ed è causa della sua fragilità e della sua debolezza riguardo la fiducia e il coinvolgimento ai termini dell’Alleanza. La conseguenza è il dramma dell’esilio, da cui è ritornato.
E la nuova opportunità fa “belli i piedi del messaggero”, nel senso di ritenere una benedizione quell’arrivo che porta con sé l’opportunità di nuova vita. Opportunità della quale prenderanno coscienza tutte le nazioni, e con essa la benedizione, dal momento che “tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio”. L’evento è a favore dell’umanità intera.
Tuttavia, lungo i secoli, non si realizzerà tale evento per l’incomprensione, la mancanza di fede, la seduzione di altre vie e progetti. L’accoglienza del Signore è solo nominale, la realtà va per altri cammini. Ma Dio non desiste dal proprio progetto, ed ecco sorgere una nuova e decisiva opportunità con l’ingresso, nel mondo, del Figlio.
E ciò a cui fa riferimento la seconda lettura.
Seconda lettura (Eb 1,1-6)
Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo.
Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.
Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»? e ancora: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio»? Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio».
La lettera è diretta ai connazionali convertiti al cristianesimo, a persone che ben conoscono gli avvenimenti importanti della storia d’Israele. In essa l’autore afferma che “Dio (…) ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezza del Figlio”. I credenti sintonizzano e accolgono la persona, l’insegnamento, la pratica di Gesù e l’annuncio dell’avvento del regno di Dio nel presente.
L’autore assicura in Gesù la continuità dell’azione di Dio che, fin dall’antichità per mezzo dei profeti, parla in diversi modi ai padri. E con esso la storia arriva alla svolta irreversibile. Gesù stabilisce la nuova condizione della persona, del popolo e dell’umanità, con l’accoglienza della sovranità di Dio che declina l’organizzazione del popolo nel diritto e nella giustizia, con l’insegnamento e la pratica che impianta le condizioni dell’avvento del regno di Dio.
Nel compiere la missione, il Figlio consegna sé stesso per la causa del regno, in virtù della quale risorge dai morti testimoniando la verità e l’autenticità di sé stesso e del suo operato. Con ciò il Padre lo “ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo”. L’evento rivela nel Figlio l’inizio della nuova creazione, con l’evento ultimo e definitivo (l’evento escatologico già nel presente) dell’azione trinitaria, anticipo e partecipazione del futuro già presente con il “ritorno” (tra virgolette perché è già presente, in Dio non c’è passato o futuro ma solo presente) del Risorto, per il quale “Dio sarà tutto in tutti” (1Cor 15,28).
Si rende così manifesto che il Figlio “è irradiazione della sua gloria – del Padre – e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente”. Questa condizione, si può dire, l’ha “guadagnata sul campo”, partendo dalla sua umanità assunta a livello infimo – “il Verbo si è fatto carne” (Gv1,14) – per insegnare agli uomini, nella loro condizione umana, il cammino e i mezzi per partecipare, con l’azione dello Spirito e secondo la volontà del Padre, alla pienezza della vita trinitaria.
La sua missione è “purificazione dei peccati”, dato che rappresenta davanti al Padre tutti gli uomini assumendo la condizione umana a livello infimo. In virtù dell’immenso amore nel portare a termine la missione, siede “alla destra della maestà nell’alto dei cieli (…)”. (Vale precisare che il cielo non è un ambito geografico, ma l’ambito del divino, della trascendenza di Dio).
“(…) divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro nome (angelo = messaggero) è il nome che ha ereditato”, ha ereditato l’uomo infimo per integrarlo nella realtà per la quale “tu sei mio figlio, oggi ti ho generato e ancora Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio”. (Si riferisce a ogni uomo o solo a Gesù? … ma il Verbo era già Figlio…).
