Padre Tonino Falaguasta Nyabenda

 

Questa Domenica (20 Novembre 2022) è l’ultima dell’Anno Liturgico. Infatti Domenica prossima sarà la prima di Avvento. Oggi è anche la fine del Ciclo, che si svolge in tre anni. Torneremo quindi all’anno A e mediteremo il Vangelo di Matteo. Così riprendiamo dall’inizio la lettura della Bibbia (Antico e Nuovo Testamento). In tre anni la leggeremo completamente, almeno nei passaggi più importanti. Oggi poi celebriamo la Festa di Cristo, Re dell’universo. E’ una festa voluta dal Papa Pio XI nel 1925. Eravamo in tempi difficili. In Italia c’era la dittatura fascista. In Russia (a quel tempo URSS) vigeva il marxismo leninismo che combatteva ogni religione e escludeva Dio dalla storia umana. In Germania stava per salire al potere il Nazismo, che tanti mali causerà, con decine di milioni di morti e soprattutto realizzerà la SHOAH, con il genocidio degli Ebrei, volendo farli sparire dalla faccia della Terra. Con loro furono sterminati anche omosessuali, Zingari e oppositori politici. Erano tempi davvero bui, in cui non si aveva speranza in un futuro migliore. Papa Pio XI ha voluto dare un segnale: è Cristo il Re dell’Universo ed è Lui quindi che avrà l’ultima parola.

Ma non si tratta di proporre la Chiesa, come una società che dovrebbe dominare il Mondo, quasi una realizzazione del progetto politico di Papa Gregorio VII (1015-1085).

Gesù certamente è un Re, ma dall’alto della Croce, perché con la sua parola e la sua vita chiama tutta l’umanità a entrare nel Regno di Dio. Nella prima lettura (2 Samuele 5, 1-3) si parla del Re Davide, modello di ogni re, ma soprattutto antenato di Gesù, che sarà il vero Re dell’Universo. Ma in che modo? Il Vangelo di oggi ce lo spiega (Luca 23, 35-43). Gesù è in croce, agonizzante. I capi (= il potere religioso) e i soldati (= il potere politico dominatore) lo deridono. Ci sono due ladroni, perché la Legge Mosaica esigeva che ad autenticare un avvenimento ci fossero almeno due testimoni (Deuteronomio17, 6). Mettiamoci anche noi, con la nostra immaginazione, sulla cima del Monte Calvario. E’ sulla croce che Gesù realizza il Regno di Dio, come annunciato all’inizio del suo ministero (Luca 4, 16-20 e più in dettaglio 6, 20-38). Lui è il Re, però povero, affamato, odiato, insultato, respinto… Ma Egli ama i nemici, fa loro del bene, li benedice e resiste al male, portandolo su di sé. E’ disposto a subirne di più, pur di non restituirlo. Da’ agli altri la salvezza che ognuno vorrebbe per sé. E’ proprio sulla Croce che capiamo perché Gesù è Re. Sulla Croce, che è il suo trono, realizza il giudizio di Dio sui nemici, perché Egli perdona e dona il Regno ai malfattori (che siamo tutti noi). Contemplandolo agire sulla Croce, possiamo capire in che senso Gesù è Re e qual’è la salvezza che ci dona. Anche lì esercita il suo potere evidentemente nel servizio: amandoci fino alla morte. “Salva te stesso e noi!” esclama uno dei due briganti. Ed è un ritornello ripetuto sulla cima del Calvario. Questa richiesta rappresenta la massima aspirazione di ogni uomo. Infatti ognuno di noi, mossi dalla paura della morte, cerchiamo di salvarci da essa, con la strategia del potere, dell’avere e dell’apparire. Quest’ansia di vivere ad ogni costo genera ogni male, ogni odio, ogni violenza, ogni sotterfugio, ogni dominio, ogni sopraffazione… Tutto ciò genera l’egoismo che è la morte dell’uomo come figlio di Dio. Gesù (dice il biblista Silvano Fausti) non ci libera dalla morte, ma dalla paura di essa. Per questo Gesù ci offre la sua amicizia e sta vicino a noi, perfino nella morte. Come spiega molto bene la lettera scritta ai Cristiani Ebrei: “Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne (= tutti noi), anch’Egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza, mediante la morte, colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo” (Ebrei 2, 14).

Grazie al Cristo, che, con la sua morte redentrice, ci spalanca le porte del Regno di Dio, possiamo avere la speranza e non avere più paura della morte. Ormai siamo con Lui, che sta vicino a noi, fino alla fine della nostra esistenza terrena. Ha detto Papa Francesco, in un’omelia del 24 novembre 2019 : “Lo imploriamo ogni giorno: Venga il tuo Regno, Signore… Questo non ci permette di rassegnarci dinanzi al male…, ma ciò ci spinge ad essere lievito del suo Regno dovunque siamo: in famiglia, al lavoro, nella società… Il Regno dei Cieli è la nostra meta comune… che iniziamo a vivere già da oggi, accanto all’indifferenza che circonda e fa tacere tante volte i nostri malati, i disabili, gli anziani, i rifugiati e lavoratori stranieri: tutti loro sono sacramento vivo di Cristo nostro Re” (Matteo 25, 31-46). Sulla cima del Golgota dobbiamo realizzare la “theoria” (= contemplazione) di Dio. Dio è così: amore senza limiti per tutti i peccatori. Uno dei ladroni, crocifisso con Gesù, non l’aveva capito. “Salva te stesso e noi” (Luca 23, 39). Noi tutti cerchiamo un messia che salvi se stesso, per salvare pure noi. Cioè noi vorremmo un Dio a nostra immagine e somiglianza. Ma non è così, per fortuna. L’altro ladrone ha capito tutto, perché vede nella Croce una novità. Bisogna cominciare con il timore di Dio (Salmo 111, 10) e guardare Gesù crocifisso: così scopriamo il vero volto i Do, che vuole salvare tutti. Così scopriamo di essere salvati, non dal male e dalla morte, ma dalla vera radice di ogni male: quella cioè di non sentirsi amati e accolti da Dio. La salvezza pertanto consiste nel passaggio dal primo al secondo ladrone. Allora Gesù può esclamare: “Amen ti dico: oggi con me sarai (= e tutti noi) in Paradiso” (Luca 23, 43).

San Daniele Comboni (1831-1881) aveva l’ansia della salvezza e della rigenerazione degli Africani, affidati alle sue cure pastorali nel suo immenso Vicariato. Per questo aveva scelto come motto del suo agire: “O Nigrizia o morte!”.

 P. Tonino Falaguasta Nyabenda