Padre Tonino Falaguasta Nyabenda

Andiamo verso la fine dell’Anno Liturgico. Domenica prossima, 20 novembre, celebreremo la Festa di Cristo Re e, la Domenica successiva, 27 novembre, inizierà il tempo dell’Avvento. Sarà il nuovo Anno Liturgico: quello A con la lettura del Vangelo di Matteo.

Oggi il tema delle letture, su cui dobbiamo meditare e fare preghiera, è l’escatologia (= discorso sulle ultime cose o parola ultima e definitiva). Ai tempi di Gesù il discorso sulle ultime cose era molto di moda. C’erano gli Esseni (= gruppo giudaico, organizzato in comunità monastiche, contrario alla religione del tempio di Gerusalemme) che credevano nell’arrivo imminente del Messia e di un Giudizio, che si esprimeva nella lotta dei Figli della Luce contro i Figli delle tenebre. Anche il profeta Malachia (V secolo prima di Cristo), il cui libro troviamo come ultimo dell’Antico Testamento, diceva: “Ecco sta per venire il giorno rovente come un forno. Allora tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia: quel giorno, venendo, li brucerà” (Malachia 3, 19).

Nell’Antico Testamento si parla di Giudizio di Dio come di fuoco che distruggerà, ma nello stesso purificherà. Questo perché Dio, dopo il Diluvio Universale, aveva promesso di non più distruggere la terra con l’acqua (Genesi 9, 15). L’evangelista Luca, che scriveva per un pubblico non esclusivamente di origine giudaica, utilizza un altro modo di spiegare il Giudizio Universale, o i giorni che riguardano la fine del Mondo. Preferisce utilizzare i termini di guerre, sommovimenti sociali, terremoti, ecc. (Luca 21, 10-11). Era questo un linguaggio più comprensibile.

Era sempre un tempo di attesa, a volte spasmodico, quello vissuto dalla prima generazione cristiana. San Paolo, scrivendo ai Cristiani di Tessalonica (ora Salonicco in Grecia), verso il 50 dopo Cristo, che aspettavano l’arrivo del Messia e la fine del Mondo attuale come imminente, li invita a non restare nell’ozio, tanto ormai tutto sarebbe finito e il Signore Gesù sarebbe venuto nella sua gloria. Li sprona invece a lavorare per vivere, non a sbafo degli altri. “Chi non vuole lavorare neppure mangi” esclama l’Apostolo e dava il suo esempio (2 Tessalonicesi 3, 10). Infatti si dedicava abitualmente alla fabbricazione di tende per l’esercito imperiale (era appunto il suo mestiere, ereditato dal padre, cittadino romano per questo). E’ giusto poi affermare che questa frase non è certo di Karl Marx (1818-1883), filosofo ebreo tedesco, come sempre si dice, ma egli l’ha copiata da san Paolo evidentemente!

Il brano del Vangelo di oggi fa parte della Grande Apocalisse di san Luca (Luca 21, 5-36). C’è anche la Piccola Apocalisse (Luca 17, 20 – 18, 8), che riguarda il destino personale di ciascuno di noi, che si conclude con la morte. La Grande Apocalisse spiega il destino cosmico e si concluderà con la fine del Mondo.

Il linguaggio apocalittico ha tinte forti e a volte paradossali; ma lo scrittore lo usa per essere capito e per colpire la nostra immaginazione. Le parole di Gesù non hanno lo scopo di spaventarci, ma di aiutarci a cogliere il senso profondo della nostra vita in questo Mondo e di scoprire la verità, che è la parola definitiva di Dio su tutto ciò che esiste. E lo scopo del discorso apocalittico di Gesù è quello di farci capire che non andiamo verso la fine, ma verso il raggiungimento del nostro fine, e cioè la comunione con il Dio, che è Padre, Figlio e Spirito Santo, unico Dio nel mistero trinitario. L’universo pertanto finirà e finirà anche male, perché non accetta questo “fine”, secondo la volontà di Dio, che prevede, come afferma san Paolo, anche la “risurrezione” o la trasformazione delle realtà create (Romani 8, 20-22). La vittoria finale non sarà del male, ma della fedeltà di Dio al suo amore per noi e per la creazione (= infatti tutto viene da Lui).

La risurrezione di Gesù Crocifisso ci dà la certezza della vittoria finale di Dio, che è sempre fedele alla sua parola e alle sue promesse.

Siamo quindi fin da ora chiamati ad entrare nel Regno di Dio (Marco 1, 15). E questo Regno è un dono di Dio, offertoci da Gesù ed è grazie al Cristo, e seguendo il suo insegnamento, che noi possiamo entrarci. Ma per entrarci, bisogna convertirsi. Certo “tutto è grazia”, anche la vocazione o la chiamata al Regno. Ma bisogna rispondere a questa grazia, soddisfacendo ad alcune condizioni. I peccatori induriti nel male “non erediteranno il Regno di Cristo e di Dio” (1 Corinzi 6, 9-10). Bisogna avere un animo di povero (Matteo 5, 3), un atteggiamento di un bambino (Matteo 18, 1-4), una ricerca attiva di questo Regno e della sua giustizia (Matteo 6, 33), la sopportazione delle persecuzioni subite per il nome di Gesù (Luca 16, 17-18), il sacrificio di tutto ciò che si possiede (Matteo 16, 24-26), una perfezione maggiore di quella dei Farisei (Matteo 5, 20). Finalmente, come dice l’evangelista Matteo, citando le parole di Gesù: “Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Matteo 5, 48). Solo in questo modo, “nella vostra pazienza, guadagnerete la vostra vita” (Luca 21, 19).

San Daniele Comboni (1831-1881) conosceva il Vangelo di Gesù e lo predicava agli abitanti dell’Africa Centrale. Appunto per questo vedeva un “avvenire felice” per gli Africani, perché sapeva che, grazie alla fede in Gesù, tutto sarebbe stato cambiato in meglio e pertanto nel 1864 ha scritto un “Piano per la rigenerazione dell’Africa”. Giustamente, come insegnava Paolo VI, nel documento EVANGELII NUNTIANDI del 1975 : “L’evangelizzazione va sempre assieme alla promozione umana”.

 

P. Tonino Falaguasta Nyabenda