L’evento “oggi ti ho generato” non si riferisce all’incarnazione, ma alla risurrezione. L’incarnazione è l’inizio del processo e del cammino che lo porterà alla gloria, alla risurrezione, nel far sì che la realtà umana di Gesù viene intrisa della figliolanza divina. È l’immagine del Vero Uomo, di ognuno di noi. In Gesù l’umano e il divino si intrecciano come le due eliche del DNA, e le stanghette che unisce le due è l’amore, o meglio, l’amore trinitario.
La festa di oggi non consiste solo nel contemplare il bambino nato a Betlemme, ma segna l’inizio di un processo la cui meta è la risurrezione, la pienezza della figliolanza divina nell’amore trinitario.
Ciò è confermato anche dal vangelo odierno.
Vangelo (Gv 1,1-18) – Estratto dal commento di Alberto Maggi
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.
Il testo riassume ed anticipa tutto il vangelo di Giovanni. L’autore inizia correggendo la scrittura, e termina smentendola. Inizia il suo vangelo scrivendo: “In principio era il Verbo”; il verbo significa la parola, è la parola creatrice che realizza il progetto di Dio, “era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”. Corregge l’interpretazione biblica nel libro della Genesi dove c’è scritto: “In principio Dio creò il cielo e la terra”.
Per l’evangelista Dio, prima ancora di creare il cielo e la terra, ha questo progetto e vuole che si realizzi. Ma non solo: usa la parola, il termine “Verbo”, cioè parola, e con essa si contrappone alla tradizione biblica che afferma la creazione del mondo in virtù delle dieci parole – il decalogo -. L’unica parola che si manifesta in questo vangelo è in un unico comandamento di Gesù: “amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amato”.
Se Giovanni inizia correggendo la scrittura, conclude il suo prologo smentendola. Infatti, scrive al versetto 18, in maniera perentoria: “Dio, nessuno lo ha mai visto”.
Ma come può l’evangelista affermare una cosa del genere? Nella Bibbia si legge che Mosè, Aronne e altri 70 anziani hanno visto Dio. L’evangelista non è d’accordo: costoro hanno avuto esperienze parziali e, pertanto, la legge che esprime Mosè non manifesta la pienezza della volontà di Dio. E l’evangelista è lapidario: “Dio, nessuno l’ha mai visto”.
“Il figlio unigenito che è Dio ed è nel seno – nel seno significa nella piena intimità – del Padre, è lui che lo ha rivelato”. È importante questa affermazione: per l’evangelista Gesù non è come Dio, ma Dio è come Gesù.
Tutto quello che noi credevamo di sapere, che c’è stato insegnato su Dio, ora va verificato con quello che vediamo in Gesù in questo vangelo. Tutto quello che corrisponde, coincide, va mantenuto, ma tutto quello che si distanzia o, addirittura, gli è in contraddizione, va eliminato.
Quando in questo vangelo, nel capitolo 14, uno dei discepoli, Filippo, chiederà a Gesù: “mostraci il Padre e ci basta”, Gesù risponderà: “chi ha visto me ha visto il Padre”. Quindi Gesù non è come Dio, ma Dio è come Gesù. Per questo motivo l’evangelista conclude il suo prologo con un invito a centrare tutta l’attenzione sulla figura di Gesù.
Ebbene, andando a ritroso in questo prologo, l’evangelista afferma: “Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità (…)”, un’espressione che indica l’amore generoso, l’amore fedele che si fa dono, “(…) vennero per mezzo di Gesù”. Gesù, che è l’unica vera manifestazione di Dio, inaugura una nuova relazione con Dio.
Mentre Mosè, il servo di Dio, aveva imposto una normativa tra dei servi e il loro signore, basata sull’obbedienza della legge, Gesù, che non è il servo di Dio (è il figlio di Dio), propone un’alleanza tra dei figli e il loro padre, non più basata sull’obbedienza della legge, ma sull’accoglienza e la pratica del suo amore.
