Padre Luigi Consonni
Commento alle letture: XXV DOMENICA DEL T.O. -C-
(18/09/2022)
Prima lettura (Am 8,4-7)
Il Signore mi disse:
«Ascoltate questo,
voi che calpestate il povero
e sterminate gli umili del paese,
voi che dite: “Quando sarà passato il novilunio
e si potrà vendere il grano?
E il sabato, perché si possa smerciare il frumento,
diminuendo l’efa e aumentando il siclo
e usando bilance false,
per comprare con denaro gli indigenti
e il povero per un paio di sandali?
Venderemo anche lo scarto del grano”».
Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe:
«Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere».
Il Signore disse: “Certo non dimenticherò mai le loro opere”. Il profeta trasmette la grande sofferenza e lo sconvolgimento interiore del Signore per lo sfruttamento e la sorte riservata ai poveri e agli indigenti. Il Signore, profondamente turbato, si esprime con parole che risuonano come un giuramento, tanta è la determinazione nel procedere a loro favore.
Il brano indica forme di sfruttamento e di corruzione, comuni in ogni tempo e luogo, oggi compreso, motivate dell’avarizia, dall’accumulo del denaro e della ricchezza a tutti i costi, senza alcun riguardo per chi ne soffre le conseguenze e affonda ancor più nella precaria situazione in cui si trova. La corruzione è tale che il povero e l’umile, sperando nella sentenza corretta dei giudici, si sentono defraudati.
Da parte dei ricchi e delle autorità non c’è misericordia né compassione e, meno ancora, rispetto del diritto e della giustizia. Le condizioni dell’Alleanza, stabilita da Mosè sul Sinai, sono stravolte. Altro che terra promessa e “popolo eletto”! Agli occhi del Signore la terra è diventata il nuovo Egitto e di “eletto” non è rimasto niente, perché costoro, e i detentori del potere, consentono a che ciò accada, qualificandosi come oppressori e nuovi aguzzini. È sotto gli occhi di tutti, e sulla pelle di tante persone, che oggi con la globalizzazione dell’economia non è cambiato molto rispetto ad allora.
Il Signore ha liberato il popolo dalla schiavitù e lo ha condotto nella terra promessa affinché, con la pratica dell’Alleanza, che malauguratamente stavano stravolgendo, impiantino e consolidino la liberazione, lo sviluppo e la crescita della libertà con la pratica dell’amore che il Signore ha attivato nei loro confronti.
L’amore interpersonale e sociale configura l’azione liturgica e il culto che il Signore si aspetta dalla persona e dal popolo. Ma le autorità hanno fatto sì che il culto nel tempio sostituisse l’esercizio del corretto rapporto con il Signore, slegando le esigenze dell’alleanza – la pratica del diritto e della giustizia – a favore di complicate regole di purezza legale e comandamenti.
Il profeta, con durissime parole, li richiama a prendere atto dell’equivoco e, allo stesso tempo, avverte il popolo che la corruzione e lo sfruttamento sono sotto gli occhi del Signore e suscitano in Lui intensa e immensa indignazione.
Oggigiorno molti cristiani vivono la scissione, il distacco, fra il dovere religioso delle celebrazioni – la messa domenicale, il battesimo dei figli, la prima comunione e cresima, le abituali pratiche devozionali – e la pratica dell’onestà individuale, della responsabilità sociale a tutti i livelli, e della solidarietà nella giustizia per gli esclusi da una vita umanamente degna. Molti si autogiustificano, ritenendo sufficiente la tradizione consolidata, il costume sociale, il sentimento generico di appartenenza a Dio trasmesso dal battesimo e dalla devozione.
Comportarsi diversamente è camminare contromano, è pagare un “prezzo” ritenuto eccessivo. Ci si autogiustifica con affermazioni tipo: la vita è così, il mondo non cambierà, non si può essere radicali se si vuole vivere in pace senza troppi grattacapi, ecc. Di conseguenza, in contrasto con la volontà del Signore, subentra una specie di paralisi che blocca la crescita umana e spirituale, individuale e sociale.
Il profeta Amos legge nel comportamento corrotto dei giudici, nello sfruttamento dei commercianti, nella pratica dell’ingiustizia personale e sociale, un motivo di vanto, tanto è l’abitudine generalizzata che fa parte della loro cultura! Per questo motivo li rinfaccia direttamente: “Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe …”.
