Padre Luigi Consonni

Commento alle letture: XXI DOMENICA DEL T.O. -C-
(21/08/2022)

 

Prima lettura (Is 66,18b-21)

Così dice il Signore:
«Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria.
Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle popolazioni di Tarsis, Put, Lud, Mesec, Ros, Tubal e Iavan, alle isole lontane che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunceranno la mia gloria alle genti.
Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutte le genti come offerta al Signore, su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari, al mio santo monte di Gerusalemme – dice il Signore –, come i figli d’Israele portano l’offerta in vasi puri nel tempio del Signore.
Anche tra loro mi prenderò sacerdoti levìti, dice il Signore».

Il brano testimonia come il Signore va oltre l’indignazione e l’ira per l’infedeltà del popolo all’Alleanza, e si propone non solo di riscattarlo dalla condizione ignobile ma di ricondurlo sul cammino della fedeltà per la quale è stato eletto e “collaborando” con il Signore per la salvezza universale dei popoli.
“Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria”. È il progetto del Signore di coinvolgere persone di ogni razza e lingua e che suscita grande sconcerto in Israele perché la purezza della discendenza – la cui origine risale ad Abramo e all’Alleanza siglata dalla circoncisione – era ritenuta imprescindibile per entrare a pieno diritto nel regno di Dio con l’avvento del Messia.
Annunciare che le genti “verranno e vedranno la mia gloria” aumenta lo sconcerto e la confusione nel popolo, poiché riteneva la partecipazione alla gloria di Dio, fonte di vita piena. E allora che differenza c’è fra il popolo eletto e tutte le genti? Verrà meno l’esclusività, il privilegio di Israele come popolo eletto?
Per di più costoro saranno costituiti missionari, trasmetteranno il dono ad altri che ancora non lo conoscono o sono lontani, in modo che nessuno sia escluso. Pertanto, dice il Signore: “Io in essi porrò un segno” ossia il segno della fraternità, della solidarietà, della giustizia, della pace e della concordia; con altre parole, costituirò una nuova società che abbraccia tutti i popoli.
Così che “essi annunceranno la mia gloria alle genti”. La prospettiva suscita ammirazione, stupore e desiderio di instaurare un nuovo ordine sociale, manifestazione della forza, del potere, dell’amore e della santità di Dio.
Costoro saranno come la calamita che attrae; infatti “Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutte le genti come offerta al Signore su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari al mio santo monte di Gerusalemme”. L’impatto sarà così forte e sorprendente da muovere, con qualsiasi mezzo a disposizione, un gran numero di persone provenienti da tutte le parti.
Degno di nota è rilevare come la missione di ricondurre al Signore tutte le genti costituisce “l’offerta al Signore”, con lo stesso valore e impegno di “come i figli d’Israele portano l’offerta in vasi puri nel tempio del Signore”. La purezza dell’offerta si caratterizza per la comunione fraterna fra le genti di ogni razza e nazione, e non più per la qualità pregiata degli oggetti sacri e del culto.
Ancora più sconcertante è l’affermazione: “Anche tra loro mi prenderò sacerdoti leviti, dice il Signore”, nel porre costoro alla stessa stregua dei membri d’Israele, il popolo eletto, formando l’unica famiglia di Dio.
La loro integrazione, allo stesso livello degli israeliti di pura origine, ha sorpreso non poco gli uditori. Basta considerare che ai tempi di Gesù per il sacerdote, oltre ad appartenere alla tribù di Levi, le autorità religiose verificavano negli archivi del tempio in Gerusalemme se ci fosse la purezza razziale fino alla quinta generazione da parte del padre e della madre, e che la stessa non fosse mai stata contagiata da alcuna mescolanza con altre etnie.
Il fatto che addirittura stranieri, anche se convertiti al giudaismo, saranno “sacerdoti leviti” è il massimo dello sconcerto. Nella mente del Signore l’esclusività del “popolo d’Israele, popolo eletto”, è superata ancora prima della venuta di Gesù.
L’azione di Dio, con l’adesione e la collaborazione del popolo, è rivolta a tutta l’umanità, per formare la famiglia umana nella quale sia evidente l’accoglienza della sovranità di Dio; in altre parole è l’avvento del Suo Regno, fedele nella pratica del diritto e della giustizia quale lode al Signore, al Dio della vita.
Tale condizione non è acquisita una volta per sempre, come se fosse un possesso o un diritto; è il dono di Dio da accogliere, in attenzione alle nuove circostanze che si presentano. Dono che richiede audacia, coraggio, creatività e magnanimità, per la finalità per cui è trasmesso.
Tuttavia, di fatto Israele manifesterà grandi lacune al riguardo, e il Signore ricorrerà con frequenza ad azioni correttive. Ciò riguarda anche la chiesa e le prime comunità cristiane che stavano sorgendo ed espandendosi nel mondo, come testimonia la seconda lettura.