E, andando sempre a ritroso in questo prologo per comprenderlo, “Dalla sua pienezza (…)” – dalla realizzazione di questa parola in Gesù – (…) noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia”. Ecco la dinamica della vita del credente, della comunità cristiana: è un amore che alimenta amore, amore comunicato che si trasforma poi in amore donato, “grazia e grazia”.
E il versetto più importante, posto proprio al centro di questo prologo, è il 12, dove prima l’evangelista aveva scritto: “Venne tra i suoi (…)”; questo progetto, questa realtà “(…) e i suoi non l’hanno accolto”.
Non è una polemica con un mondo dal quale la comunità cristiana si è ormai allontanata, ma è un monito per stare attenti a non commettere gli stessi errori per cui, quando Dio si presenta, e si presenta sempre in forme nuove, in nome del Dio del passato non si riconosce il Dio che viene.
Ma ecco il versetto più importante posto al centro: “A quanti però lo hanno accolto (…)” questo progetto di Dio che si manifesta in Gesù, “(…) ha dato il potere di diventare figli di Dio”. Figli di Dio non si nasce, ma si diventa, si diventa accogliendo Gesù nella propria esistenza, e imitandolo nel suo amore. Con Gesù, Dio non è più da cercare, ma da accogliere. Con Gesù l’uomo non vive più per Dio, ma vive di Dio, e con Lui e come Lui va verso gli altri.
E al versetto 14 l’evangelista afferma: questo progetto “si è fatto carne (…)”, si è realizzato nella debolezza dell’umanità assunta al livello infimo, “e venne ad abitare in noi (…)”. Non significa soltanto che venne ad abitare in mezzo a noi, ma in noi. Con Gesù, Dio chiede ad ogni persona di essere accolto nella sua vita, per fondersi con Lui, dilatare la sua capacità d’amare e renderlo l’unico vero santuario nel quale s’irradia il suo amore e la sua misericordia.
Mentre nell’antico santuario erano le persone che dovevano dirigersi verso di esso, e non tutti ne avevano accesso, nel nuovo santuario è questo stesso santuario che va verso gli ultimi, che va verso gli esclusi. Il fatto che questo progetto di Dio si manifesta nella carne, nella debolezza della carne, indica che non esiste dono di Dio che non passi attraverso l’umanità: più si è umani e più si manifesta il divino che è in noi.
Allora, ritornando all’inizio del prologo (il commento va un po’ a zig-zag perché è molto lungo, ma è necessario per comprenderne il significato), ecco che l’evangelista voleva dire: fin dall’inizio c’era questo progetto, questo progetto di Dio, una parola che s’incarna, si manifesta la condizione divina, e, in questo progetto, scrive l’evangelista, “era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno vinta”.
Ecco il grande incoraggiamento che l’evangelista ci dà: bisogna accogliere questo amore di Dio e manifestarlo. Non bisogna combattere le tenebre, non bisogna sprecare energie per combattere, ma la luce si deve espandere. Nella misura in cui la luce si espande, ecco che le tenebre se ne vanno.
Questa idea che poi permea tutto il vangelo, verrà formulata da Gesù pochi istanti prima di essere arrestato, quando Egli dirà: “Coraggio io ho vinto il mondo”. Coloro che si pongono a fianco della verità della luce, dell’amore, saranno sempre vincitori sulle tenebre, sull’odio e sulla morte.
Ciao, p.Luigi, mi sei stato compagno amabilissimo per sette anni a Rebbiò e a Crema. Che il Signore ti abbia…
Mi è piaciuto moltissimo e concentra tutto il senso della vita dell' uomo
L'ho incontrato più volte a Firenze, negli anni prima del sacerdozio, ci siamo scritte delle lettere, sono andata a trovarlo…
Ciao, padre Graziadio. E’ giunta l’ora per te, di riscuotere per l’eternità, il giusto compenso per quel granfe amore che,…
Ciao Santina, perdona il ritardo nel risponderti. Sarebbe bello potersi conoscere. Ti lasciamo qui scritti i contatti in modo da…