Padre Vincenzo Percassi

 

Prima di parlare della misericordia con la parabola del figliol prodigo, Gesù racconta due altre brevi parabole che descrivono un modo insolito di relazionarsi di un pastore e di una donna di casa con le “cose loro”. Entrambi, infatti, cercano il bene perduto con un interesse che va al di là di ogni logica di calcolo. Potrebbero cioè “lasciar perdere” la cosa perduta, perché il suo valore è piccolo rispetto a ciò che ancora posseggono e invece la cercano fino a trovarla e una volta trovatala si rallegrano, non secondo una logica di possesso, ma secondo una logica di condivisione. Questo modo insolito di procedere da parte dei protagonisti delle due parabole vorrebbe illuminarci circa il fatto che l’amore di Dio si esprime secondo una logica di gratuità. Dio non ci attribuisce quel valore che noi stessi potremmo misurare bensì un valore sproporzionato che il suo stesso cuore nutre per noi. Se il nostro cuore fa fatica ad accorgersi di questo amore ciò non dipende dal fatto che esso sia debole, ma dal fatto che esso supera le nostre attese senza però esigere la riconoscenza o la corrispondenza. L’amore di Dio, in altre parole, interagisce così intimamente con le circostanze della nostra vita, con le caratteristiche della nostra personalità, con la concretezza delle nostre attività di ogni giorno che ad ogni istante noi possiamo dire grazie oppure al contrario possiamo distanziarci da esso illudendoci che abbiamo fatto tutto da soli. Quando Dio va a cercare Israele in Egitto per riportarlo “a casa” lo fa certo con mano potente e generosa, ma allo stesso tempo in modo così libero e discreto che dopo breve tempo il popolo può farsi un altro Dio e dire tranquillamente: ecco chi ti ha fatto uscire dall’Egitto.Farsi un idolo significa in fondo dire che ciò che salva la vita è quello che uno si costruisce con le proprie mani, con la propria iniziativa, secondo la propria capacità ed il proprio criterio. Anche nella parabola del figliol prodigo ciò che colpisce non è tanto la ribellione del più giovane oppure il legalismo del figlio maggiore, quanto il fatto che entrambi vivevano in casa praticamente ignorando la presenza del padre. Chiedendogli l’eredità il più giovane lo considera morto. Rinunciando a chiedergli un agnello per far festa con gli amici il maggiore lo considera assente, lontano. Dovrà essere il padre a ricordargli ciò che sfuggiva la sua attenzione: figliuolo non ti accorgi che tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo?Avrebbe potuto dire: non sai che tutto quello che è tuo in realtà è mio?

Quando Paolo dice che agiva per ignoranza e senza fede, pur avendo zelo per Dio, si riferisce proprio a questo accecamento del cuore che ti porta a dimenticare che la vita in noi non è sorgiva ma deriva da un Padre che ama con amore gratuito e con immensa generosità e che non cerca il nostro valore ma vorrebbe crearvelo. Il primo atto di misericordiada parte di Dio, allora,prima ancora che il perdono stesso, è la fede, la possibilità cioè di ritrovare la relazione con lui: lo vede da lontano, gli corse incontro, lo abbracciò, lo baciò, lo rivesti, lo ristabilì nel suo ruolo di figlio, gli diede fiducia e dandogli fiducia lo chiama alla fede. Perché il cuore della fede, la possibilità stessa della fede, sta tutta nella misericordia. Questa parola è degna di fede, dice San Paolo, ed è degna di essere accolta: Cristo è venuto nel mondo per salvare i peccatori, e di questi il primo sono io. Sono io il primo perché se fossi l’unico ad aver bisogno di lui egli farebbe ugualmente tutto ciò che ha fatto per tutti. Ma salvando me, continua San Paolo,Dio non ha salvato semplicemente la mia pelle ma ha ricreato la comunione tra me e i miei fratelli. Da persecutore che ero, cioè uno che agisce contro la comunione, Egli mi ha chiamato a diventare ministro del suo Vangelo, cioè aporre la mia vita al servizio della comunione. Dio non ci salva individualmente e nemmeno collettivamente. Dio ci salva in comunione. Ricrea cioè la nostra capacità di amare Lui e di amarci tra di noi con un amore stabile e gratuito che considera intollerabile la perdita di anche solo un fratello. Come, dunque la fatica del perdono e la facilità del giudizio segnalano l’agire delpeccato nel nostro cuore, cosìla gratitudine per la presenza dell’altro nella miavita e la misericordia, sono il segno inconfondibile dell’espandersi dell’amore di Dio in noi. La misura di questo amore si intuisce soltanto prendendo seriamente la verità per la quale la gioia che Dio prova nel perdonare la nostra inadeguatezza è più grande di quella che potrebbe avere nell’approvare la nostra giustizia. Quando ci accorgiamo seriamente che cresciamo e stiamo in piedi non perchésiamo bravi maperchésiamo amati nella nostra insufficienza, allora cominciamo a considerare tutti, vicini e lontani, come fratelli da cercare perché l’umanità intera diventi davvero una sola famiglia che fa festa.