Seconda lettura (Eb 12,5-7.11-13)

Fratelli, avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli:
«Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore
e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui;
perché il Signore corregge colui che egli ama
e percuote chiunque riconosce come figlio».
È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati.
Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.

Paolo compara l’azione di Dio a quella del padre di famiglia: “Dio vi tratta come figli: e qual è il figlio che non viene corretto dal padre?”. La correzione è necessaria e insostituibile per rinfrancare “le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminare diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire”.
Molteplici fattori personali e sociali, all’interno e al di fuori della famiglia, della comunità, e proprie dell’ambiente sociale sono un insieme particolarmente complesso. L’analisi e il discernimento di aspetti in sintonia o meno con il regno di Dio sono, da un lato, particolarmente impegnativi e, dall’altro, indicano cammini di audacia, coraggio e creatività che sfidano la persona e la comunità nell’elaborare risposte adeguate all’accoglienza del regno di Dio.
Il comportamento della comunità non è all’altezza di quello che il Signore si aspetta. Le debolezze, le fragilità, le vulnerabilità della comunità necessitano del supporto dell’azione correttiva. In alcune circostanze la correzione può essere tale da indurre allo scoraggiamento. E l’autore fornisce le indicazioni per leggere l’intervento in ben altra luce: “È per la vostra correzione che voi soffrite! (…) Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza”. Lo scoraggiamento può essere sorretto dall’eccessiva autostima e dall’orgoglio ferito che, in molti casi, suscita demotivazione, senso d’inutilità o d’incapacità.
Questi stati d’animo sono superabili solo nel riconoscere l’autorevolezza di chi riprende e corregge. Nel caso specifico è fuori discussione la paternità amorosa del Signore che “corregge colui che egli ama e percuote chiunque riconosce come figlio”.
L’azione del Signore è sempre positiva, anche se “sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza”. Essa è finalizzata a far emergere, dal profondo della persona, il positivo, il buono che c’è in lei. Sembra strano, e lascia perplessi, che l’azione correttiva passi per la sofferenza del rimprovero. Ma, paradossalmente, in determinate circostanze e condizioni, essa raggiunge l’obiettivo quando la correzione porta con sé la sapienza pedagogica dell’amore; in altre parole, la conoscenza dei mezzi opportuni da impiegare, la corretta scelta del momento e della circostanza per giungere al buon fine.
La correzione “arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono addestrati”. L’autore esorta, all’inizio del brano, a ragionare: “Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui”.
Fra l’altro, merita attenzione il rapporto amore-sofferenza. Comunemente l’amore è inteso come affetto, sentimento, attenzione alla persona, soddisfacimento dei bisogni, ecc. Perciò, da un lato, riprendere ed eventualmente punire chi si ama – ben sapendo che ciò comporta sofferenza sia in chi corregge che nel destinatario – presuppone la coscienza del corretto procedere nel determinarne il momento opportuno, le parole appropriate e il tono conveniente all’azione di correzione.
Dall’altro lato, solo nel rapporto gratuito e disinteressato, sorretto e motivato dal bene per l’amato, il correttore percepisce che la sua azione è anche un bene per sé stesso. Emerge quindi l’autentica fraternità nella comunione, la cui dinamica riflette la vita Trinitaria.
In tale circostanza l’amore è soddisfazione e serenità. Il vero rapporto d’amore è aspirazione e desiderio di ogni essere profondamente umano. I frutti rivelano la qualità della vita, la felicità e l’allegria, la consistenza e la verità dell’autentico e corretto rapporto umano.
Fra l’altro una riflessione più attenta rileva che il contrario della felicità non è la sofferenza ma la tristezza; il contrario dell’allegria non è la solitudine, ma il vuoto interiore, il non senso. Tristezza e vuoto interiore dominano il cuore di chi non coltiva, non presta attenzione al corretto rapporto con Dio, con le persone, con la società e il creato.
Molte volte tristezza e sofferenza non permettono di percepire la portata dell’errore. Ecco, quindi, la necessità dell’azione correttiva, anche se dolorosa: “Perciò rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire”. L’esortazione ad accogliere la correzione proviene da chi ama sinceramente e consolida la stabilità e soddisfazione del rapporto.
È anche ciò che indica il vangelo.

