Padre Luigi Consonni

Commento alle letture: III DOMENICA DI AVVENTO -A-
(11/12/2022)

Prima lettura (Is 35,1-6a.8a.10)

Si rallegrino il deserto e la terra arida,
esulti e fiorisca la steppa.
Come fiore di narciso fiorisca;
sì, canti con gioia e con giubilo.
Le è data la gloria del Libano,
lo splendore del Carmelo e di Saron.
Essi vedranno la gloria del Signore,
la magnificenza del nostro Dio.
Irrobustite le mani fiacche,
rendete salde le ginocchia vacillanti.
Dite agli smarriti di cuore:
«Coraggio, non temete!
Ecco il vostro Dio,
giunge la vendetta,
la ricompensa divina.
Egli viene a salvarvi».
Allora si apriranno gli occhi dei ciechi
e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.
Allora lo zoppo salterà come un cervo,
griderà di gioia la lingua del muto.
Ci sarà un sentiero e una strada
e la chiameranno via santa.
Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore
e verranno in Sion con giubilo;
felicità perenne splenderà sul loro capo;
gioia e felicità li seguiranno
e fuggiranno tristezza e pianto.

La profezia non specifica a chi è indirizzata; essa è la predizione di un destino paurosamente oscuro che caratterizza l’insieme apocalittico del testo. Tuttavia, diversamente da ciò che s’intende comunemente con il termine apocalittico – lo sconvolgente stravolgimento sociale e cosmico – indica lo svelamento dell’azione di Dio nella crisi, il dono escatologico di Dio a favore della comunità credente e di ogni persona.
La profezia è messaggio di salvezza di Dio, che motiva e sostiene i destinatari alla resistenza, a non cedere allo sconforto, alla depressione o alla sfiducia nei suoi confronti. Allo stesso tempo suscita in loro la speranza del futuro radioso, frutto della fedeltà di Dio alla promessa. I destinatari, nell’accogliere il messaggio di salvezza, sono in condizione di sintonizzare e declinare lo stile di vita, le scelte personali e sociali con le indicazioni ivi contenute.
La crisi è segnata dall’aridità di vita, dalle carenze e dalle sofferenze della persona e del popolo, come lo è camminare nel deserto, nella steppa. Ecco, allora, l’annuncio della trasformazione del deserto inospitale in una sorgente di acqua e, riguardo alla steppa, il sorgere di fiori inaspettati: “Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. (…) Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio”. È il passaggio dall’aridità alla magnificenza della terra fertile, testimonianza della gloria di Dio, la vita in abbondanza e la gioia.
La trasformazione coinvolgerà le persone e il popolo. Il dono di Dio vincerà e sconfiggerà l’insicurezza e lo smarrimento generalizzato: “mani fiacche (…) ginocchia vacillanti (…) smarriti di cuore” e infonderà loro la certezza che Dio non permetterà di sprofondare in tale situazione.
Il dono è accompagnato dall’esortazione: “Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio (…) la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi”. Si tratta di accogliere la felicità e la salvezza, con la sconfitta e annientamento del male. Cesseranno le infermità attribuite alle conseguenze del peccato: “Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto”.
Nella condizione odierna è lo schiudersi di orizzonti di senso, del cammino di vita piena, inaspettato. È ciò che assicura l’affermazione: “Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa”. Gesù dirà: “Io sono il cammino” (Gv 14,6) la via santa nella quale procedere – coinvolgendosi sempre più profondamente nella dinamica, creativa e audace, dell’Avvento del Regno di Dio. Allora tutto il popolo riscattato riacquisirà la santità – separato da ogni cammino contrario – e si porrà al servizio di Dio nel percorrere la strada sicura.
È la strada dei redenti liberati e memori delle meraviglie operate da Dio a favore del popolo salvato dalla schiavitù dell’Egitto. Rispetto al passato c’è di più: si tratta ora del nuovo ingresso nell’amata terra. I riscattati dal Signore “verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto”. È il senso della metafora della trasformazione del deserto e della steppa.
Allora sarà manifesto il dono di Dio e il compimento della promessa. L’esilio sarà bandito per sempre, e la “felicità perenne” riempirà la terra senza afflizione e gemito. Dal punto di vista odierno è il presente escatologico ultimo e definitivo che Dio realizza già oggi, e che continuerà a sostenere fino alla fine dei tempi, come viene tracciata nei due ultimi capitoli dell’Apocalisse. 
La felicità perenne consiste nel vivere e crescere nella libertà, nella pratica del diritto, della giustizia, con particolare attenzione alle condizioni degli ultimi, i più deboli, l’orfano, la vedova e lo straniero, i più esposti al sopruso e allo sfruttamento.
Oggi non è difficile specchiarsi nell’esperienza personale e sociale del popolo d’Israele. Il peccato – il mistero dell’iniquità – è molto presente nella vita di tutti i giorni e a tutti i livelli, caratterizzato e sostenuto dall’atteggiamento di sfiducia, superficialità, indifferenza e disinteresse per l’avvento del regno di Dio, con l’accoglienza della sua sovranità, a livello personale e sociale, nel declinare la pratica dell’amore nella giustizia e nel diritto.
Oggi, con la celebrazione della Messa si attualizza la redenzione nella persona e nella comunità, perché coinvolge tutti nella dinamica dell’amore trinitario. La reale partecipazione al dono suscita coraggio, audacia e intelligenza nell’elaborare nuove risposte a contesti e circostanze inedite, in modo da far risorgere la vita, la speranza e dare senso dell’esistenza in chi è come morto dal punto di vista umano, psicologico, sociale e morale, sulla soglia della disperazione, percependosi arido, vuoto, senza senso e isolato in un immenso deserto. In altre parole, attualizza in loro l’efficacia dell’avvento del Regno di Dio.
Tale realtà configura il procedere nella via santa, il futuro di Dio e della sua gloria già presente. È il risultato di lasciarsi attrarre come la limatura di ferro dalla calamita, nel procedere con la fiducia, tenacia, costanza, pazienza e solidarietà comunitaria esortata dalla seconda lettura.

