Papa Francesco non cessa di essere il Pastore del suo popolo, colui che va avanti, come il pastore con il suo gregge di pecore, sull’esempio di Gesù. Nel suo recente viaggio nel regno del Bahrein, dal 3 al 6 novembre 2022, ci ha dato un ulteriore esempio di quello che anche noi Missionari Comboniani dobbiamo fare.

Credo che nella prossima Assemblea elettiva e di programmazione del 21-25 novembre dovremmo soffermarci su questo tema e prevedere iniziative adeguate.

Adrian Candiard, domenicano francese che lavora al Cairo all’INSTITUT DOMINICAIN D’ETUDES ORIENTALES, ha pubblicato recentemente un libro dal titolo significativo: “Tolleranza? Meglio il dialogo”. Questa facile pubblicazione merita la nostra attenzione. In Italia i Musulmani, secondo le statistiche della Caritas, erano 1.505.000 nel 2011. Ora saranno certamente di più. Noi dovremmo occuparci di questa parte della popolazione italiana, non solamente come immigrati, ma anche come persone con le quali dialogare. E’ appunto quello che sostiene Candiard. Non basta accettare i Musulmani, tollerando la loro presenza e aiutandoli a inserirsi nel tessuto sociale del nostro paese. E’ necessario conoscerli e conoscere la loro religione.

Ascoltiamo anche quello che dice Mohammad Abdulsalam, intellettuale egiziano, autore del libro: “Il Papa e il grande Imam”. Egli ha avuto un grande ruolo nel favorire l’amicizia fra Ahmad Al-Tayyeb, grande Imam di Al-Azhar del Cairo, e Papa Francesco. Ha collaborato alla stesura del celebre “Documento sulla fratellanza umana”, firmato dal grande Imam e dal Papa, il 4 febbraio del 2019 ad Abu Dhabi. Mohammad Abdulsalam, tra le altre cose, è membro del “Centro di Al-Azhar per il Dialogo Inter religioso”. A lui Papa Francesco ha conferito l’Ordine di Cavaliere Comandante con Stella: il primo Musulmano e il primo Arabo a ricevere questa onorificenza.

Questi due autori meritano la nostra attenzione. Il primo perché, con l’aiuto della autentica esperienza di convivenza nell’Andalusia medioevale, possiamo lavorare per favorire un vero dialogo, il secondo perché, con l’affermazione dell’importanza dell’amicizia fra personalità rappresentative dell’Islam e del Cristianesimo, possiamo facilitare la comprensione e il rispetto fra Musulmani e Cristiani.

Candiard parte appunto dall’esperienza andalusa. A volte questa interpretazione è di parte. Come quella di Jean Daniel, principe dei giornalisti francesi, fondatore del settimanale LE NOUVEL OBSERVATEUR, che ne ha tratto la conferma del modello di tolleranza ereditato dalla modernità e dall’Illuminismo. Questa idea viene soprattutto dalla lettura degli scritti di Averroè (1126 -1198 a Marrakech in Marocco in esilio), filosofo di Cordova e commentatore di Aristotele.

Jacques Attali, lo scopritore del presidente francese Emmanuel Macron, parla dello “spirito di Cordova” che dovremmo fare nostro nella società moderna. Ma Candiard definisce questa definizione piuttosto ingenua. E propone una figura storica per il dialogo tra Ebrei, Musulmani e Cristiani: Raimondo Lullo (1232-1316), teologo spagnolo, che è anche Beato. E’ stato definito “Christianus arabicus” per la conoscenza approfondita della lingua e del Mondo musulmano. Ha scritto un libro, tradotto anche in italiano: “Libro del Gentile e dei Tre Savi”. Vi si descrive la discussione fra un Pagano, un Ebreo, un Cristiano e un Musulmano. E i tre Savi, su richiesta del Gentile (pagano!), sono invitati a esporre qual’è la vera religione. Ma non riescono a convincerlo. Allora essi decidono, divenuti amici, di continuare a discutere fra di loro finché uno dei tre non arrivi a convincere gli altri.
Il libro finisce qui, ma sottolinea l’importanza dell’amicizia, del silenzio nell’ascolto e nell’evidenziare anche le loro differenze.

Pierre Claverie (1938-1981), francese, Vescovo di Orano in Algeria e Martire, beatificato nel 2018, ha sottolineato l’importanza della chiarezza nel dialogo, sottolineando però le differenze, fra Cristianesimo e Islam. Per esempio l’Abramo del Corano non è l’Abramo della Bibbia e lo stesso dicasi di Gesù/Issa. Adrien Candiard ripete spesso, nei suoi interventi e nei suoi scritti, l’importanza della ricerca della verità.

A questo non dobbiamo rinunciare mai. Ed è una grande lezione del vecchio Averroè.

P. Tonino Falaguasta Nyabenda