La seduzione della ricchezza, normalmente associata al potere e alla vita lussuosa, l’elogio del successo e del loro stile di vita non bada al modo in cui si è raggiunto tale risultato ma incoraggia il vanto, l’orgoglio e la soddisfazione che costituisce una specie di gabbia d’oro. È il fascino per l’attrazione del luccichio dell’oro, ma è sempre una gabbia. E la stessa libertà è solo apparenza, come una bella scatola vuota, una bolla di sapone inconsistente.
Tutto converge nel fare della ricchezza un bene primario e irrinunciabile, in altre parole un idolo. San Paolo afferma esplicitamente che l’avarizia è idolatria. Dio si manifesta nell’azione profetica di Gesù Cristo per la conversione di tutti, come indica la seconda lettura.
Seconda lettura (1Tm 2,1-8)
Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità.
Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco -, maestro dei pagani nella fede e nella verità.
Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese.
Paolo esorta Timoteo, e la comunità, alla preghiera a favore di tutti e, in particolare, “per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio”. Sarà possibile raggiungere l’obiettivo se gli uomini al potere eviteranno l’avidità del denaro, l’arroganza e la prepotenza del potere e lo sfruttamento delle classi inferiori.
Il desiderio di vita dignitosa, e la sua realizzazione, è gradita a Dio ed è espressione della sua volontà e dell’azione salvifica nei termini dell’alleanza: “Dio, nostro salvatore, vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità”. La salvezza riguarda l’oggi, il presente, nell’ambito, nel contesto e nella circostanza concreta. Essa riguarda la qualità della vita, dei rapporti interpersonali e sociali, nel quadro generale dell’armonia e della fraternità quale avvento della sovranità di Dio, accolta con gratitudine, soddisfazione e gioia.
In Dio tutto è presente, è oggi, e per il credente è anticipo della realtà ultima e definitiva con lo scorrere degli eventi della storia. È determinante che nella sinagoga di Nazareth Gesù presenta il “programma” della sua azione pastorale, e dice che “oggi” si compie la parola appena ascoltata. L’annuncio suscita stupore, sconcerto e rigetto. Se si fosse riferito all’altra vita, o alla fine del mondo, non sarebbe accaduto niente, e nessuno si sarebbe scandalizzato.
La salvezza – la liberazione dal male e dal peccato – inizia con l’abbandono della condotta e degli atteggiamenti indicati nella prima lettura e nel fare propria la pratica della giustizia e della solidarietà con i poveri e i meno favoriti, in modo da garantire l’equità e l’instaurazione di condizioni di uguali opportunità, senza favoritismi o vantaggi per alcuno a discapito di altri.
Acquisire la “conoscenza della verità” non è un atto intellettuale, la formulazione del pensiero razionale e metafisico sul mistero di Dio e dell’esistenza umana, ma la declinazione della pratica dell’accoglienza, della dinamica per la quale si crea l’unione nelle diversità, la comunione fraterna e responsabile della comunità.
Essa ha inizio con il depotenziamento di sé stesso – svuotò sé stesso” (Fil 2,7) – nel distacco, o meglio, dalla rinuncia alle proprie ambizioni egoistiche, ai propri riferimenti e alla propria vita. In altre parole, la scelta per la quale Gesù, pur essendo ricco si è fatto povero (2Cor 8,9), per poi camminare sulla stessa via per arricchire della sua povertà, con la pratica dell’amore tutti, quale conversione alla causa del regno.
La verità si fa, è azione declinata dalla riflessione sul processo e il fine del cammino giornaliero. È andare oltre al noto assioma della filosofia: “penso, dunque esisto” e assumere al suo posto: “amo, dunque esisto”. È quello che Gesù ha fatto e insegnato come legge fondamentale per chi lo segue: “amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati” (Gv 15,12).
Centrale è la comparazione, il “come”. È proprio in virtù dell’amore che Gesù è il ponte che ricollega gli uomini allontanati e separati fra di loro e da Dio. L’amore svolge il ruolo a lui affidato con l’entrata nel mondo, quale “mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Gesù Cristo, che ha dato sé stesso in riscatto per tutti”.
