Padre Tonino Falaguasta Nyabenda
Gerico è la più antica città del Mondo. I reperti parlano di 10.000 anni prima di Cristo e si trova a 240 metri sotto il livello del mare. Ma Gerico era stata distrutta al passaggio del popolo di Israele verso la Terra Promessa. Poi il suo capo, Giosuè, pronunciò un giuramento-maledizione: che nessuno più la ricostruisca, sennò sul sangue dei suoi figli (Giosuè 6, 26). Gerico è pertanto una città maledetta. Ed è da questo luogo che Gesù passa per andare verso la sua ultima tappa del viaggio, a Gerusalemme. Ma prima di mettere piede dentro la città, il Signore incontra un cieco che gli grida: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!” (Luca 18, 38). Il cieco manifesta in questo modo la sua fede. Gesù, infatti, attualmente, è per noi e per tutti, il nome di Dio. “Che io veda, Signore” (Luca 18, 41) grida il cieco. Vedere o meglio guardare in alto è il primo significato del verbo greco, utilizzato da san Luca. Guardare in alto, levare gli occhi, per vedere l’amore e la tenerezza di Dio verso tutti noi (leggere il Salmo 123/124 a questo proposito). Guardare in alto, guardare verso la Croce. E’ solo lì che si capisce il mistero dell’amore di Dio; è solo così che possiamo amarlo come merita.
E’ successo anche a Zaccheo, nel Vangelo di oggi (Luca 19, 1-10). Egli vive a Gerico, la città conosciuta come una fortezza del male. Tra le sue mura lavora appunto Zaccheo ( nome che significa: Dio ricorda, oppure: il puro), capo dei pubblicani e uomo grandemente facoltoso. Il suo mestiere consisteva nel raccogliere le tasse a nome dell’Impero Romano. Ne consegnava una parte fissata dalle autorità e il resto entrava nelle ricchezze della sua famiglia. I pubblicani perciò erano odiati dalla gente, perché esosi e ladri, e anche collaboratori della potenza colonizzatrice. Zaccheo voleva vedere Gesù che passava in mezzo alla città, circondato da una folla di ascoltatori. “Ma era piccolo di statura” (Luca 19, 3). Ogni uomo è troppo piccolo per vedere la gloria di Dio. Però il Signore ci chiede di riconoscere la nostra piccolezza, la nostra insufficienza di creature, appartenenti quindi al Creatore, e peccatrici.
San Paolo, che si chiamava Saulo, ha scelto quel suo nome nuovo (Paolo, in latino, significa piccolo, poco, insignificante: Atti 13, 9), perché si considerava il primo fra i peccatori (1 Timoteo 1, 15) e quindi bisognoso di salvezza. Divenuto discepolo di Gesù, con il battesimo, è diventato un’icona del Signore e modello di tutti coloro che chiedono e ottengono la salvezza.
Zaccheo dunque era un peccatore, un condannato alla Geenna, un ebreo rinnegato. Ma Gesù, come “pastore bello” (Giovanni 10, 11), va alla ricerca della pecora smarrita (Luca 15, 4). Vuole salvare anche Zaccheo, perché anche lui è figlio di Abramo (Luca 19, 9).
La prima lettura è tratta dal libro della Sapienza (libro scritto in Egitto nella seconda metà del secolo I). L’autore ripercorre la storia della schiavitù di Israele in Egitto, ma con uno sguardo diverso rivolto agli Egiziani. Anche loro sono figli di Dio. Se il Signore li castiga (perché lascino partire gli Israeliti), li vuole anche salvare. “Hai compassione di tutti” scrive l’autore (Sapienza 11, 23). E poi aggiunge: “Per questo tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano e li ammonisci ricordando loro in che cosa hanno peccato, perché, messa da parte ogni malizia, credano in te, Signore” (Sapienza 12, 2). “Chiudi gli occhi – continua l’autore del libro della Sapienza, – sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento” (Sapienza 11, 24).
Questo vale non solo per gli antichi Egizi, persecutori di Israele, ma anche per Zaccheo (e in lui ci siamo anche noi tutti). Gesù allora, alzati gli occhi verso colui che era salito sul sicomoro, esclamò: “Affrettati a scendere, perché oggi nella tua casa bisogna che io dimori” (Luca 19, 5). La reazione di Zaccheo manifesta di avere ricevuto la salvezza: “La metà di quanto ho, Signore – dice, – do ai poveri; e se estorsi qualcosa a qualcuno rendo il quadruplo” (Luca 19, 8). La Legge Mosaica imponeva di rendere il doppio di ciò che era stato rubato (Levitico 5, 20-24). Zaccheo però va oltre. Il giovane ricco (Luca 18, 18-27) non ha saputo staccarsi dalle sue ricchezze. Ma in questo caso, Zaccheo, avendo incontrato lo sguardo di Gesù, fa quel gesto di misericordia che ci fa essere accolti nelle dimore eterne e cioè essere salvati, entrando nel Regno di Dio e sperimentando il suo amore.
Per questo non ci meravigliamo del commento di Gesù: “Il Figlio dell’uomo venne per cercare e salvare ciò che era perduto” (Luca 19, 10). Per essere salvi bisogna riconoscersi piccoli e peccatori. Bisogna poi incontrare lo sguardo di Gesù, che alza gli occhi verso di noi, perché va in cerca sempre di chi è perduto e poi lo porta alla salvezza.
La storia di Zaccheo, convertito e riconosciuto di nuovo come figlio di Abramo, ci introduce nella conclusione della vita di Gesù a Gerusalemme. In questa città il Cristo è condannato, crocifisso, sepolto. Ma risorgerà per essere il Salvatore del Mondo.
San Daniele Comboni (1831-1881) ha incontrato tanti “Zacchei” (= gli Africani che vagavano nelle tenebre dell’ignoranza del Vangelo di salvezza) nei suoi viaggi missionari nell’Africa Centrale. A loro ha sempre proposto di guardare la Croce, perché, andando ai suoi piedi e guardando verso l’alto, verso Colui che vi era crocifisso, avrebbero scoperto l’amore di Dio per tutta l’umanità.
P. Tonino Falaguasta Nyabenda