 

Seconda lettura (Gc 5,7-10)
Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.
Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore.

Il ritorno del Signore si fa attendere, va oltre l’annunciata imminenza. Per di più le prove e le difficoltà della vita, dentro e fuori la comunità, inducono allo scoraggiamento e a chiedersi se non sia stata un’illusione accogliere la predicazione degli apostoli. L’attesa si fa pesante, la fiducia nell’avvento si indebolisce e la forza di volontà sembra venir meno.
In questo stato di crisi l’apostolo Giacomo esorta la comunità alla perseveranza: “Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore”, e fa riferimento a quella dell’agricoltore che, in virtù di essa, raccoglierà il frutto sperato.
Nell’attesa esorta: “rinfrancate i vostri cuori” e segnala il “modello di sopportazione e di costanza (dei) profeti che hanno parlato in nome del Signore”. Anche loro furono provati allo stesso modo, e la loro costanza non fu vana riguardo alla promessa di cui erano araldi e portatori.
Il prolungarsi dell’attesa è motivo per riappropriarsi della fiducia in Gesù Cristo, al quale hanno aderito; riappropriarsi della fede nella sua presenza e dell’azione dello Spirito. È l’opportunità per crescere nella fede che è “un modo di già possedere quello che si spera” (Eb 1,11). Rinfrancare il cuore riporta alla carità vicendevole che ricompone le difficoltà e le asprezze.
Ad essa fa rifermento l’apostolo con l’esortazione: “Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri”. Di fatto, nel disagio, nella crisi, è facile lasciarsi andare ad atteggiamenti inadeguati e ad affermazioni improprie, a volte calunniose, alla ricerca di uno o più capri espiatori sui quali scaricare la responsabilità di ciò che non va. Ma la carità fa sì che la pazienza – capacità di soffrire i limiti, i difetti e la mediocrità della condizione umana – si traduca in magnanimità e, con essa, sentirsi già partecipi dell’avvento del regno di Dio, dono della comunione con il Padre.
L’apostolo aggiunge il motivo dell’esortazione: “per non essere giudicati: ecco il giudice è alle porte” dato che, con l’avvento del Risorto, tutti saranno giudicati sulla carità, condizione di accoglienza e immersione nell’evento ultimo e definitivo del Regno di Dio, inesauribile dinamica dell’amore trinitario.
Quindi è doveroso rafforzare la fiducia nella persona di Gesù e al dono dell’avvento del Regno di Dio – due realtà inscindibili -. È ciò che è sullo sfondo del dialogo a distanza con Giovanni Battista, riportato dal vangelo odierno.

 