La mediazione è offerta a tutti indistintamente. Chi crede in essa si appropria degli effetti della morte e risurrezione che stabilisce la riconciliazione di Dio e con gli uomini. Costui è costituito figlio di Dio, capace di amare com’è amato. La mediazione e testimonianza “egli – Gesù – l’ha data nei tempi stabiliti, con la sua vita e, soprattutto, con l’evento pasquale. I suoi effetti sono attualizzati in ogni luogo e tempo per la fede, in virtù della quale Paolo afferma: “io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità non mentisco – maestro dei pagani nella fede e nella verità”.
La fede riproduce, caso per caso, quel che Paolo ha sperimentato su sé stesso alla porta di Damasco, coinvolto nel dirompente evento che trasformò il suo mondo interiore in modo radicale, al punto da lasciare perplessi i cristiani riguardo all’autenticità della sua conversione. Per questa ragione Paolo rafforza l’argomentare nel sottolineare che quel che sta dicendo è vero e non c’è inganno nascosto, per cui i destinatari dello scritto possono confidare pienamente nella verità del suo insegnamento e della sua efficacia. L’evento è portatore di bontà e della verità riguardo alla causa di Gesù, così come l’inizio del cammino e del processo di costante conversione.
Il vangelo indica come mantenersi fedele alla persona di Gesù e alla causa del regno di Dio, e quali qualità sono necessarie.
Vangelo (Lc 16,1-13)
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
Davanti all’inevitabile licenziamento per aver sperperato gli averi del ricco, l’amministratore infedele riflette sul suo futuro immediato e a lungo termine che dovrà affrontare. Non è specificato per quale condotta: se fu disonesto o incompetente, sbadato o superficiale, o se l’accaduto si deve a collaboratori disonesti. Non è nemmeno indicato se dovrà risarcire il danno ma, semplicemente, che dovrà andarsene: “non potrai più amministrare”.
Tutto indica che lo scopo della parabola non è incentrato sulla mancata responsabilità o sulla condotta morale dell’amministratore, ma sulla reazione all’inaspettata e difficile situazione in cui si trova. E riflette tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie dall’amministrazione?”.
Il testo riporta la lucida valutazione delle possibilità che gli si prospettano, pur nel comprensibile trambusto e sconvolgimento personale: “Zappare, non ne ho la forza; mendicare mi vergogno”. E immediatamente decide il da fare: farsi amici i debitori del padrone dimezzando o riducendo il loro debito.
E “Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza”. Di primo acchito sembra che Gesù ne lodi il comportamento inaccettabile, ma le parole che seguono – “I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce” – evidenziano la contrapposizione della scaltrezza e la prontezza dei primi nel risolvere a proprio favore la difficile situazione. I figli di questo mondo sono gente che agisce per interesse, per la convenienza e inventano di tutto per raggiungere l’obiettivo.
I figli della luce dovrebbero procedere nello stesso modo ma, evidentemente, a favore della causa dell’avvento del regno di Dio. Costoro, se possedessero una ricchezza disonesta, sono esortati a liberarsi di essa in modo intelligente: “Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché quando questa viene a mancare, essi vi accolgano nelle loro dimore”. È un monito ad impiegare il denaro a favore degli altri, in modo da essere accolti nel momento del bisogno.
Per Gesù la ricchezza è sempre disonesta. Se non lo è per disonestà diretta, lo è per mancanza di generosità, di gratuità, di amore verso i bisognosi; se non si fosse agito in tal guisa non si sarebbe ricco. E afferma: “Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti”.
“Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta (…)”, liberandovi da essa a favore di chi ha bisogno di aiuto e di sostegno, “(…) chi vi affiderà quella vera?” con l’avvento del regno di Dio? E, così, fruire della comunione fraterna, della vita piena nella comunione con Lui? “E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?”, la ricchezza della comunione responsabile e fraterna. Come potrete ricevere quel patrimonio insito nella realtà del regno di Dio?
Con altre parole, “Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera?”. La fedeltà nell’amministrare la ricchezza disonesta è impossibile senza la conversione. Ne consegue che, “Se dunque non siete stati fedeli – alla causa del regno – nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?”, ovvero la partecipazione alla gloria di Dio.
La conclusione è: “Nessun servitore può servire a due padroni, perché odierà l’uno o amerà l’altro (…) non potete servire Dio e la ricchezza”.