Padre Tonino Falaguasta Nyabenda

 

Il libro del Siracide (= prima lettura di oggi) è stato scritto in ebraico, verso il 180 prima di Cristo. La traduzione greca è stata fatta dal nipote dell’autore, verso il 130. In esso si tratta della sapienza. Per la cultura dominante di quel tempo, quella greca, era sempre questione di speculazione, di profondità intellettuale, basata sulle varie filosofie. Il Siracide invece ne fa una questione di relazione. Con chi? Con Dio, prima di tutto, e poi anche con il prossimo.

Gesù (= leggiamo il Vangelo odierno!) continua su questa linea. La relazione, nella Bibbia, si basa sulla verità. E quindi, per noi, sull’umiltà. L’umiltà si oppone all’orgoglio ed è l’atteggiamento della creatura che riconosce la sua posizione davanti al “Tre Volte Santo” (= Dio in Isaia 6, 3). L’umile riconosce di aver ricevuto tutto da Dio (1 Corinzi 4, 7); è un servitore dell’Altissimo. Nel Vangelo di Luca, il Signore dice: “Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: ‘Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare’!” (Luca 17, 10).

E noi chi siamo? “Ohimè! Io sono perduto – esclama il profeta Isaia, – perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito!” (Isaia 6, 4). Noi siamo peccatori. Se ci riconosciamo tali, possiamo essere aperti alla grazia (Giacomo 4, 6). E Dio allora ci salverà e anche ci glorificherà. Il Magnificat, questo canto-capolavoro messo in bocca alla Madonna, dice esplicitamente: “Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili” (Luca 1, 51-52).

Gesù è il Messia umile (Zaccaria 9, 9). E’ il Messia degli umili che egli proclama beati (Matteo 5, 4). Che possiamo fare noi, poveri peccatori che siamo? Dobbiamo metterci alla scuola di Cristomaestro mite ed umile di cuore” (Matteo 11, 29). Solo così possiamo entrare nella sala e sederci al banchetto del Regno di Dio.

San Paolo ci insegna inoltre che, accanto alla fede, dobbiamo metterci l’umiltà: sono due atteggiamenti di apertura a Dio, di sottomissione fiduciosa alla sua grazia. Basta leggere e meditare questo passo: “Il frutto dello Spirito (= per poter entrare nel Regno di Dio) è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé…. Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri” (Galati 5, 22-23 e 26). Nel Vangelo di oggi si parla di Gesù, che, invitato a mensa nella casa di uno dei capi dei Farisei, osserva il comportamento degli invitati. Racconta allora una parabola, osservando come gli invitati sceglievano i primi posti, e poi conclude dicendo: “Chiunque si innalza sarà umiliato e chi si umilia sarà innalzato” (Luca 14, 11). Il commento di Gesù vale anche per noi oggi. Tutti cercano i primi posti, la notorietà, l’apparenza, la fama. Ci si veste di una maschera, come gli ipocriti. La relazione con l’altro, basata sulla falsità e l’orgoglio, diventa la regola. Si vuole il possesso, il dominio dell’altro. E si nega Dio, perché mettiamo noi stessi al suo posto, come Adam e Eva (Genesi 3, 5). Le conseguenze sono evidenti e lo vediamo anche oggi con i nostri occhi. L’amore vero diventa impossibile; e si cambia in odio, in dominio, in sfruttamento, in guerre, in violenza, in assassini… E’ il lievito dei Farisei che riempie il nostro cuore di egoismo, di rapina, di avidità e di cattiveria (Luca 11, 39). Effettivamente nessuno può salvarsi da solo, con le proprie forze. Tutti veniamo salvati, ma solo se ci mettiamo alla sequela di Gesù. L’orgoglioso rifiuta la mano tesa, perché pensa e pretende di farcela da solo. Come quel tale a cui la campagna aveva fruttato sopra ogni aspettativa. “Che farò? – si chiese. – Demolirò i miei granai e ne costruirò di più grandi. E poi dirò: ‘Anima mia, … riposati, bevi, mangia e divertiti!”. “Stolto! – è il commento di Gesù . – Questa notte ti sarà richiesta la vita e le tue cose di chi saranno? (Luca 12, 16-20) .

Ma intanto (molti lo dicono, lo pensano e lo fanno ancora oggi) ci si diverte fino alla follia, fino alla pazzia, fino alla distruzione di sé. Come ( e soprattutto i più giovani lo sanno) a Lloret de Mar, a 75 chilometri da Barcellona in Spagna (leggi Andrea Galli nel Corriere del 22 agosto 2022), dove il motto è il seguente: “Qui ci sfasciamo!”. E ci sono tanti altri posti dove si vive così, senza progetti, senza relazioni autentiche, senza umiltà, senza fiducia… senza Dio. Cercando il piacere con droga, alcool, sesso sfrenato… E’ vero quello che dice Gesù: il superbo dà gloria a se stesso e resiste a Dio. E va verso la morte eterna, “dove ci sarà pianto e stridore di denti” (Matteo 24, 51). L’umiltà è la verità dell’uomo. E ci dà anche il senso della misura e del nostro posto nel creato, secondo il piano di Dio.

Ha ragione il Siracide quando dice: “Quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore” (Siracide 3, 18).

San Daniele Comboni, pur avendo sulle spalle il Vicariato dell’Africa Centrale, vasto come l’Europa, si considerava un umile operaio della vigna del Signore, ma sempre insieme ai suoi Missionari. Così scriveva alla Società di Colonia (che lo aiutava economicamente), il 6 giugno 1871: “Io dirigo i miei Missionari e sono la guida del loro cuore. Ma essi sono anche l’oggetto di tutta la mia stima… Noi siamo animati tutti da un unico ideale, da un unico ardente desiderio: di sacrificare la nostra vita per amore di Dio, per amore della sua santa Chiesa e per l’infelice Nigrizia (= popoli dell’Africa Centrale)”.

P. Tonino Falaguasta Nyabenda