Vangelo (Mt 11,2-11)
In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

In quel tempo, Giovanni era in carcere”, per le note vicende della sua predicazione fedele alla causa del regno di Dio. Non è escluso che Giovanni senta profondo sconcerto interiore per l’arresto e, forse, anche per il fatto che Gesù non faccia niente per liberarlo.
Lo sconcerto e lo stupore si aggravano per il comportamento e l’azione di Gesù che, nell’impiantare il regno di Dio, invece di separare il grano dalla paglia, che sarà bruciata nel fuoco eterno, fa tutto il contrario: non osserva i canoni della Legge ritenuti imprescindibili, mangia con i peccatori, annuncia la salvezza per i pagani, si circonda e attende persone ritenute indegne, quali prostitute, pubblicani, e altro. Fa quello che nessuno oserebbe nemmeno immaginare da parte di chi ha pretese messianiche.
La crisi è profonda e lo sconcerto totale, al punto che manda dei discepoli a dirgli: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. Che un uomo inviato da Dio si trovi in una situazione del genere la dice lunga riguardo l’imprevedibilità della missione alla quale è inviato.
In un certo senso l’esperienza di Giovanni è anche di ogni discepolo. La domanda di Giovanni rivela il suo mondo interiore, paragonabile a quello che i mistici definiscono come la “notte oscura”, quando si ritiene che Dio sta agendo in modo contrario alla promessa, alle attese enunciate nella missione.
In Giovanni sorge il dubbio se veramente Gesù sia colui che deve venire, il Messia tanto atteso. Che un uomo come lui, che ha dedicato tutto sé stesso con tenacia, coraggio e determinazione a preparare il popolo all’avvento del Messia, inizi a dubitare non è cosa di poco conto.
Gesù risponde agli inviati: “Andate a riferire a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo”.
È come se dicesse: “Non vedi che la vita rifiorisce negli abbattuti e umiliati, che la speranza di un futuro migliore riempie il cuore degli sfiduciati, degli scoraggiati e demotivati dalla vita? Che la buona notizia del regno diventa buona realtà, vita nuova e opportunità d’integrazione nel convivio sociale per loro, esclusi, marginalizzati e disprezzati?
L’avvento del regno non condanna ma accoglie, attivando la compassione e misericordia di Dio, il suo immenso amore. È salvezza per chi ritiene di non avere alcuna speranza al riguardo”. E Gesù aggiunge un messaggio per Giovanni: “E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo”. Lo motiva a riconsiderare le condizioni dell’avvento del Regno, superando i dubbi e lo scandalo.
L’esortazione di Giovanni al popolo riguarda la conversione per meritare l’ingresso nel Regno di Dio. Per Gesù l’avvento del Regno non è merito, ma dono che è trasmesso con la pratica delle beatitudini; esso conforma la nuova società, gli autentici rapporti interpersonali e sociali di giustizia, fraternità, ecc. Non si conosce la risposta di Giovanni, ma quel che segue fa pensare che gli è concesso il dono della conversione; in ogni caso si tratta di un’esperienza sconcertante.
Partiti i messaggeri, Gesù elogia Giovanni davanti alle folle: “Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più di un profeta”. Le sollecita a prendere in seria considerazione la persona e la missione del Battista: “Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinnanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.
Gesù apprezza la determinazione, l’impegno e la fedeltà di Giovanni per la causa del Regno, nonostante i limiti che Egli stesso è chiamato a correggere. In ogni caso ogni discepolo di Gesù, per accogliere il dono del regno nel contesto e nelle circostanze in cui si trova, deve elaborare la vita individuale e sociale di ogni giorno nella conversione che ha attinenza a quella del Battista.
La grandezza di Giovanni porta Gesù ad affermare: “Fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni Battista”. Sorprende il seguito: “ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui”.
Perché dice questo? Come comprendere che il più piccolo nel regno è più grande di lui? Accogliere il dono del Regno è proprio di chi segue gli insegnamenti e il cammino di Gesù, elabora con creatività, coraggio e audacia rapporti con sé stesso, con gli altri, con la società e con l’intero creato, riferimenti che rigenerano la vita dei destinatari, e allo stesso tempo, la propria.
Il piccolo è chi, per la fiducia nella persona e nella pratica di Gesù, si lascia istruire e guidare dalla sua parola ed esempio. È indicato come “piccolo” non perché bambino ma per l’insignificanza e la derisione cui si sottopone per l’ingenuità nel perseguire il cammino indicato e la meta tracciata da Gesù, ritenuta dall’istituzione religiosa priva di alcun valore e contraria alla tradizione.
Le virtù di Giovanni, elogiate da Gesù, sono necessarie e propedeutiche per il passo decisivo. Gesù stesso invita Giovanni a farlo con la risposta fornita ai suoi inviati. In questo senso anche Giovanni è invitato a farsi piccolo, e c’è motivo di credere che l’abbia fatto.
Anche oggi Gesù mette a disposizione il patrimonio che molti non percepiscono o non sono in grado di apprezzare, perché non sono sufficientemente orientati alla consapevolezza e alla conoscenza del processo di graduale adesione ai suoi insegnamenti.
L’efficacia del cammino introduce il discepolo nella realtà del regno già oggi, lo rende partecipe e cosciente della gestazione e crescita del nuovo che lo conduce verso il Natale di se stesso, e che si rivelerà in tutta la sua ampiezza e profondità con l’ultimo e definitivo intervento di Dio nel presente, con la dinamica per la quale fa crescere costantemente in ognuno, e nella comunità intera, l’immagine del Figlio risorto e il cui riscontro è costituito dall’impegno gioioso e pieno di vita per approfondire e abbracciare la causa del regno.
In tal senso il Natale è realtà di ogni giorno, e conduce ogni credente nell’eterna gloria di Dio.