Padre Vincenzo Percassi

 

Il Vangelo di questa prima domenica di avvento può riassumersi con l’ammonimento: “tenetevi pronti”. Ma per che cosa occorre tenersi pronti? evidentemente non per la morte. Di due uomini o donne al lavoro uno sarà preso e l’altro lasciato. L’immagine ci ricorda che la morte è imprevedibile ed arbitraria. Nessuno sarà mai pronto veramente per l’ora della sua morte perché essa non attende che tu concluda la tua opera – che sia l’arare il campo o macinare la mole – ma la interrompe senza appello. Non ci sarà mai una ragione adeguata a spiegare perché uno viene preso -magari giovane e promettente – ed un altro lasciato. La morte è improvvisa e irrimediabile come un furto: se uno sapesse a che ora arriva il ladro forse che non disporrebbe di conseguenza? Così è per la fine di tutto e di ciascuno: nessuno conosce l’ora e il momento. Volersi preparare ad essa significherebbe vivere ansiosi ed insonni. Non si può essere pronti per ciò che non si conosce. Ma allora ci si prepara per che cosa? Ci si prepara ad accogliere il compimento di una promessa più preziosa di tutto ciò che la morte potrebbe rubarci. Paolo esprime sinteticamente questa promessa con l’invito: rivestitevi di Cristo. Assumete la sua natura. Lasciate che la sua vita immortale rivesta la vostra mortalità. Tenersi pronti allora significa avere quel discernimento sulla tua storia che ti permette di riconoscerla come un cammino di salvezza; come, cioè, un percorso nel quale ogni evento non è semplicemente bello o brutto ma un’occasione per divenire più accoglienti, più docili, più consapevoli di questa salvezza di Cristo che già opera nella storia e che ci viene incontro. A noi può sembrare che non cambia nulla perché camminiamo ancora nella notte eppure, dice San Paolo, questa notte è avanzata e la salvezza è ora più vicina di quando diventammo credenti. Se ci teniamo pronti, desiderosi, perseveranti nell’attesa, consapevoli che nei fatti della nostra vita non vi è nulla di casuale ma che tutto è salvifico, questa salvezza si avvicina e si fa sempre più presente nella nostra vita, fino a divenire un vestito da indossare, un’esperienza tagliata sulla misura di ciascuno: rivestitevi di Cristo. È Lui che è capace di aggiustarsi alla storia, alla personalità, alle attese più vere di ciascuno, in modo che l’uomo naturale assuma la natura nuova della resurrezione. Quando questa vita di Cristo in noi, che è la vita dello Spirito Santo, diventa più importante di mangiare e bere o di maritarsi, allora, l’amore alla croce prende il posto di quello al piacere – orge e sensualità – e l’amore al nemico prende il posto dell’amor proprio: le gelosie e le divisioni. Questo rivestirsi di Cristo, allora, va inteso come una promessa di una trasformazione che si compie attraverso un cammino nella storia. Prima di arrivare a questo compimento Paolo suggerisce che vi siano almeno due momenti: si tratta innanzitutto di svegliarsi dal sonno e quindi accogliere consapevolmente la buona notizia dell’avvento: la salvezza è presente e si avvicina.
Il tempo è grazia e ancor più il tempo forte dell’avvento. L’alternativa sarebbe il sonno o se vogliamo il vivere distratti, inconsapevoli, senza scopo, persone che per sopravvivere devono “negare” il vuoto e la sofferenza interiori … e dormire. Era così ai tempi di Noè quando tutti sembravano soddisfatti della vita naturale: magiare e maritarsi e non attendevano nulla, non erano pronti per una salvezza che viene da Dio. È in un certo senso l’immagine dell’umanità attuale, incapace di sperare più di quello che questa vita può offrire e quindi considera il cielo come una realtà chiusa o inesistente. Soltanto Noè si incamminava verso la salvezza mentre la massa non si accorge di nulla. Svegliarsi significa assumere un’intelligenza personale delle cose e della storia, coinvolgersi personalmente nella ricerca della verità, trovare il coraggio di vivere controcorrente. Questo non per dire che uno solo si salva ma che uno si salva solo per una decisione personale. Tutti sono chiamati alla salvezza. Popoli interi, ricorda Isaia, diranno: venite saliamo al monte del Signore perché ci indichi le sue vie. Eppure, ciò che motiva il cammino, non è l’opinione pubblica ma il fatto che ciascuno singolarmente ha riconosciuto una luce nell’oscurità ed ha compreso che Cristo vuole fare un’alleanza personalissima con lui o con lei.
Il secondo momento che segue al risveglio è quello di deporre le opere delle tenebre ed indossare le armi della luce. Più diamo fiducia al Vangelo che proclama che la storia è salvifica più la nostra volontà si determina al bene. Allora deponiamo le opere delle tenebre e rivestiamo le armi della luce, cioè cominciamo a lottare. Non è ancora la vittoria ma il combattimento. Anche se uno tornasse a sentirsi debolissimo dovrebbe assolutamente ricordare che le armi non sono le sue ma quelle della luce. Quando Isaia parla delle lance trasformate in falci non annuncia soltanto la pace dei popoli, speranza quanto mai attuale oggi, ma anche una lenta trasformazione personale per la quale tanto più erano energie che uno usava per fare il male tanto più saranno le energie che gli avrà a disposizione per fare il bene e generare pace. Il più grande peccatore deve credere di poter divenire il più grande santo. È la speranza fondamentale dell’avvento.