Padre Tonino Falaguasta Nyabenda

Due frasi della Parola di Dio, che ci viene offerta oggi, sono importanti e meritano la nostra meditazione. La prima la troviamo nel libro del profeta Abacuc (VI secolo prima di Cristo): “Il giusto vivrà per la sua fede” (Abacuc 2, 4). E la seconda la leggiamo nel Vangelo. “E gli apostoli dissero al Signore: ‘Aggiungici fede’!” (Luca 17, 5). Gli Apostoli, sentendosi inadeguati di fronte alla missione loro affidata, si rivolgono così al Signore, dandogli un titolo solenne che manifesta la divinità di Gesù. Si tratta della fede, che farà vivere il giusto e che permetterà di avere l’esperienza della misericordia di Dio.

Il profeta Abacuc profetizza la sconfitta di Giuda e la distruzione di Gerusalemme nel 586 prima di Cristo, ad opera dei Babilonesi del re Nabucodonosor. Ma nello stesso tempo sottolinea la presenza di Dio, anche nel momento della più grande tragedia per il popolo dell’Alleanza.

Ma chi è questo Dio, di cui Gesù si proclama Figlio e che chiama Padre? Certo anche nell’Antico Testamento Dio ha un nome. Come creatore Egli dà un nome a tutte le cose. Anche Adamo ha dato un nome agli animali (Genesi 2, 20), per indicare la sua superiorità.

Nell’antichità il nome aveva molta importanza. Per i Babilonesi, il loro dio Marduk aveva 50 nomi. Per i Cananei, il nome della divinità era tenuto nascosto. Si usava il termine generico di Baal, che vuol dire padrone. Per gli Israeliti Dio stesso si incaricherà di rivelare il suo nome, quando si manifesterà a Mosè (Esodo 3, 13-16). In questo modo il Signore (YHWH: Dio in ebraico) si manifesta presente in mezzo al suo popolo e sarà anche il suo Salvatore. Ma nell’Antico Testamento si sottolinea pure la sua trascendenza, così che a un certo punto non lo si pronuncerà mai. Eccetto in due casi, quando il sommo sacerdote, durante lo Yom Kippur, entrerà nel Santo dei Santi per chiedere il perdono dei peccati, con l’aspersione del sangue del capro espiatorio. Il secondo caso di nomina del nome di Dio avveniva in famiglia, quando il padre, vicino alla morte, confidava al primogenito il nome di Dio da trasmettere alle generazioni successive. Anche Gesù non pronuncerà mai il nome di Dio in ebraico, ma lo chiamerà Padre, anzi “Abba”, in aramaico, papà nel linguaggio infantile. Ma allora questo Dio è presente nella nostra storia? Il profeta Abacuc se lo chiede, quando vede la sua città Gerusalemme, devastata, incendiata e distrutta con il tempio, ad opera delle soldataglie di Nabucodonosor. La domanda di Abacuc è molto attuale. Dov’è Dio, quando vediamo i genocidi, i massacri, le guerre, le devastazioni? La guerra in Ucraina, nel Tigray (Etiopia), nel Congo, in Sudan…. e Dio tace. Molti dicono: perché Dio non interviene, se esiste, per bloccare le violenze, gli stermini? Perché non si è visto durante la Shoah (sterminio degli Ebrei da parte dei Nazisti), durante i genocidi in Rwanda del 1994, dell’Armenia durante la prima guerra mondiale, del Congo del 1997, ecc.? Dio tace. Il silenzio di Dio scandalizza. Lo ha detto anche Martin Scorsese, regista americano, nel suo film capolavoro dallo stesso titolo. Molti preferiscono passare all’ateismo, alla negazione dell’esistenza di Dio e manifestano in questo modo la loro impotenza di fronte al problema del male. Ma la risposta c’è. Dio tace, ma è presente. E la fede ce lo fa scoprire. “Aggiungici la fede!” chiesero gli Apostoli a Gesù. Aggiungere, perché la nostra fede è poca, è piccola, come un granello di senape (Luca 17, 6). E siamo ciechi e incapaci di vedere la presenza amorosa di Dio, anche nel suo silenzio. Guardiamo prima di tutto a noi stessi. Il Signore rispetta la nostra libertà. Non può obbligarci a compiere il bene. Possiamo fare il bene, ma anche il male. Le dieci Parole (Esodo 20, 7-17) o dieci Comandamenti, sono dei paletti che ci indicano la strada, se vogliamo. La violenza, i genocidi, le guerre, sono opera nostra. Le disgrazie materiali, i terremoti, gli tsunami e simili provengono dalle leggi fisiche che funzionano con le loro nome. Ma ora, dice Papa Francesco, lo sconvolgimento dell’equilibrio della natura operato dall’intervento umano può provocare disastri apocalittici. Per contrariare questo pericolo, dobbiamo acquisire una cittadinanza ecologica. “L’educazione alla responsabilità ambientale – ci insegna Papa Francesco, – deve spingerci ad evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti…, trattare con cura gli altri esseri viventi,…piantare alberi, spegnere luci inutili, e così via” (Laudato sì, n° 211).

Dobbiamo poi alzare il nostro sguardo verso Gesù sulla Croce. E’ lì che scopriamo chi è Dio, chi è il Dio di Gesù. Non un Dio sconfitto, debole, incapace, silenzioso. Ma un Dio che supera il male, che vince la morte, perché ci fa capire chi siamo noi e chi è veramente Dio, che per noi è Padre. Chi segue Gesù, diventa apostolo, diventa come lui, suo collaboratore, associato al suo ministero (1Corinzi 3, 9). Seguendo Gesù come discepoli diventiamo missionari della liberazione totale dalla schiavitù dell’egoismo. Dice san Paolo: “Voi infatti, fratelli, siete chiamati a libertà… Mediante l’amore siate invece al servizio gli uni degli altri” (Galati 5, 13). Allora il male scompare, grazie alla luce della carità. E poi scopriremo anche la presenza di Dio, perché come diceva san Clemente di Alessandria (150-215 dopo Cristo), citando una frase di Gesù che non si trova nei Vangeli: “Quando vedo il volto del fratello, contemplo il volto di Dio”.

San Daniele Comboni (1831-1881) era colpito dalle meraviglie naturali che contemplava nell’Africa Centrale. Tutto gli parlava di Dio, questo Dio che in Gesù ha manifestato il suo vero volto, il volto di un Padre misericordioso che vuole la salvezza di tutti., anche degli Africani.

P. Tonino Falaguasta Nyabenda