Padre Tonino Falaguasta Nyabenda

 

L’insegnamento di questa Domenica riguarda la preghiera. Che cos’è la preghiera? Perché dobbiamo pregare? E soprattutto Gesù ci ha insegnato a pregare con il suo esempio. “Ma egli stava in ritiro nei deserti – dice il Vangelo di Luca – e in preghiera” (Luca 5, 16). Aveva appena toccato un lebbroso. Che era un impuro intoccabile (Levitico 13, 45-46). Noi (come ogni lebbroso moralmente e spiritualmente) siamo pieni di lebbra e di peccato. Ma Gesù stende la mano e ci tocca: si identifica con ciascuno di noi e si carica del nostro male. Appunto Egli è “Gesù”, che significa: “Dio salva”. Ma è questo “salvatore” che si ritira nel deserto per pregare.

Mosè (leggiamo nella prima lettura) disse a Giosuè: “Domani io starò ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio”. E pregava. Aronne e Cur, vedendo che Mosè si stancava, lo fecero accomodare su una pietra e poi, loro due, sostenevano le braccia, perché continuasse a stare nell’atteggiamento della preghiera. E’ una messa in scena che ha anche della magia. Ma tutto serve per assicurare la vittoria su Amalek, il popolo discendente di Caino e nemico giurato di Israele.

Mosè nell’Antico Testamento domina tutte le figure oranti dei profeti, dei re (come Davide) e di altri personaggi. La preghiera di Israele poi viene riassunta dai Salmi, che diventeranno anche la preghiera ordinaria della Chiesa. Mosè nella sua preghiera fa sempre appello all’amore di Dio: “Questa nazione è il tuo popolo” (Esodo 33, 13). E anche alla fedeltà all’Alleanza tra questo Dio e il suo popolo: “Che diranno gli altri se tu ci abbandoni?” (Esodo 32, 11-14).

Ma il vero maestro della preghiera è Gesù. Egli ci rivela la necessità assoluta della preghiera. E ce ne dà l’esempio. “E avvenne – leggiamo nel Vangelo di Luca: – mentre Egli (= Gesù) stava pregando in un certo luogo, quando ebbe cessato, gli disse uno dei suoi discepoli: ‘Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni insegnò i suoi discepoli’!” (Luca 11, 1).

Nel brano del Vangelo di oggi si legge: “In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai” (Luca 18, 1). Se andiamo a consultare il testo greco, l’avverbio “mai” non c’è. L’avverbio “mai” può indurre chi prega a voler “stancare” Dio, nella richiesta di grazie. Già gli antichi Romani dicevano (da pagani) che bisognava “fatigare deos” e cioè ripetere la richiesta fino a stancare la divinità. Basta ricordare anche l’esempio dei profeti di Baal, come ci racconta il primo libro dei Re (1 Re 18, 19-29). Il profeta Elia mette alla prova questi falsi profeti: essi pregano, si scarificano, cantano, danzano, ma non ottengono nulla. Spesso anche certe riunioni di “fondamentalisti evangelici” si trasformano in baccanali. La preghiera non è un teatro, non è una commedia, né si tratta di presentare a Dio le nostre richieste, che vogliamo siano accolte. “Il Padre vostro – ha detto Gesù – sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate” (Matteo 6, 9). E allora come si deve pregare? Gesù allora ci insegna il “Padre Nostro”, la nostra unica, vera preghiera. Ascoltiamo Papa Francesco che ce la spiega. Lo ha fatto durante la Messa nella cappella di Santa Marta, il 20 giugno del 2013. “A chi prego? – si chiede il Papa – Al Dio onnipotente? Troppo lontano… Al Dio cosmico?… Questa modalità politeista… Tu devi pregare il Padre! E’ una parola forte: Padre. Tu devi pregare quello che ti ha generato, che ti ha dato la vita, a te. Non a tutti: a tutti è troppo anonimo. A te… A me… Conosce tutta la tua vita… Abbiamo un Padre vicinissimo, che ci abbraccia… Tutti questi affanni, preoccupazioni che possiamo avere, lasciamoli al Padre. Lui sa di cosa abbiamo bisogno. Ma Padre, che? Padre mio? No! Padre nostro! Perché io non sono figlio unico, nessuno di noi, e se io non posso essere fratello, difficilmente potrei diventare figlio di questo Padre, perché è un Padre di tutti. Mio, sicuro! Ma anche degli altri, dei miei fratelli. E se io non sono in pace con i miei fratelli, non posso dire ‘Padre’ a Lui… Eh no, non si può pregare con dei nemici nel cuore, con fratelli e nemici nel cuore: non si può pregare. Questo è difficile…Ma Gesù ci ha promesso lo Spirito Santo: è Lui che ci insegna a pregare… Chiediamo oggi allo Spirito Santo che ci insegni a dire ‘Padre’ e a poter aggiungere ‘nostro’, facendo la pace con tutti i nostri nemici”.

E’ solo così che il discepolo di Gesù può pregare.

Anche san Daniele Comboni (1831-1881) voleva che i suoi Missionari avessero questi sentimenti nel cuore. Così scriveva dei suoi Missionari al Cardinal Alessandro Franchi, prefetto di Propaganda Fide, il 2 giugno del 1874: “Siccome l’opera che ho tra le mani è tutta di Dio, così è con Dio specialmente che va trattato ogni grande e piccolo affare della Missione: perciò importa moltissimo che fra i suoi membri domini potentemente la pietà e lo spirito di orazione. Grazie al Sacratissimo Cuore di Gesù, domina realmente (tra i miei Missionari) questo Spirito del Signore”.

P. Tonino Falaguasta Nyabenda