Padre Tonino Falaguasta Nyabenda

 

Con questa Domenica incomincia l’Avvento. Incomincia cioè il tempo che ci prepara alla festa del Natale. Ma è anche l’inizio dell’Anno Liturgico, secondo il calendario della Chiesa. Nei primi tre secoli della nostra era, i Cristiani seguivano il calendario ebraico e l’anno cominciava con la festa di Pasqua (celebrata sempre nel mese di Nisan e cioè nei nostri mesi marzo/aprile). La Pasqua però non cadeva sempre alla stessa data; è infatti una festività mobile, perché correlata con il ciclo lunare (anche per noi oggi). Nel secolo IV, la nascita di Gesù venne fissata il 25 dicembre. Allora l’inizio dell’anno, per noi Cristiani, venne stabilito al 1° gennaio, cioè vicino al Natale.

Nel 490, Perpetuus, Vescovo di Tours in Francia, stabilì che, come preparazione a questa festa, ci fosse un periodo di 40 giorni, con tre giorni alla settimana di digiuno. Si voleva imitare la Quaresima che preparava alla Pasqua, anche facendo un po’ di penitenza. Questo periodo venne chiamato Quaresima di san Martino (san Martino è stato Vescovo di Tours nel IV secolo), perché dalla festa di questo Santo (11 novembre) al Natale ci sono esattamente 40 giorni. Non dimentichiamo poi che la cifra 40 nella Bibbia ha un significato ben preciso: indica un tempo di prova, di isolamento, di purificazione.

Un secolo dopo, anche a Roma venne adottato il tempo di preparazione al Natale, che chiamarono Avvento semplicemente, ma con una caratteristica diversa da Tours. Niente digiuni, piuttosto un tempo di gioia, perché preparazione a una grande Festa, il Natale: la nascita a Betlemme del Salvatore.

Nel secolo XIII, si mescolarono le due tradizioni. Recentemente, nella riforma voluta dal Concilio Vaticano II (1962-1965) e approvata da Paolo VI, si continuò con questa ultima tradizione.

Quest’anno, siccome ricominciamo il Ciclo di 3 anni, siamo nell’anno A e leggiamo il Vangelo di Matteo. Il Vangelo di Matteo non è un libro di storia, ma un libro di Teologia ed è una Catechesi. Vuole cioè presentare Gesù come il nuovo Mosè. Come Mosè era ritenuto l’autore della TORAH, cioè dei primi cinque libri della Bibbia (che noi chiamiamo Pentateuco), così il Vangelo di Matteo comprende 5 discorsi di Gesù (cinque in greco si dice PENTA), con una introduzione (la nascita di Gesù) e una conclusione (gli avvenimenti pasquali).

Ma ascoltiamo il profeta Isaia (VIII secolo prima di Cristo). Egli ci insegna due cose: il tentativo umano di arrivare a Dio è sempre un fallimento (esempio: la torre di Babele in Genesi 11, 1-9). Ma vale anche per noi oggi: la società basata sull’esclusione di Dio non sperimenta che l’odio, la guerra, il fallimento della vita umana come convivialità. Il secondo insegnamento riguarda la Parola di Dio. “Poiché da Sion – dice Isaia – uscirà la Legge e da Gerusalemme la Parola del Signore” (Isaia 2, 3). Ed è lì, in questo incontro, che tutta l’umanità si ritroverà, vivendo in questo modo la sua unità. Anche l’apostolo Paolo ci esorta a “svegliarci dal sonno, perché adesso la salvezza è più vicina” (Romani 13, 11). Anche nel Vangelo Gesù ci esorta, dicendo: “Vegliate dunque” (Matteo 24, 42). I discepoli volevano sapere quando sarebbe arrivata la fine di tutto con il giudizio di Dio. Ma il “quando tutto questo si sarebbe manifestato” lo si incontra nel “banale quotidiano” (afferma il biblista Silvano Fausti). Anche san Paolo ci invita a “gettare via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce” (Romani 13, 11). Perché per chi ha fede, per chi guarda alla Croce e a Colui che vi è appeso come su un trono di gloria, il giudizio è già scritto, positivamente. Infatti Gesù arriva ogni giorno (come un ladro, per indicare l’importanza della vigilanza). Noi pertanto dobbiamo aspettare il Signore, vivendo le Beatitudini e compiendo le opere buone (Matteo 25, 31-46).

Per accogliere l’Emmanuele, cioè Dio che ci salva in Gesù, dobbiamo stare attenti e non deviare dalla retta via. “Due uomini saranno nel campo – dice il Vangelo, – uno sarà preso e l’altro lasciato” (Matteo 24, 40). Nulla è lasciato al caso; ma tutto dipende dal nostro agire. Se abbiamo gli occhi ben aperti, e cioè se pratichiamo il discernimento e la vigilanza, scopriamo che il Signore agisce sempre nel momento presente. Ai tempi di Noè, gli uomini “mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito” (Matteo 24, 38). Noè invece lavorava a costruire l’arca, nella quale entrò con i figli e le coppie di animali: così si salvarono dal diluvio universale. “Anche voi – dice Gesù – siate pronti, perché nell’ora che non pensate, il Figlio dell’uomo viene” (Matteo 24, 44). Che fare? Aspettare passivamente che il tempo della nostra vita passi? Buttarci alla conquista del Mondo, per lasciare una traccia del nostro passaggio? Era l’assillo di Giulio Cesare (100-44 prima di Cristo) che a 40 anni non aveva ancora compiuto ancora nulla di eclatante. Comunque non è con la guerra, la violenza, le ruberie o la costruzione di torri di Babele come i moderni grattacieli, che conquisteremo la salvezza e la gloria nel Regno di Dio. Solo con le opere di carità, nel servizio dei fratelli e delle sorelle, come ha fatto Gesù (Marco 10, 45).

San Daniele Comboni (1831-1881) ha passato tutta la sua vita a fare del bene ai suoi fedeli in Africa Centrale. Come ha fatto anche il Beato Giuseppe Ambrosoli (1923-1987), innalzato alla gloria degli altari domenica scorsa, 20 novembre 2022, a Kalongo in Uganda. Era un Missionario Comboniano che, con la sua attività di medico, ha svolto il suo ruolo di apostolo di Gesù, perché più che parlare ha agito. Infatti dice Mons. Giuseppe Franzelli, Vescovo emerito di Lira in Uganda e Comboniano, a proposito del Beato Giuseppe Ambrosoli: “L’amore parla più forte delle parole”. 

 P. Tonino Falaguasta Nyabenda