Vangelo (Lc 13,22-30)

In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme.
Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».
Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”.
Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

“Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme”; sa molto bene cosa lo aspetta e a cosa va incontro. Tuttavia, con coraggio e determinazione, persevera nell’insegnamento e nella pratica dell’avvento del Regno di Dio, anche se ritenuto eretico dalle autorità e incomprensibile dal popolo. Gesù ha una forza d’animo eccezionale: è determinato a raggiungere l’obiettivo, sostenuto e motivato dal sincero amore per la causa.
E un tale, probabilmente sconcertato dall’insegnamento contrario alla teologia del tempo e dalla prassi secondo cui la salvezza è privilegio riservato al popolo di Israele, l’unico a salvarsi escluso i pagani, gli chiede: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?”.
Alla domanda Gesù non risponde direttamente, e indica non quanti ma chi si salva. Per non essere esclusi dalla salvezza dà la dritta: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta”. L’imperativo “sforzatevi” è il processo di conversione e fedeltà all’insegnamento e alla pratica conseguente che costituisce la sua azione pastorale. Per la persona che lo interpella e il popolo, abbandonare la pratica consolidata e assumere la nuova proposta, richiede fiducia nella persona di Gesù e nel progetto dell’avvento del regno.
La “porta stretta” conduce a una vita tribolata; è quel che sperimenta Gesù. Come molti sono abituati a pensare, non c’è attinenza con chissà quali sacrifici e rinunce per entrarvi. La sua affermazione è un messaggio positivo, di pienezza di vita che i destinatari non riescono a fare proprio a causa del retaggio tradizionale in cui sono coinvolti.
Non c’è nessuna difficoltà per entrare nella “porta stretta.”. È conseguenza della fiducia in Gesù: solo costoro si accorgono dell’esistenza della “porta stretta”. Molti non sono convinti, non hanno fiducia, anzi, sono contrari. Essi ritengono adeguata la pratica religiosa di sempre, meritevole dell’entrata nel Regno… ma Gesù afferma: “molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno”.
Gesù prevede la loro reazione: “Comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Sono persone che hanno una comunione con Gesù, lo chiamano Signore. “Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”, non vi conosco. E anticipa la loro replica. “Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza…”.
L’evangelista ha di mira i credenti che si rivolgono con il termine “Signore”, alludendo all’eucaristia che hanno celebrato. Di più, “tu hai insegnato nelle nostre piazze”, si sono nutriti della sua parola. Eppure, afferma Gesù: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia”.
Opere di giustizia costituiscono l’attività pastorale che Gesù trasmette con l’insegnamento e la pratica, sconvolgendo quello che era ritenuto certo e immutabile dalla tradizione. La giustizia è il rapporto con i fratelli con azioni di amore, di misericordia, di compassione, di perdono, di condivisione generosa. È partecipare della comunione con Dio, il quale non chiederà se hanno creduto in Lui, ma se hanno amato come Lui.
La risposta di Gesù è molto dura: “non vi conosco”. Non importa che relazione hanno con Dio: a Gesù importa la relazione che hanno con gli altri, con coloro che hanno bisogno di aiuto e di sostegno per una vita più umana e fraterna. Partecipare dell’eucaristia e agire con indifferenza nei loro riguardi suscita la risposta di Gesù. Hanno ascoltato il suo insegnamento, ma non hanno trasformato la loro esistenza. Trovare la porta chiusa è l’immagine del fallimento della loro vita: “Là ci sarà pianto e stridore di denti”; è come “mettersi le mani nei capelli”.
“Quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe (i grandi patriarchi) e tutti i profeti (ossia coloro che hanno denunciato il culto verso Dio e il disinteresse verso i poveri) nel regno di Dio., voi invece cacciati fuori”. Il popolo di Israele credeva di avere il diritto al regno di Dio; invece, per Gesù, se non trasforma questa conoscenza di Dio in amore verso gli altri rimane escluso.
E non solo rimane escluso, ma il suo posto viene preso da quei popoli che essi ritenevano esclusi perché pagani: “Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno (dal mondo pagano) e siederanno a mensa nel regno di Dio.” Gesù li invita a fare molta attenzione perché, quelli che ritenevano esclusi, rifiutati, prenderanno il loro posto nel regno.
Le parole finali sono come un campanello d’allarme: “Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi”. Gesù non dice che tutti i primi saranno ultimi e viceversa, ma quelli che si ritengono primi, senza entrare nel processo di conversione proposto da Gesù, sono esposti alla sconcertante delusione. Invece quelli che operano in sintonia con la causa del regno sono primi, perché la fedeltà li fa partecipi, già “oggi” (Lc 4,21) del Regno, in virtù della “potenza di una vita indistruttibile” (Eb 7,16) che vince ogni tipo di morte, compresa quella fisica.